La custodia del pianeta è compito e dovere primario di tutta la società umana. Su questa priorità la nostra Europa è stata assolutamente preveggente. Non solo gli allarmi sulla salute del pianeta sono arrivati dal club di Roma fin dal lontano 1972, ma il primo documento che estendeva a livello mondiale l’impegno per la custodia del pianeta è nato da un’iniziativa europea.
Ricordo infatti quando, all’inizio di questo secolo, come Presidente della Commissione Europea, feci il giro del mondo per ottenere la firma del protocollo di Kyoto da un numero di paesi necessario a rendere obbliganti gli impegni in esso contenuti, nonostante la durissima opposizione degli Stati Uniti e della Cina.
A distanza di vent’anni da quegli eventi, mi desta una certa sorpresa constatare che, proprio per rendere concreti i nobili obiettivi allora proposti, il Parlamento Europeo, nei confronti del futuro dell’automobile, si sia schierato in favore dell’unica scelta produttiva nella quale Cina e Stati Uniti si trovano fortemente in vantaggio rispetto all’Europa.
La decisione di abbandonare la produzione di ogni tipo di automobile spinta da un motore a diesel o a benzina, per passare ad un sistema a trazione puramente elettrica in tempi così ristretti (entro il 2035), ci obbliga infatti a mettere in secondo piano i progressi in corso nel campo dei biocarburanti, dell’idrogeno e delle altre tecnologie che vedono l’Europa combattere ad armi pari.
Eppure vi sono sostanziali dubbi che la scelta compiuta sia la strada più conveniente per affrontare il problema del degrado del pianeta, data la quantità e la qualità di materie prime necessarie a produrre le batterie che costituiscono il motore dell’auto elettrica e dato l’elevato costo della rottamazione delle batterie stesse. Il tutto senza tenere conto dell’energia necessaria per muovere il loro peso, assai maggiore di quello di un tradizionale motore a combustione interna.
Bisogna inoltre sommare a tutto questo il costo delle infrastrutture necessarie per la ricarica delle batterie, l’inquinamento provocato dalla produzione dell’energia elettrica (solo in parte generata da fonti rinnovabili) e, anche se in via di progressiva soluzione, la limitata autonomia delle auto elettriche e i loro lunghi tempi di ricarica.
Non ci si deve quindi sorprendere se, a differenza di altri studi che giungono a conclusione opposte, una recente ricerca dell’Università di Monaco sostiene che, tenendo conto di tutti questi aspetti, un’auto elettrica finisce con il produrre, insieme a una cospicua caduta dei posti di lavoro, una quantità di CO2 superiore a quella di un motore a combustione interna di ultima generazione.
Tanto più che, dati gli elevati costi delle auto elettriche, diverrà conveniente utilizzare per un tempo il più lungo possibile anche le auto più inquinanti oggi sul mercato.
Nonostante i progressi tecnologici di Cina e Stati Uniti nella produzione delle batterie, i costi delle auto elettriche rimangono infatti ancora molto superiori a quelli delle tecnologie fino ad ora dominanti.
Per un lungo numero di anni dovremo quindi incentivare gli acquirenti dell’auto elettrica con pesanti sussidi, dedicati ad acquistare prodotti che, nella quasi totalità, sono fabbricati in Cina o nei giganteschi impianti di batterie in costruzione negli Stati Uniti, sotto la spinta degli incentivi forniti dal governo.
Mancando infine una politica industriale a livello europeo, le grandi imprese dell’Unione si stanno attrezzando per fare fronte a questa sfida con nuovi grandi progetti, naturalmente sussidiati dagli Stati nazionali sia sotto la forma di un cospicuo incentivo agli investimenti, sia tramite un contributo agli acquirenti che, secondo l’affermazione del Commissario Europeo all’industria Thierry Breton, si colloca nell’ordine di 6.000 Euro per ogni auto acquistata.
In Italia il problema assume un aspetto del tutto particolare in quanto, pur essendo ormai marginali nella produzione di vetture finite, siamo un paese di straordinaria importanza nella produzione dei componenti, la gran parte dei quali non esiste nelle vetture elettriche, che sono molto più semplici e si muovono spinte unicamente dalle costosissime batterie.
Le auto elettriche non hanno infatti bisogno di filtri, valvole, testate, iniettori, monoblocchi, pompe, serbatoi e delle tante altre diavolerie che compongono un’auto spinta da motore diesel o a benzina.
Di conseguenza, nel nostro paese, si produrrà una riduzione di oltre cinquantamila posti di lavoro e un notevole danno alla nostra bilancia commerciale, dato che siamo grandi esportatori verso le imprese automobilistiche europee.
Altre risorse saranno quindi necessarie per porre rimedio a questa ulteriore conseguenza, comune a tutta Europa ma che, in Italia, assume un peso del tutto particolare.
Di fronte a tutte queste considerazioni, mi chiedo se scelte così drastiche e tempi così ristretti siano la decisione migliore per proteggere il futuro del nostro pianeta. Forse gli stessi legislatori europei hanno nutrito qualche dubbio in materia quando hanno proposto un possibile riesame nel 2025.
Come si suole dire in questi casi, si tratta però di una “pezza peggiore del buco” perché, nel frattempo, tutte le grandi decisioni saranno già state messe in atto, con le loro conseguenze, compresa quella di bloccare ogni ricerca per migliorare il funzionamento del motore endotermico.
*Il Messaggero del 19 febbraio 2023