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Il ”meramente occasionale” alle intese delle parti sociali

Il latte è stato versato ed ora si hanno a disposizione pochi mesi per non limitarsi a piangere (o ridere) su un referendum indetto dalla CGIL e su una decisione del Governo, indotta dalla “ragion di Stato”, di cancellare la norma istitutiva dei voucher. Dal 1 gennaio 2018 non si potrà più usare il tagliando dell’INPS per pagare i “lavoretti”. Entro quella data, dovrebbe essere disponibile una nuova soluzione perché, come ha detto Prodi, “il lavoro va sempre regolato”. Nella sciagurata ipotesi che non ci fosse, il lavoro nero tornerebbe inevitabilmente in auge. Non credo che i promotori del referendum e soprattutto il Governo auspichino questo esito. Il tanto peggio, tanto meglio non si addice né agli uni e né all’ altro.

Sappiamo, dunque, entro quando si deve decidere; non sappiamo ancora cosa verrà deciso. Le opinioni che circolano non sono tante. I protagonisti sociali pendono per il gioco di rimessa. Quelli politici – di governo e di opposizione, istituzionali e non – dicono e non dicono. Le carte sono ancora abbastanza coperte, dietro l’unanime dichiarazione che qualcosa va fatta.

Il tempo stringe e mi sembra – come sta succedendo purtroppo con la legge elettorale – che la questione sia più di coagulo di volontà politiche che di merito. Infatti, come prima cosa, andrebbero messe da parte le polemiche. Se il voucher si sia dimostrato uno strumento di lotta al lavoro nero o no, se la furbizia e le convenienze hanno preso il sopravvento alle intenzioni del legislatore, se il sindacato sia stato disattento e finanche complice della crescita esponenziale dell’abuso dello strumento. Tutti argomenti buoni prima della soppressione della norma.

Ora è tempo di proposte, posto che nessuno si dichiari per una sepoltura perpetua del voucher. E bisogna ripartire da quella dizione che lo fece nascere: regolare le prestazioni “meramente occasionali” che però l’economia digitale ha reso trasversali nel mondo del lavoro e quindi sempre più penetranti nelle concrete attività produttive e non produttive. Questa è la lezione che ci lascia l’esperienza del “successo” dei voucher appena conclusa. E’ vero che “troppi datori di lavoro italiani esercitano la propria creatività non nel migliorare la propria creatività migliorando il proprio prodotto, ma nel trovare usi impropri nelle pieghe delle  diverse forme contrattuali disponibili, per lo più a svantaggio dei lavoratori” (Chiara Saraceno, L’abuso del voucher, la Repubblica, 23/04/2016). Ma è altrettanto vero che l’economia reale che ha reso possibile ciò che era imprevedibile quando nel 2003 la legge Biagi lo introdusse. E di questo è meglio prendere atto, anche perché – come dimostra anche lo sviluppo dei mini job tedeschi – la quota di persone coinvolte resta sempre una percentuale marginale ma anche strutturale dell’intero mercato del lavoro.

Se questa visione nuova ha un senso, il concetto di lavoro “meramente occasionale” va sottoposto a verifica empirica. E’ abbastanza diffusa la consapevolezza che bisogna fare una prima distinzione tra famiglia e soggetti non produttivi da una parte e tutta la gamma dei soggettivi produttivi di beni e servizi privati e pubblici dall’altra.

Per la prima area, è inevitabile che sia la legge a dare le coordinate e un ritorno ai contenuti della legge Biagi sarebbe la cosa più sensata da fare. In quella perimetrazione c’è la maggiore possibilità di emersione di lavori e lavoretti in nero ma anche di sviluppo di forme di lavoro regolato non solo nell’ambito dei servizi alle famiglie (baby sitter, assistenza anziani, e via dicendo) ma anche nelle attività occasionalmente ricorrenti (eventi sportivi e di entertainment, assistenza a congressi, ecc.). Tempo di lavoro,  remunerazione e contribuzione rappresenterebbero il minimo sotto il quale nessuno può andare.

Per la seconda area, la legge dovrebbe scegliere con determinazione la strada della pattuizione tra le parti sociali. La trasversalità del fenomeno è tale che la casistica rischia di essere un lenzuolo lunghissimo e per di più che si logora velocemente, man mano che l’economia digitale espande la sua potenzialità creativa. Il “meramente occasionale” non è concetto rigido e chi, se non le parti sociali, può stabilire i confini professionali, determinare le ore annue lavorate, le condizioni salariali di impiego. Soltanto se l’intesa tra le parti sociali non si raggiungesse, interverrebbe il Governo per surrogare gli inadempienti. C’è a disposizione l’esperienza dell’introduzione del lavoro interinale che può fare da falsariga per realizzare l’ obiettivo con il massimo di consenso possibile. Ovviamente, per ambedue le aree di intervento si dovrebbero mantenere le modalità di gestione semplificata del voucher, tramite l’INPS.

Un’ultima chiosa. Riguarda l’uso del referendum da parte del sindacato. Se non è fatto unitariamente, è inevitabile che la sua natura divisiva creerebbe solchi ancora più profondi non solo tra le organizzazioni ma soprattutto tra i lavoratori. Aggravato dal suo limite costituzionale abrogativo che oscura la capacità propositiva del sindacato. Ma anche se fosse fatto unitariamente, ciò che emergerebbe è la chiamata al voto di tutti gli italiani maggiorenni per negare  e non per indicare una via alternativa. Quest’ultima sarebbe stata possibile se fosse passata la riforma costituzionale che prevedeva il referendum propositivo. Ma è solo storia miseramente passata. 

    

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