Ringrazio il Direttore per le sue parole. Sono contento di accogliervi per un momento di riflessione su un tema di grande attualità, importante per il bene comune. Attraverso di voi, saluto tutti i lavoratori dell’Agenzia delle Entrate a livello centrale, regionale e provinciale. Vorrei condividere con voi qualche insegnamento del Vangelo, che possa aiutarvi nel vostro lavoro; e prenderò spunto dai principi-guida della vostra Agenzia: legalità, imparzialità e trasparenza.
Prima però dobbiamo ricordare che nella Bibbia non mancano i riferimenti al tema delle tasse. Fa parte della vita quotidiana, fin dall’antichità. Ogni impero che ha dominato sulla Terra Santa, e anche i re d’Israele, hanno instaurato sistemi di pagamento delle imposte.
La situazione più nota è quella delle tasse che i Romani esigevano al tempo di Gesù. Lo facevano tramite i “pubblicani”, i quali riscuotevano le imposte in cambio di un cospicuo compenso. E tra costoro c’era Zaccheo (cfr Lc 19,1-10), di Gerico, che Gesù andò a visitare e convertì, scandalizzando tutti. Pubblicano era anche Matteo, che Gesù chiamò proprio mentre stava al banco delle imposte; Matteo lo seguì subito, e divenne discepolo, apostolo ed evangelista (cfr Mt 9,9-13).
Il Caravaggio ha immortalato il momento in cui Gesù stende la mano verso di lui e lo chiama: aggrappato ai soldi, era, così [fa il gesto]. E qui c’è quello che Lei [il Direttore] ha detto all’inizio sul miserando et eligendo. Lo guarda con misericordia – miserando – e lo sceglie – eligendo. Lo guarda miserando et eligendo. Da quel momento, la vita di Matteo non è più la stessa: è illuminata e riscaldata dalla presenza di Cristo.
E a volte noi, quando preghiamo il Signore per prendere una decisione, chiediamo la grazia che ci illumini – e questo si deve fare sempre –, ma non sempre chiediamo l’altra grazia: che ci riscaldi il cuore. Perché una bella decisione ha bisogno di ambedue le cose: la mente lucida e il cuore caldo, riscaldato dall’amore. Forse Matteo avrà continuato a usare e gestire i propri beni, e magari anche quelli altrui, ma certamente con un’altra logica: quella del servizio ai bisognosi e della condivisione con i fratelli e le sorelle, come il Maestro gli insegnava.
La Bibbia non demonizza il denaro, ma invita a farne l’uso giusto, a non restarne schiavi, a non idolatrarlo. E non è facile usare bene il denaro, non è facile. A questo proposito, poco conosciuta ma molto interessante è la pratica del versamento della decima. Si tratta di un’usanza comune a diverse società antiche, che prevede il versamento al sovrano di un decimo dei frutti della terra o del bestiame da parte di coltivatori e allevatori. L’Antico Testamento, pur mantenendo questa pratica, le dà un altro significato. La decima serviva infatti a mantenere i componenti della tribù di Levi (cfr Lv 27,30-33), i quali, a differenza di tutte le altre tribù d’Israele, non avevano ricevuto in eredità una parte della Terra promessa. Il compito dei Leviti era di servire nel tempio del Signore e ricordare a tutti che Israele è il popolo di coloro che sono stati salvati da Dio. Non potevano quindi riservarsi un proprio patrimonio, ma dovevano vivere delle offerte delle altre tribù, che per questo venivano tassate. In quest’ottica, la decima per i Leviti serviva a far maturare nella coscienza del popolo due verità: quella di non essere autosufficienti, perché la salvezza viene da Dio; quella di essere responsabili gli uni degli altri, a partire da chi è più bisognoso.
In questo quadro, i principi di legalità, imparzialità e trasparenza diventano una bussola preziosa.
Legalità. Oggi, come ai tempi della Bibbia, chi riscuote le tasse rischia di essere percepito nella società come un nemico da cui guardarsi. E purtroppo una certa cultura del sospetto si può estendere verso coloro che sono incaricati di far rispettare le leggi. Eppure questo è un compito fondamentale, perché la legalità tutela tutti. È garanzia di uguaglianza. Le leggi consentono di mantenere un principio di equità laddove la logica degli interessi genera disuguaglianze. La legalità in campo fiscale è un modo per equilibrare i rapporti sociali, sottraendo forze alla corruzione, alle ingiustizie e alle sperequazioni.
