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L’assetto urbano tra mutazione e conoscenza

L’impatto delle città sui cambiamenti climatici, oltre ad essere aumentato nel corso del tempo, ha subito un processo di accelerazione negli ultimi 40 anni: i numeri ci dicono che nel 2050, secondo le stime ONU, è previsto che circa il 70% della popolazione vivrà in città. “L’azione umana degrada sempre più la biosfera, l’atmosfera, gli oceani, i continenti e, a livello locale le città, i fiumi, le colture.” (Morin) 

Molte città stanno cercando di far fronte alle conseguenze di questo impatto, con le proprie governance che si stanno orientando sempre più nell’individuare nel Piano per i Cambiamenti Climatici lo strumento strategico per un futuro diverso da quelli immaginati nel passato. È indispensabile cambiare strada, trovare una nuova via, un nuovo cammino: nuove direzioni per raggiungere un rinnovamento, la speranza di un diverso futuro. I sindaci più illuminati si stanno rendendo conto della portata della sfida e stanno adottando misure per proteggere le loro comunità e il rapporto uomo-natura. Le città stanno aprendo la strada verso un diverso futuro mettendo le persone e il Pianeta al centro della transizione verso un’energia sicura e pulita.

“Roma non è stata costruita in un giorno”, allo stesso modo questo processo ha necessità della gestione di due variabili fondamentali: il tempo e la conoscenza.

Questo significa che queste aree dovranno educarsi alla transizione, come un processo maieutico reciproco che possa gradualmente formarsi nella coscienza di amministratori e cittadini per poter agire in maniera pro-attiva, al contenimento prima e alla coesistenza dopo, rispetto una serie di stili di vita che possano essere orientati all’equilibrio tra uomo e natura.

Spesso all’interno delle città le strategie, le scelte, gli scenari futuri sono imposti: progetti architettonici, piani urbanistici, piani strategici, decisioni. Spesso, perché il tempo è tiranno, perché si deve fare entro una data, perché prevale il criterio dell’emergenza, dell’intervento straordinario rispetto a quello ordinario. Sarebbe opportuno ripensare la variabile tempo, anche perché “ … è il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.” (Antoine de Saint-Exupéry). Probabilmente dovremmo pensare ad addomesticarci (per citare ancora Saint-Exupéry) tra noi cittadini, per poter far sì che questa variabile abbia maggior peso nei processi decisionali riferiti al proprio futuro e al futuro dell’umanità e del pianeta che ci ospita. La maggior parte degli abitanti della Terra non ha la conoscenza, sia tecnica che intellettuale, per poter intervenire in quei processi decisionali che organizzano, progettano, gestiscono la nostra vita presente e, soprattutto, futura. A questo punto si potrebbe obiettare che sino ad oggi si è cercato di attivare processi di conoscenza e di scelte per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici, attraverso molteplici strumenti e metodologie, tutti eventi che hanno in comune la mancanza di un fattore fondamentale: la continuità nel tempo. Tre sono le parole chiave per poter attivare e seguire il processo maieutico che possa educare nel tempo: saper-fare, competenza e pazienza. Per fare ciò va ripensato il concetto di tempo: deve essere un processo continuo, con attività diversificate che vanno dalla formazione nelle scuole primarie alla gestione dei piani strategici. Tutte queste attività necessitano di un elemento fondamentale: la continuità nel tempo. La continuità diventa una delle parole chiave che deve essere tenuta in considerazione nell’educazione alla transizione: non più processi, ma stili di vita. Se l’uomo vuole vivere, deve cambiare, e per poter fare questo è necessaria una rivoluzione culturale che possa portare a una nuova evoluzione che possa far cambiare i principi del cambiamento. (Morin) 

Il fulcro diventa il passaggio tra i tempi della natura, i tempi dell’uomo e i tempi della tecnologia, che hanno velocità diverse: la nostra missione è cercare di rendere questi processi armonici tra loro. Durante la pandemia abbiamo visto che numerosi indicatori ambientali sono migliorati, abbiamo visto una rinascita delle componenti naturali. Non si può ignorare quel tempo e, anzi, quel tempo ci ha dato la conferma che bisogna eliminare progressivamente tutte le fonti inquinanti. 

Questo ci conferma che abbiamo necessità che ci sia uno sviluppo in armonia con i tempi degli eventi, senza che questi possano travolgerci e senza “l’assenza” di sviluppo: in una parola abbiamo necessità di una #transizione che sia principalmente culturale e che possa coinvolgere più persone possibili, una transizione che possa renderci consapevoli che dobbiamo essere solidali con il nostro pianeta e averne cura.

*Esperto in Pianificazione strategica per lo sviluppo e la governance locale 

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