Sappiamo che la realizzazione del PNRR rappresenta una opportunità e una sfida storica per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese, il cui cuore è costituito dal lavoro nelle sue prospettive e nella sua qualità. Il lavoro è infatti investito in profondità dai processi di transizione digitale ed ecologica che rappresentano gli assi innovavi fondamentali del piano. Quindi non è azzardato affermare che dalla soluzione del futuro del lavoro dipenderà la stessa efficacia della realizzazione del piano.
Per questo il lavoro rappresenta anche il luogo dove il cambiamento e l’innovazione si presentano con maggiore profondità e con effetti potenzialmente controversi. L’innovazione tecnologica digitale, nelle sue diverse applicazioni sta cambiando il lavoro nella sua qualità, organizzazione, relazioni, poteri, per cui si sta consolidando un processo di superamento di alcuni lavori e di nascita di altri del tutto nuovi. La struttura delle imprese ne esce rivoluzionata e le vecchie gerarchie aziendali sono sostituite da nuove nelle quali la competenza diventa l’elemento discriminante. Questa rivoluzione del lavoro è frutto della forza del capitalismo, che reagisce alla crisi in atto con un processo di distruzione creatrice, nel quale, alla distruzione di buona parte del passato e all’emergere della novità, si tende a ridimensionare anche quanto di uguaglianza e giustizia sociale si è realizzato in precedenza, per cui l’equilibrio dei diritti del lavoro viene in buona parte sconvolto.
Assieme alle novità in direzione di un lavoro più qualificato e consapevole ricompaiono forme di sfruttamento che credevamo finite per sempre come dimostrano alcune forme inumane di lavoro precario e sottopagato che riducono il lavoratore privo di tutele e di potere contrattuale. Questa è la grande sfida che il sindacato italiano ha di fronte, la cui posta in gioco è la sua stessa sopravvivenza come soggetto autonomo di rappresentanza sociale sull’insieme delle condizioni e dei diritti del lavoro in azienda e nella società.
Questa grande trasformazione, che per profondità e velocità rappresenta un salto tecnologico e culturale tra i più significativi, credo, della storia dell’umanità, potrà determinare effetti diversi e anche contrapposti in relazione alla capacità di gestione e di regolazione dei conflitti che inevitabilmente genera. Cioè il lavoro potrà divenire più qualificato, legittimato e umanizzato o declinare verso forme di marginalità sociale, povertà e disoccupazione di massa. Per determinare un percorso verso la prima prospettiva, credo che il sindacato debba affrontare alcuni problemi di rappresentanza e di strategia.
Un sindacato è rappresentativo se riesce a rappresentare la maggioranza dei lavoratori, tendenzialmente verso il monopolio, nella tutela dei loro diritti e dei loro interessi. Un traguardo che si realizza con una regolazione contrattata della rappresentanza sulla quale su lavora da tempo, ma soprattutto con la spinta e l’ambizione di una classe dirigente capace di mobilitare e far crescere l’organizzazione verso questo obiettivo. Da questo punto di vista, rimango convinto che la ripresa del processo di unità sindacale darebbe un significativo contributo, avendo anche presente che l’attuale pluralismo sindacale, fondato in gran parte sulla storia passata, è sempre meno necessario per risolvere i problemi del lavoro di oggi e del futuro.
La fase attuale di crisi pandemica, sui versanti sanitario ed economico ha posto una serie di problemi vitali al sindacato sui quali la riflessione e la ricerca di risposte strategiche più efficaci deve continuare. La prima esigenza rimane l’attuazione del PNRR con un nuovo equilibrio tra soggetti pubblici e privati per tornare a crescere attraverso un eccezionale piano di investimenti per aumentare produttività e buona occupazione. In relazione a ciò, la richiesta temporanea del blocco dei licenziamenti, è stata una scelta giusta, ma il suo significato e valore è strettamente legato alla utilizzazione di questo tempo limitato per affrontare, tramite una iniziativa contrattuale con le controparti imprenditoriali, le nuove tutele del lavoro nella mutata situazione che si sta creando.
La sola difesa dei posti di lavoro esistenti, perde progressivamente valore ed è soggetta alle vendette del mercato, per cui è necessario spostare il baricentro degli obiettivi sulla qualità professionale del lavoratore per renderlo idoneo a ricoprire il posto di lavoro attuale modificato e a ricercare più facilmente un nuovo lavoro tra quelli che si presentano sul mercato. Allora scuola e università fino ai massimi gradi, formazione professionale estesa come fatto permanente connesso al lavoro, unite ad alcuni nuovi diritti di chi lavora, dovrebbero diventare l’asse centrale delle politiche attive del lavoro, delle quali tanto si parla e poco si fa. Lo strumento della contrattazione collettiva tra la parti sociali, per la sua flessibilità e aderenza al mutare della realtà, diventa indispensabile per superare il deficit qualitativo strutturale tra domanda e offerta di lavoro, cioè tra le competenze effettive dei lavoratori e i nuovi lavori che nascono dallo sviluppo tecnologico, e per favorire un processo legislativo più idoneo a tutelare i nuovi diritti del lavoro.
In tal modo, le parti sociali sono in grado di dare un loro indispensabile contributo alla crescita complessiva del Paese e si legittimano pienamente a partecipare a quel patto sociale che appare indispensabile per realizzare il PNRR al livello delle sue potenzialità. In caso contrario, pensare di affrontare i problemi del lavoro di oggi e di domani con gli strumenti puramente difensivi di ieri credo che per il sindacato contenga il pericolo di mancare a una sfida storica con gravi conseguenze per il suo futuro e per quello dell’Italia.