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Le prospettive dei diritti previdenziali e assistenziali (1)

Il nostro sistema di previdenza sembra avere raggiunto un periodo di fermo legislativo che pare possa consentire un tentativo di lettura unitaria di quel che sinora è accaduto alla luce dei vincoli di sistema extragiuridici e/o extranazionali, ovverosia i vincoli di tipo economico e i vincoli rinvenientisi nella legislazione dell’Unione Europea.

Utile punto di partenza è costituito dalla rappresentazione delle tendenze di medio e lungo periodo del sistema pensionistico che è stata fatta dalla Ragioneria generale dello Stato (2) .

La Ragioneria esamina:

  1. a)le novità legislative (la riforma pensionistica del Governo Monti, Ministri del Lavoro Elsa Fornero; i continui aggiustamenti per garantire i lavoratori esodati; i finanziamenti all’integrazione salariale in deroga);
  2. b)le speranze di vita della popolazione italiana alla fine del periodo in esame, ovverosia l’anno 2060; il tasso di fecondità che dall’1,4 del 2010 arriverà all’1,6 del 2060; il flusso migratorio che dalle 280,000 unità medie del decennio in corso (2010 – 2020) si assesterà alle 180,000 del decennio 2050 – 2060;
  3. c)il tasso di crescita della produttività che dal 2018 dovrebbe raggiungere l’1,4%, per giungere al picco dell’1,6% del periodo 2041 – 2050 e scendere all’1,5% del successivo decennio;
  4. d)il tasso di  disoccupazione che, con riferimento al medesimo periodo sub c), passerà dal 12,4% del 2014 al 5,5% del decennio 2050 – 2060;
  5. e)il tasso di attività per la fascia di età 15 – 64 anni che raggiungerà il 70,4% nel 2060, con un incremento di circa 6,7 punti percentuali rispetto al livello del 2012;
  6. f)il tasso di attività per il sottoinsieme costituito dalla fascia di età 20 – 69 anni raggiungerà il 74,4% nel 2060, con un incremento rispetto al 2012 di 11,1 punti percentuali;
  7. g)il tasso di occupazione che passa dal 56,8% del 2018 al 66% del 2060 (3).

         Sulla scorta del delineato scenario il Prodotto interno lordo  (PIL) reale si attesta all’1,5% annuo nel lungo periodo, con una crescita nel primo decennio, una sua decrescita nel secondo ventennio e una leggere ripresa nell’ultima parte del periodo economico.

Individuati i riferimenti necessari per il corretto inquadramento delle tendenze nel sistema previdenza, la Ragioneria dello Stato giunge al risultato che l’evoluzione del rapporto fra PIL e spesa pensionistica, dopo la negatività del periodo 2008 – 2013, troverà una sua parziale compensazione nel biennio 2014 – 2015 e decrescerà a partire dal periodo 2015 – 2016, per almeno i successivi quindici anni, ovverosia sino al 2030.  

Dopo il 2030 si apre una fase di crescita che conduce al picco di circa il 15,6% nel triennio 2044 – 2046, per poi aversi una repentina discesa al 15,2% nel 2050 e un ulteriore discesa al 13,9% nel 2060, con una regressione della spesa pressoché costante nell’intero periodo considerato.

    Se si tiene fede pertanto a questa conclusione si può ragionevolmente ritenere che, nel periodo più vicino ovverosia dal 2014 al 2030 la riduzione della spesa pensionistica libererà risorse economiche che potranno essere destinate ad altri fronti del sistema previdenza, in specie a quelle forme di tutela da apprestare non solo in favore dei lavoratori disoccupati ma anche in favore di quei lavoratori che intervallano rapporti di lavoro a tempo determinato, tipo di lavoro che a quel che consta è ormai predominante, con periodi più o meno lunghi di non lavoro; nonché in favore di coloro che non sono mai riusciti a trovare un lavoro.

 

Sempre il cennato Rapporto passa poi a vagliare la spesa per indennità di accompagnamento e di comunicazione e la spesa per “altre prestazioni” destinate agli anziani e ai disabili non autosufficienti (Long term care – LCT), voce di spesa compresa nella spesa sanitaria pubblica e che risulta pari a circa 1,8 punti percentuali del PIL per l’anno 2013 (4).

Tale voce di spesa presenta una sostanziale stabilità nel periodo 2013 – 2017, per poi aversi una crescita progressiva che conduce a un rapporto fra spesa e prodotto interno lordo del 2,8% nel 2060.

Se poi si passa a sommare la spesa pubblica per pensioni, sanità ed LTC in rapporto al PIL si evidenzia un incremento nel biennio 2012 – 2014 (biennio in fase di conclusione), con il raggiungimento del valoro del 24,5%; tale valore di converso, nel periodo 2015 – 2029, diminuisce (si assiste pertanto a una diminuzione di spesa al pari di quel che accade per le pensioni nello stesso lasso temporale), per poi crescere nuovamente nel periodo 2030 – 2046, raggiungendo il valore del 24,8%, e infine decrescere sino al 2060, per assestarsi al valore del 23,6%.

