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Le tragiche conseguenze del colpo di stato in Myanmar

Il gravissimo colpo di stato inscenato dai militari birmani non arriva come un fulmine a ciel sereno. Anzi. Era stato preannunciato dal portavoce dell’esercito e poi smentito dal comandante in capo delle forze armate, ma nessuno ha mai seriamente pensato che le minacce iniziali fossero frutto di un mero travisamento.  E’ stata una scelta pianificata, e non perché i militari ritengano sul serio che vi siano stati 8.6 milioni di brogli elettorali, ma perché nelle recenti elezioni politiche l’USDP, il partito costola dei militari, ha ottenuto solo briciole, suscitando nei militari la forte preoccupazione che la  costituzione da loro imposta con la forza nel 2008 possa essere in futuro radicalmente riformata. 

Già ora gli accordi siglati in modo triangolare (militari, Lega Nazionale per la Democrazia o NLD e gruppi etnici) nell’ultima Conferenza di Panglong, nel contesto dei negoziati di pace in corso, prevedono di fatto di cambiare pezzi della costituzione, senza neanche passare per una formale riforma.  In primis, la questione del federalismo su cui si è raggiunto un accordo.

Su tutte le altre questioni chiave, dalla politica economica, finanziaria e commerciale, agli accordi internazionali, il nuovo parlamento composto per l’83% da parlamentari dell’NLD non avrebbe neanche avuto bisogno del sostegno del partito dei militari, per approvare leggi e riforme.  Questo è uno dei reali motivi per i quali Min Aung Hlaing, comandante in capo delle forze armate, ha architettato il colpo di stato. 

Molti si sono chiesti infatti il senso di questo golpe, immediatamente condannato dalle istituzioni internazionali e da quasi tutte le capitali, ad eccezione di pochissimi paesi asiatici (Singapore, Filippine e Tailandia), che per proteggere le violazioni dello stato di diritto a casa loro, hanno ribadito il principio di non interferenza nelle crisi altrui.  Significativo poi il laconico comunicato di Pechino.

Troppi sono gli interessi in gioco per i militari. In primis i rapporti con Russia e Cina. Mosca e Pechino, dai tempi della dittatura militare hanno difeso a spada tratta la giunta militare, sia al Consiglio di Sicurezza ONU che negli altri consessi internazionali dove la dittatura veniva posta sotto accusa. Il 25 gennaio scorso, appena sette giorni fa, il ministro della difesa russo è stato ricevuto con tutti gli onori a Naypidaw. Con lui una folta delegazione militare.  Il Ministro, pupillo di Putin, ha firmato accordi per la fornitura di sistemi missilistici terra- aria, di droni di sorveglianza e apparecchiature radar alla Birmania, già dal 2014 suo quinto maggior importatore di armamenti e aerei. “Proprio come un amico fedele, la Russia ha sempre sostenuto il Myanmar nei momenti difficili, soprattutto negli ultimi quattro anni“, ha dichiarato il Generale Min Aung Hlaing ai media russi.  

Ma anche la Cina non scherza. La visita del Presidente cinese Xi in Birmania, a gennaio 2020, aveva riacceso le aspettative del Paese di mezzo per la soluzione di questioni in sospeso,  come la costruzione della mega diga di Myitsone, i cui lavori erano stati bloccati dal governo di Thein Sein a causa delle tensioni con gli abitanti dell’area, o come il plurimiliardario China Myanmar Economic Corridor, nel quadro dei progetti strategici della famosa “One Belt one Road”, molti dei quali ora fermi a causa dei conflitti etnici ma anche  messi a rischio dalle norme di valutazione di impatto sociale e ambientale, da quelle sulla trasparenza e dall’impegno  del governo di Aung San Suu Kyi per la lotta alla corruzione nel sistema pubblico e privato.  

La Lady infatti sembra non essere molto amata a Pechino, proprio per aver cercato di introdurre regole per la sostenibilità degli investimenti esteri nel suo paese.  Una strategia che rischiava di imbrigliare le politiche cinesi nel paese delle pagode.  Senza parlare del pericolo di un eventuale effettivo accordo di pace globale che determinerebbe il controllo dei governi degli stati etnici sui grandi progetti e sulla distribuzione degli utili derivanti da tali investimenti.  

La Birmania occupa una posizione geografica unica nella Belt and Road Initiative. E’ un paese cuscinetto, all’incrocio tra l’Asia meridionale e l’Asia sud-orientale, e tra l’Oceano Indiano e la provincia cinese dello Yunnan, senza sbocco al mare. Da un punto di vista strategico per la Cina, è quindi uno dei due punti di accesso diretto all’Oceano Indiano. 

Così, anche a fronte di una risoluzione di condanna del colpo di stato da parte di tutto il Consiglio di Sicurezza ONU, Mosca e Pechino rappresenterebbero per i militari due grandi alleati. Consci che il mondo è pieno di conflitti, che i grandi paesi “che contano” sono stati travolti dalle gravissime conseguenze del Covid19, e contando sulle amicizie storiche, i militari si sono sentiti abbastanza sicuri da rischiare un colpo di Stato. E se qualcuno dovesse adottare delle sanzioni economiche, i generali birmani dormirebbero sonni tranquilli, sapendo, come è successo con le sanzioni adottate dopo la rivoluzione zafferano, che nessuno, neanche a Bruxelles, ha mai controllato seriamente la loro applicazione. 

 Così fra un anno, quando, secondo gli annunci dei militari si dovrebbero tenere le elezioni, i Generali sarebbero ancora saldamente al potere, senza doversi curare troppo degli effetti drammatici delle loro scelte sul popolo birmano.

 

 

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