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Tutte le novità dell’enciclica

«Fratelli tutti, scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va di là dalle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro “quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui”. Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona di là dalla vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita. 

Questo Santo dell’amore fraterno, della semplicità e della gioia, che mi ha ispirato a scrivere l’enciclica Laudato si’ nuovamente mi motiva a dedicare questa nuova enciclica alla fraternità e all’amicizia sociale. Infatti San Francesco, che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi».

I due paragrafi iniziali della nuova enciclica di Papa Francesco ne riassumono il contenuto, già anticipato nello stesso sottotitolo esplicativo del titolo stesso, Sulla fraternità e l’amicizia sociale. Due icone, Francesco d’Assisi e il Buon Samaritano della parabola evangelica: costituiscono dei riferimenti ideali, ma non astratti, costituendo la vita e la testimonianza del poverello d’Assisi e l’azione fraterna e solidale del Samaritano due buone pratiche con valore universale, prive di connotazione eroica che possono e debbono essere imitate.  Ad esempio nella narrazione, quasi la sceneggiatura di un film, della parabola del buon samaritano del Vangelo di Luca, si legge in Fratelli tutti: «L’inclusione o l’esclusione di chi soffre lungo la strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza. E se estendiamo lo sguardo alla totalità della nostra storia e al mondo nel suo insieme, tutti siamo o siamo stati come questi personaggi: tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito, qualcosa dei briganti, qualcosa di quelli che passano a distanza e qualcosa del buon samaritano».

Francesco parla in prima persona, abbandonando il tradizionale plurale maiestatis, dichiarando nell’incipit del primo capitolo, Le ombre di un mondo chiuso, di non avere la «pretesa di compiere un’analisi esaustiva né di prendere in considerazione tutti gli aspetti della realtà che viviamo», proponendosi «soltanto di porre attenzione ad alcune tendenze del mondo attuale che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale». 

In un fugace passaggio Fratelli tutti è chiamata enciclica sociale e, leggendo il lungo documento, diversi sono i riferimenti a precedenti documenti della cosiddetta dottrina sociale della Chiesa – espressione mai usata, però, in questo caso – dalla Quadragesimo Anno del 1931 di Pio XI, alla Sollecitudo rei socialis e alla Centesimus Annus di Giovanni Paolo II. A differenza delle precedenti encicliche sociali è definitivamente superata qualsiasi visione organicista della società, descritta in tutte le sue interne divisioni, contrasti e conflitti, ma anche il tono assertivo e aulico, nonché il metodo deduttivo, che per il vero era stato sostanzialmente dismesso da Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, del 1963, ricorrendo alla categoria biblica dei segni dei tempi

Se, per fare solo un esempio, nell’enciclica Quadragesimo anno, titolo che ricordava il quarantesimo anniversario della madre di tutte le encicliche sociali, la Rerum Novarum di Leone XIII, pur essendo pubblicata nel 1931, nel mezzo della grande depressione, vi era solo un vago e non esplicito riferimento, alla dirompente crisi economica seguita alla caduta della borsa di Wall Street del 1929 – la caduta rovinosa del mito del mercato autoregolato, secondo la pregnante definizione datane da Karl Polanyi. In Fratelli tutti, invece, è proposta un’analisi articolata dell’attuale temperie storica, socioeconomica e culturale della globalizzazione dominante, con una puntuale attenzione anche all’improvvisa pandemia del Covi 19, scoppiata mentre l’enciclica era in fase di elaborazione e una riflessione profonda e preoccupata sui fenomeni dei conflitti, delle migrazioni, delle tentazioni-derive xenofobe, autoritarie e populistiche.