   I dati economici afferenti al periodo più vicino, ovverosia al periodo che va sino al 2030, evidenziano anche per questa spesa, al pari che per la spesa per pensioni, una riduzione, con liberazione di risorse economiche, risorse che sommate a quelle che dovrebbero liberarsi per la riduzione della voce pensioni, oltre alle risorse sin da ora destinate alle integrazione salariali e alla disoccupazione, dovrebbero consentire al legislatore di delineare un’operazione strutturale riguardante le prestazioni da destinare ai soggetti in età di lavoro. 

E su tale tipo di prestazioni è da chiedersi se:

  1. a)sia ancora economicamente fondata la distinzione fra integrazione salariale, ordinaria e straordinaria e disoccupazione, oppure se sia più ragionevole prevedere una prestazione economica in favore dei lavoratori sospesi dal lavoro o che hanno perso il lavoro e infine se debba ancora prevedersi l’integrazione salariale in deroga;
  2. b)non possa prevedersi una prestazione economica, di natura assistenziale e non già previdenziale, in favore di tutti quei soggetti che non trovano lavoro e se questa prestazione economica, una volta decorso il periodo massimo della prestazione previdenziale sub a), non possa essere riconosciuta anche ai lavoratori licenziati o sospesi dal lavoro;
  3. c)per entrambi i tipi di prestazione non possa prevedersi una controprestazione da parte del beneficiario, che se non esercitata comporta la decadenza dal beneficio, e se non debba prevedersi da parte dello Stato una formazione costante e reale che garantisca l’appetibilità economica del lavoratore da parte delle imprese;
  4. d)tutte le nuove offerte di lavoro siano idonee a tutelare la professionalità del lavoratore e quindi se rifiutate comportare la decadenza dal beneficio previdenziale o assistenziale;
  5. e)il sistema di sicurezza sociale possa disinteressarsi dei sempre più frequenti periodi di non lavoro fa un contratto a termine e l’altro e se possa disinteressarsi dei livelli di remunerazione delle prestazioni fornite dai co.co.pro.;
  6. f)non si debba valutare un nuovo modello di accredito della contribuzione figurativa anche per i periodi non lavorati da parte dei lavoratori subordinati con contratti a termine e di determinati lavoratori autonomi quali si assume essere i co.co.pro. 

     A fronte di tale impegnativo compito di tipo strutturale, pare che le proposte legislative sinora fatte, da un verso quelle fatte da alcuni deputati (AC 857 e AC 929) e da altro verso il disegno di legge delega presentato dal Governo, si limitino a proporre modificazioni di piccolo cabotaggio tese alla sola risoluzione di problemi  di corto raggio che nulla hanno a che vedere con una visione di medio e lungo periodo del sistema previdenziale; visione si osservi necessaria per un legislatore che intenda garantire la tenuta non del sistema previdenziale bensì la coesione sociale di una collettività che è fatta di tutti i suoi membri, anche di quelli che per scelte altrui non hanno mai potuto lavorare o non possono lavorare e anche a questi si deve garantire una dignità di esistenza.

 

[1] Il presente scritto costituisce la versione ridotta dello scritto di apertura del Tema dibattuto nel prossimo numero, il 2 del 2004, della Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale e con il quale si tenta, dopo interventi plurimi e ravvicinati nella materia previdenziale, da un verso una ricostruzione il più possibile compiuta del droit constant, e dall’altro di individuare i futuri percorsi atti a garantire, nel medio e lungo periodo, la tenuta del sistema previdenza.

Al tema previdenza ha altresì dedicato i numeri del 2013, pubblicati nel corso di quest’anno, la Rivista delle politiche sociali – Italian journal of sociale policy.

[2] Si tratta del Rapporto n. 14 e della successiva Nota di aggiornamento.

[3] Sulla scorta di quest’ultimo dato si inferisce pertanto che nel 2018 vi sarà un tasso di inoccupazione/disoccupazione pari a circa il 47% ed è su questo dato negativo che è chiamato sin da ora a confrontarsi non solo chi deve apprestare situazioni economico-giuridiche per creare posti di lavoro, ma anche chi deve apprestare un sistema sociale che garantisca a questi soggetti l’esercizio dei diritti sociali o più ampiamente di quei diritti che lo rendono membro attivo di un gruppo sociale per migliorare se stesso e la comunità della quale fa parte.

[4] È opportuno ricordare che l’Italia destina alla spesa per l’esclusione sociale uno dei valori più bassi in seno all’Unione europea e siamo gli unici, insieme a Grecia e Ungheria, a non avere una reddito minimo di ultima istanza.

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