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Le rabbie sociali aprono un nuovo ciclo della democrazia

Nelle banlieue parigine basta un non nulla per far scattare la scintilla che incendia gli animi dei giovani figli degli immigrati, anche di seconda e terza generazione. Che si trasformano in ribelli quando la polizia diventa anch’essa provocatrice e violenta. Come è bastato un non nulla per vedere in piazza, a Bologna, migliaia di studenti universitari, contrari ai tornelli per entrare in biblioteca (!), scontrarsi con la polizia che non ha risparmiato manganellate. Come potrebbe bastare un non nulla in Germania perché Frauke Petry di Alternativa per la Germania divenga una insidiosa concorrente della Merkel al grido di “lotta all’Europa” e “chiudiamo i richiedenti asilo in due isole extraeuropee, una con donne e bambini e una con gli uomini”.

La lista del “basta un non nulla” potrebbe continuare, ma la sostanza sarebbe sempre la stessa: la rabbia sociale cresce, anzi per essere più precisi, le rabbie si espandono. Ovunque nel mondo. In modo inedito e complesso. Ma per restare nel nostro recinto, è evidente che la rabbia pervade i poveri, gli esclusi. Anche il ceto medio benestante alza il tono:  teme l’immigrato come un aggressore del proprio status e ordine. E pure quelle famiglie che hanno provato per un lungo ciclo a stare bene o discretamente; per effetto della lunga crisi, si trovano a scivolare, senza loro responsabilità, verso l’area dell’incertezza economica e sociale. Paradossalmente, anche chi è garantito o addirittura è ricco è in “sciopero”; non si fida delle scelte politiche che si profilano se è vero che la fuga dei capitali verso i paradisi fiscali continua, nonostante i rientri facilitati dal voluntary disclosure.

Rabbie, dunque, che hanno motivazioni diverse, alcune legittime, altre comprensibili, altre ancora del tutto inaccettabili. Rabbie che si cumulano, si intrecciano, si raggomitolano complicando di giorno in giorno le possibilità di soluzione. Ne sa qualcosa l’ex premier Renzi che, nel tentativo di dare risposte alle singole proteste, ha inondato la legge di stabilità del 2017 di norme e finanziamenti che, in parecchi casi, non solo sono sembrati improvvisati ma soprattutto declassabili a “mance”.

Un insieme di rabbie non fa una strategia politica. Al massimo, qualche forza politica può scegliere nel mazzo quelle che ritiene che possano portare più consensi. Altri soggetti politici possono fare spallucce, sperando che il tempo le stemperi senza dover pagare molti costi. In realtà, queste rabbie dai confusi segni, hanno un coagulo ed è l’opposizione all’establishment al potere. Senza differenze di colore, di schieramento e finanche di proposte politiche. Ancora una volta, l’esperienza del Governo Renzi aiuta a capire. La sua caratterizzazione anti austerity, che tanto fastidio provoca all’oligarchia europea, non è stata sufficiente a differenziarlo da quelli di Letta o di Monti, a farlo apparire “diverso”. Ne ha fatto le spese la riforma costituzionale, bocciata più “a prescindere” che per il merito. E ovviamente, ne ha fatto le spese anche chi più si è battuto per farla approvare.

Sembra di capire che la questione non è di facce nuove, di restyling della governance di un Paese. Ma di radicalità del cambiamento, di robustezza delle misure adottate, di credibilità gestionale. Le mezze misure non emozionano. Troppe priorità equivalgono a nessuna priorità. Se poi ci sono di mezzo le banche, le priorità dichiarate cedono regolarmente il passo. E fanno perdere autorevolezza. Senza dare quel taglio all’agire politico, il nodo che stringe l’insieme delle rabbie non si scioglie. La separazione del grano dal loglio non avviene.

Può darsi, che sia proprio giunto il tempo per aprire un ciclo nuovo negli assetti della democrazia, riguardante tanto la classe dirigente quanto i contenuti della politica. Circa la prima, se si vuole contrastare l’anti politica occorrerà andare oltre le responsabilità dei partiti e coinvolgere il ruolo dei corpi intermedi, a partire dal sindacato, dagli imprenditori produttivi e finanziari, dalla dirigenza della Pubblica Amministrazione. E’ all’ordine del giorno l’urgenza di una nuova assunzione di responsabilità che sappia far coincidere etica, competenza, rappresentanza. Soltanto così le risorse potranno essere gestite al meglio e non ricorrere sistematicamente all’imprimatur di Cantone.

Quanto ai contenuti, bisogna rendere evidente lo spartiacque che separa le diverse visioni del futuro. Fondamentalmente: tra europeismo e sovranismo, tra lavoro e assistenza, tra solidarietà e individualismo. Senza parole d’ordine forti, queste dicotomie faranno soltanto il gioco di quelli che vorranno riscuotere successo con le carte della paura e dell’autoritarismo. Invece, occorrono partecipazione e ottimismo. Non quelli formali o di maniera, ma quelli che consentono di far crescere la consapevolezza della inevitabilità di rendere una comunità più vivibile, che non reclami soltanto più libertà e onestà ma pratichi l’uguaglianza e la responsabilità.   

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