Ma questo richiede una certa formazione e un cambiamento culturale. Come spesso si dice, infatti, il fisco viene visto come un “mettere le mani in tasca” alle persone. In realtà, la tassazione è segno di legalità e di giustizia. Deve favorire la redistribuzione delle ricchezze, tutelando la dignità dei poveri e degli ultimi, che rischiano sempre di finire schiacciati dai potenti. Il fisco, quando è giusto, è in funzione del bene comune. Lavoriamo perché cresca la cultura del bene comune – questo è importante! –, perché si prenda sul serio la destinazione universale dei beni, che è il primo fine dei beni: la destinazione universale, che la dottrina sociale della Chiesa continua a insegnare anche oggi, ereditandola dalla Scrittura e dai Padri della Chiesa. Lei ha elencato tra quelle cose che il fisco sostiene, i medici. Per favore, continuate con il sistema sanitario gratuito, per favore! E questo viene dal fisco. Difendetelo. Perché non dovremo cadere in un sistema sanitario a pagamento, dove i poveri non hanno diritto a nulla. Una delle cose belle che ha l’Italia è questo: per favore, conservatelo.
Secondo: imparzialità. Il vostro lavoro appare ingrato agli occhi di una società che mette al centro la proprietà privata come assoluto e non riesce a subordinarla allo stile della comunione e della condivisione per il bene di tutti. Tuttavia, accanto ai casi di evasione fiscale, di pagamenti in nero, di illegalità diffusa, voi potete raccontare l’onestà di molte persone che non si sottraggono al loro dovere, che pagano il dovuto contribuendo così al bene comune.
Alla piaga dell’evasione risponde la semplice rettitudine di tanti contribuenti, e questo è un modello di giustizia sociale. L’imparzialità del vostro lavoro afferma che non esistono cittadini migliori di altri in base alla loro appartenenza sociale, ma che a tutti è riconosciuta la buona fede di essere leali costruttori della società. C’è un “artigianato del bene comune” che andrebbe narrato, perché le coscienze oneste sono la vera ricchezza della società. A proposito di imparzialità, è sempre attuale l’indicazione di San Paolo ai cristiani di Roma: «Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto» (13,7). Non si tratta di legittimare qualsiasi potere, ma di aiutare ciascuno a «compiere il bene davanti a tutti gli uomini» (Rm 12,17).
Terzo: trasparenza. L’episodio evangelico di Zaccheo ricorda la conversione di un uomo che non solo riconosce il proprio peccato di aver defraudato la povera gente, ma comprende soprattutto che la logica dell’accumulare per sé lo ha isolato dagli altri. Per questo restituisce e condivide. È stato toccato nel cuore dall’amore gratuito di Gesù che ha voluto andare proprio a casa sua. E allora dichiara apertamente ciò che farà: la metà di ciò che possiede la darà ai poveri e restituirà quattro volte tanto a chi ha derubato. Restituisce con interessi generosi! In questo modo dà trasparenza al denaro che passa tra le sue mani. Il denaro trasparente: questo è il fine. Il fisco è spesso percepito in modo negativo se non si capisce dove e come viene speso il denaro pubblico. Si rischia di alimentare il sospetto e il malumore. Chi gestisce il patrimonio di tutti ha la grave responsabilità di non arricchirsi.
Nel 1948, Don Primo Mazzolari scriveva ai politici cattolici eletti in Parlamento così: «Molto sarà perdonato a chi, non avendo potuto provvedere a tutti i disagi degli altri, si sarà guardato dal provvedere ai propri. Ridurre lo star male del prossimo non è sempre possibile: non prelevare per noi sulla miseria, è sempre possibile. È il primo dovere, la prima testimonianza cristiana. Di fronte a una tribolazione comune, le mani nette paiono una magra presentazione: ma i poveri non la pensano così. I poveri misurano da essa, non la nostra onestà, ma la nostra solidarietà, che è poi la misura del nostro amore». La trasparenza nella gestione del denaro, che proviene dai sacrifici di molti lavoratori e lavoratrici, rivela la libertà d’animo e forma le persone a essere più motivate nel pagare le tasse, soprattutto se la raccolta fiscale contribuisce a superare le disuguaglianze, a fare investimenti perché ci sia più lavoro, a garantire una buona sanità e l’istruzione per tutti, a creare infrastrutture che facilitino la vita sociale e l’economia.
Cari fratelli e sorelle, San Matteo vi custodisca e sostenga il vostro impegno sulla strada della legalità, dell’imparzialità e della trasparenza. Non è facile, ma insegnateci questo: lavorate perché tutti noi capiamo questo. Queste cose sono importanti. Anch’io vi accompagno con la mia preghiera e la mia benedizione e anche la mia vicinanza. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.
* Discorso alla delegazione dell’Agenzia delle entrate, 31 gennaio 2022