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La prima scelta di un governo nuovo

Attenti a perdersi nei tatticismi. La prima cosa che dovremmo chiederci, di fronte alle prospettive aperte dalla crisi politica, è se un governo fra il Pd e i Cinquestelle, di lungo periodo, può far bene al Paese. E dobbiamo chiedercelo avendo ben presente qual è la congiuntura internazionale, il contesto globale in cui ci si muoverà in questi anni. È un contesto drammatico: per la guerra tariffaria fra le due principali economie, la Cina e gli Usa, che sta già scaraventando il mondo (e l’Europa, la Germania) in una nuova recessione; per la crisi ambientale, che si sviluppa a ritmi più intensi di quel che si pensava; per il moltiplicarsi del rischio di conflitti armati, in diverse regioni. Tutti problemi esacerbati dall’ascesa di leader autoritari e sovranisti, anche in Occidente.

Se questo è il quadro, il pericolo che un’Italia a guida Salvini diventi un ulteriore tassello per lo sfaldamento dell’ordine internazionale esiste, è reale. Così come è alto il rischio che il nostro Paese, sganciato dall’ancoraggio europeo, vada progressivamente alla deriva, nella politica e nell’economia: scivoli cioè verso un sovranismo chiuso e illiberale, ammantato di retorica identitaria e (strumentalmente) religiosa, oltre che foriero di irrimediabili danni per l’ambiente e per l’economia. Un paese in declino e sempre più ingiusto, in cui vince la legge del più forte, o del più furbo. Come la Russia.

D’altro canto, sarebbe sbagliato non riconoscere nello scenario internazionale, europeo in particolare, alcune opportunità. E questo è l’altro bandolo della matassa da cui partire. Primo, la Bce già da settembre riattiverà il quantitative easing; più in generale, di fronte al pericolo concreto di una recessione globale, sappiamo che il denaro continuerà a costare quasi nulla, e questa è certo una buona notizia per un Paese molto indebitato qual è il nostro (a condizione ovviamente di non far volare lo spread prefigurando l’uscita dall’euro, come fanno gli economisti della Lega). Secondo, perfino la Germania sta ormai ripensando la sua politica di austerity: in linea con gli auspici della nuova Commissione, si può forse aprire una nuova stagione, per l’Europa intera, di investimenti, a partire dalla green economy.

Terzo, proprio la Commissione che sta per insediarsi avrà tutto l’interesse, politico, a sostenere in Italia un governo europeista.

Tutti questi elementi, i rischi (enormi) e le opportunità (reali), vanno tenuti ben presente. Se si aprirà una nuova stagione, alternativa al salvinismo, non potrà che partire da qui: l’Italia deve tornare protagonista in Europa.

A ben vedere un governo europeista è la prima condizione, decisiva, anche per gli altri punti di un possibile programma comune, fra Pd e 5stelle: dalle politiche ambientali agli investimenti, alle politiche sociali, a una svolta nella gestione dei migranti; e ancora, per il rilancio del Mezzogiorno, in termini di governance (impermeabile a logiche clientelari) e ovviamente di risorse; perfino per la difesa della democrazia parlamentare e del costituzionalismo liberale.

Un governo fra Pd e Cinquestelle può far bene al Paese solo se servirà ad abbandonare, definitivamente, la narrativa e la strada del sovranismo. Questa è la prima condizione anche per sperare di uscire dal nostro declino, economico, sociale e culturale.

Sull’Europa sono però soprattutto i Cinquestelle, che pure hanno fatto passi avanti innegabili, che devono ancora dare una risposta chiara, agli italiani. Diventare fino in fondo europeisti (non acritici, certo, ma convinti) significa dismettere una volta per tutte gli aspetti più deleteri della loro retorica. Vuol dire abbracciare un’idea del Paese alternativa per davvero a quella di Salvini e della destra, alternativa alla radice.

Segna il compimento di una svolta da cui dipendono, oggi, i destini dell’Italia (e non solo).

 

 

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