Un’analisi a tratti molto cruda, che evita, tuttavia irreversibili cadute pessimistiche; Papa Francesco è bel lontano dalla categoria dei profeti di sventura, come li chiamava Giovanni XXIII, riferendosi anche a esponenti della Curia. Emblematico al riguardo questo passaggio dell’enciclica di Francesco: «Il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori. Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare. Con varie modalità si nega ad altri il diritto di esistere e di pensare, e a tale scopo si ricorre alla strategia di ridicolizzarli, di insinuare sospetti su di loro, di accerchiarli. Non si accoglie la loro parte di verità, i loro valori, e in questo modo la società s’impoverisce e si riduce alla prepotenza del più forte». Per Francesco la logica dell’apocalisse, che vede il mondo come un idolo contrapposto a Dio e ne prevede-auspica la fine, porta a dimenticare che siamo tutti fratelli. 

Padre Antonio Spataro anticipando una sintesi dell’enciclica su La Civiltà Cattolica ha scritto perspicuamente: «Fratelli tutti declina insieme la fratellanza e l’amicizia sociale. Questo è il nucleo centrale del testo e del suo significato. Il realismo che attraversa le pagine stempera ogni vuoto romanticismo, sempre in agguato quando si parla di fratellanza. La fratellanza non è per Francesco solamente un’emozione o un sentimento o un’idea, per quanto nobile, ma un dato di fatto che poi implica anche l’uscita, l’azione».

In Tutti Fratelli si fa esplicito riferimento ai principi della Rivoluzione francese, liberté, égalité, fraternité, per sottolineare che se la fraternità non si esercita veramente, sono perdute anche la libertà e l’eguaglianza e il mondo con loro. Ma della triade rivoluzionaria, il principio-obbiettivo della fraternité fu preso accantonato dai governi liberal-borghesi dell’Ottocento per essere rilanciato e praticato come solidarietà dal basso dal movimento operaio e, poi nel Novecento, specialmente dopo la tragedia mondiale e epocale della seconda guerra mondiale, dalle varie tipologie di Stati sociali che coniugano diritti civili, politici e sociali. Da questo punto di vista, come si legge nell’enciclica, la solidarietà intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari.

Di qui il forte timore espresso nell’enciclica che la politica non sia più «una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace». «Mi permetto di ribadire – si legge in un altro passaggio dell’enciclica – che la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia». Implicito appare il riferimento al pensiero profondo, anche nei suoi risvolti teologici, sulla politica come la forma più alta della carità espresso da Paolo VI, il grande papa della modernità, della cui enciclica Populorum Progressio in Tutti Fratelli sono presenti due puntuali rinvii. Se Paolo VI aveva sostenuto che «lo sviluppo è il nuovo nome della pace», in Tutti Fratelli si legge: «In effetti, «senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società, locale, nazionale o mondiale, abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità». 

La fratellanza-solidarietà concerne, infatti non solo quella tra gli uomini, a partire dai lavoratori, dagli ultimi, dai poveri e emarginati, ma anche tra i popoli e gli Stati, tra l’umanità tutta e la natura, della quale essa non padrona, ma custode, al fine di rendere possibile anche la solidarietà tra la generazione presente e le prossime venture.

A partire dalla lezione profetica di Giovanni XXIII contenuta nell’enciclica Pacem in Terris, che aveva definito il ricorso alla guerra con l’espressione categorica di alienum a ratione (rragionevole), ammorbidita nella traduzione italiana, Francesco scrive che per il «potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti» delle armi nucleari, chimiche e biologiche, la stessa posizione del  Catechismo della Chiesa Cattolica, dove contempla il diritto del ricorso alle armi in caso di legittima difesa, finisce per fornire alibi a questa ipotesi, finendo per giustificare la guerra preventiva. «Non possiamo più pensare alla guerra – conclude Francesco – come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta. Mai più la guerra!».

Sulla pena di morte, invece, rifacendosi a Lattanzio e Sant’Agosstino, ribadisce la posizione netta già espressa da Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae, scrivendo che essa, inadeguata sul piano morale e non più necessaria sul piano penale, «è inammissibile» e che, di conseguenza la Chiesa è deve essere impegnata a chiedere con forza la sua abolizione in tutto il mondo, così come l’ergastolo che si configura come «una pena di morte nascosta».

