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Discontinuita’ cercasi

Più i numeri della disoccupazione giovanile diventano ingombranti ed inquietanti, più si è tentati di cercare risposte semplificate, semmai capaci di dare una sensazione di esaustività. Nessuna meraviglia se si rimane  a mani vuote. Le risposte restano complesse e progressive; richiedono tenacia e selettività; hanno bisogno di visioni nuove e di inediti percorsi. Senza la miscela di questi ingredienti, le pur buone intenzioni resterebbero tali, perché la crisi che ci attanaglia da sette anni si supererà non ritornando a com’eravamo ma disegnando come saremo. L’Italia è più lenta di altri Paesi,  in questo attraversamento doloroso, per tanti motivi, ma anche perché ha creduto per troppo tempo che bastasse attendere che passasse la “nottata”.

Il racconto del futuro dell’Italia non ha inizio con il Jobs Act. Né con gli investimenti fuori dal conteggio per la stabilità che tanto piace a Bruxelles. Ha inizio dalla scuola, dal luogo dove si formano i giovani che diventeranno cittadini e lavoratori domani. E’ lì che si deve alzare l’asticella della credibilità tra valore della conoscenza – di per sé essenziale – ed efficacia del percorso di studio e di sperimentazione. Ora è troppo bassa e la certificano: gli abbandoni in ogni grado e ambito scolastico ed universitario; la forbice tra qualità dei diplomi o delle lauree e esigenze professionali richieste dal mercato del lavoro; i costi che tanto i giovani che le aziende devono sopportare per l’adattamento; ma soprattutto il senso di spaesamento che si diffonde sempre di più in una generazione che, per la prima volta nella storia repubblicana, si sta convincendo che il proprio destino è la regressione sociale, economica e morale rispetto a quella dei propri padri.

Il Governo sembra consapevole che bisogna dare un senso nuovo, concreto, robusto alla formazione degli adolescenti. Ha lanciato il progetto “la buona scuola”. Siamo ancora alle dichiarazioni di intenzione, alle linee di indirizzo. Se il Governo pensava che ciò sarebbe bastato per farsi portare sugli scudi, deve essere rimasto molto deluso.  C’è molto scetticismo in giro, perché di riforme della scuola – spesso tra loro contraddittorie – è lastricata tutta la storia delle ultime legislature. Ma staremo a vedere come si concretizzerà questa volontà di priorità assegnata al messaggio, inviato anche per via web per coinvolgere tutti i protagonisti della scuola.

Ma c’è un punto che può fare da metro per comprendere se questa volta si fa sul serio. Riguarda le scelte per rendere efficace la strategia dell’orientamento ed in particolare quelli che si possono considerare gli assi portanti. In primo luogo, accorciare le distanze tra scuola e mondo del lavoro. Molto è stato già fatto; sono lontani i tempi in cui si teorizzava che esisteva un’autonomia del sapere e che la realtà produttiva doveva tenersi alla larga per non inquinarla o sottometterla. Ma potremo essere certi che questo iato è recuperato soltanto quando verrà messo a regime un sistema di tirocini, da svolgersi nei luoghi di lavoro, che coinvolga tutti gli studenti degli ultimi due anni delle scuole medie inferiori e superiori. Uscire dalla episodicità attuale rappresenterebbe un salto di qualità e di credibilità dell’orientamento. Come dimostrano le esperienze migliori, nel tempo, si realizza una sorta di scambio tra scuola e luogo di lavoro di reciproco vantaggio in termini metodologici e contenutistici. Con i giovani, meglio attrezzati per decidere del futuro dei propri studi. 

Inoltre, smontare il convincimento che la professione è nobile e il mestiere è plebeo. Questa gerarchizzazione non regge alla prova della modernizzazione dei luoghi di lavoro, fino al paradosso che la disoccupazione in molti ambiti professionali è alta e invece mancano vocazioni per alcuni mestieri. E talvolta i livelli reddituali dei primi sono più modesti che quelli dei secondi. A condizionare le scelte dei giovani, spesso concorrono visioni di status sociale che guardano più al passato che al futuro. Un bagno di realismo non guasterebbe e in questo sforzo di liberazione dagli stereotipi, gli insegnanti hanno una responsabilità primaria, dato che è dai loro linguaggi, dalle loro valutazioni, dai loro suggerimenti che sedimenta, nelle classi e finanche nelle famiglie, l’antico convincimento.

Infine, scommettere sulla capacità dei giovani di profilarsi autonomamente. L’orientamento non richiede soltanto un apparato pubblico dedicato, una sistematica partecipazione dei soggetti della produzione dei beni e dei servizi privati e pubblici alle iniziative di orientamento; un lodevole coinvolgimento delle famiglie alle discussioni sugli sbocchi scolastici ed universitari da scegliere. In tempi in cui il lavoro non solo manca ma cambia con più velocità che in passato, per i giovani non basta ascoltare come va il mondo, ma occorre che si “allenino” a vedersi nel futuro. Ciascuno di noi, da bambino, ha desiderato fare un lavoro particolare. Dall’adolescenza in avanti abbiamo perso in fantasia e spesso ci siamo adagiati sui suggerimenti altrui, dentro e fuori la famiglia. A molti è andata anche bene, ma per altri è stato più uno svantaggio che un vantaggio. Oggi, con i mezzi informatici a disposizione, bisogna fornire ai giovani occasioni di valutazione autonoma, alle loro famiglie un supporto robusto e complementare a quello offerto dalla scuola per costruire, assieme agli adolescenti, un’opinione meno approssimativa, meglio pensata, più stimolante. Ci sono in giro mappe delle professioni e dei mestieri che hanno il pregio della completezza ma di difficile lettura per un ragazzo, altre ancora più raffinate ma del tutto ignote agli interessati, per non dire di quelle che sono off limits per i così detti “non addetti”.

E’ tempo di allargare l’offerta di conoscenza sui lavori del futuro; ci vogliono portali disponibili per tutti e con linguaggi accessibili da tutti; vanno resi noti ai giovani, alle famiglie, agli insegnanti strumenti semplici e nello stesso tempo esaustivi di informazione e di tutoraggio sui profili professionali. L’orientamento è un dovere per le istituzioni, ma è una responsabilità che devono assumere sempre di più i diretti interessati.

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