Alcune annotazioni finali sul linguaggio e sulla composizione della nuova enciclica. Fratelli tutti, come la precedente Laudato Si’ non è stata scritta   più in latino. Non si tratta di una novità assoluta, in quanto, ad esempio Pio XI ne scrisse una in italiano, nel 1931, Non abbiamo bisogno, contro le discriminazioni e le violenze del Regime fascista nei confronti dell’Azione Cattolica, e una in tedesco, nel 1937, Mit Brennender Sorge, contro il paganesimo nazista. Lo stesso Pio XII, che in Fratelli tutti non è mai citato, ne ha scritto una in francese, nel 1957, nella fase calane del suo lungo pontificato:  Le Pèlerinage de Lourdes. Per il vero in latino è stata pubblicata nel 2013 l’enciclica Lumen Fidei, scritta a quattro mani da Papa Ratzinger e Papa Bergoglio.

Novità assoluta, invece, il riferimento esplicito nella parte iniziale dell’enciclica, come fonte d’ispirazione per la scrittura dell’enciclica al Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato a Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, congiuntamente da Papa Francesco e da Ahmad al-Tayyeb, l’imam di Al-Azhar, il prestigioso centro teologico sunnita del Cairo. Se in Laudato Si’, il riferimento a Bartolomeo, il patriarca ortodosso di Costantinopoli, era un segno evidente del dialogo interconfessionale, in questo caso si va oltre, affermando con forza la necessità del dialogo tra le religioni, cui è dedicata l’ultima parte dell’enciclica, titolata significativamente, Le religioni al servizio della fraternità nel mondo: «Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza».

Nella consolidata tradizione delle encicliche le citazioni inserite nel testo provenivano dalle altre encicliche o documenti ufficiali e, ovviamente, dalle Sacre Scritture e dai testi dei padri della Chiesa. Non venivano mai citati neppure coloro che notoriamente avevano contribuito in forma decisiva alla loro stesura: è il caso di monsignor Pietro Pavan per la Pacem in Terris e del domenicano Louis Joseph Lebret di Heconomie et Umanisme per la Populorum Progressio

Nell’ultima enciclica di Papa Bergoglio le citazioni, numerose, oltre che alle encicliche già menzionate, alla Bibbia, ai Vangeli e alle Lettere degli Apostoli, nonché a padri della Chiesa come San Tommaso, Sant’Agostino, San Basilio, Sant’Ireneo, rinviano a documenti delle conferenze episcopali di diversi paesi, specialmente del Sud del mondo, al Talmud di Babilonia anche a studiosi e intellettuali laici e ecclesiastici di discipline differenti: tra gli altri, Gabriel Marcel, Karl Rahner, Georg Simmel, Paul Ricoeur, persino a un noto musicista brasiliano, Vinicio de Moraes, di cui si prende in considerazione il testo della canzone Samba delle benedizioni, nell’edizione italiana e al film del 2018, Papa Francesco di Wim Wenders. 

Di Paul Ricoeur in particolare è citato il libro, Histoire et vérité, tradotto in italiano dalle edizioni Paoline nel 1958 con il titolo, L’amore del prossimo. Da giovane era stato assiduo collaboratore della rivista Terre Nouvelle, organo del movimento dei Chrétiens  révolutionnaires, che aderirono nel 1936 al Fronte Popolare, dichiarandosi socialistes parce que chrétiens e avendo come simbolo la falce e il martello con una grande croce rossa in mezzo.

Tutti Fratelli si chiude con una suggestiva preghiera che alla prima strofa recita: 

Signore e Padre dell’umanità,
che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità,
infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno.
Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace.
Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno,
senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre.

Di ancor maggiore innovazione sono i due paragrafi finali, nei quali papa Bergoglio dichiara: «In questo spazio di riflessione sulla fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld».

 

*Professore emerito di storia contemporanea Università degli Studi Roma Tre

 

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