E’ la prima volta che vedo tanti sindacalisti insieme. Finora conoscevo solo alcuni di voi, e sono onorata di vedere che molte persone hanno a cuore il destino del mio paese natale – l’Ucraina.
Sono già stata ospite di una iniziativa della Cisl del Veneto, organizzata dalla Segretaria Franca Porto, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, l’8 Marzo del 2014. All’epoca, la guerra era cominciata da pochi giorni, e nessuno poteva presagire quanto a lungo si sarebbe protratta. Per noi, erano giorni di rinascita e di speranza. Piangevamo i cento morti sulla Piazza dell’Indipendenza a Kyiv, e credevamo che quello sarebbe stato l’ultimo sangue. Invece era solo l’inizio.
Ma permettetemi di presentarsi.
Mi chiamo Marina Sorina, e vengo da Verona, sono vice-presidente dell’associazione Malve di Ucraina.
La mia identità è fatta da tanti componenti: sono nata in una famiglia di ebrei atei e comunisti di terza generazione. I miei bisnonni hanno fatto la rivoluzione, insieme, poi lui ha passato 20 anni nel GULAG, e lei ha insegnato la storia del marxismo all’università. La loro lingua madre era lo yiddish, ma hanno scelto di parlare russo per integrarsi meglio.
Sono nata a Kharkiv, una città ormai tristemente nota per aver subito i bombardamenti insensati e crudeli. Fino al 24 febbraio 2022 invece era la città dell’arte, dell’industria e della scienza, la seconda città più grande del paese. Ci viveva circa un milione e mezzo di abitanti, poco più di Milano, per intenderci. Quanti di loro sono ancora i vivi, non lo so.
Non so nemmeno se sono ancora vivi i miei genitori. Stamattina mi è mancato il coraggio di verificare, perché devo parlare qui ed ora con voi e non voglio essere demoralizzata. Spero sempre per il meglio.
Loro, pur potendo essere evacuati in Israele, non hanno voluto saperne. Dicevano: “in questa casa siamo protetti, fuori casa saremo vulnerabili come lumache senza guscio”. E poi, “I russi sono una nazione colta, non faranno mai danni alla popolazione civile”. Così sono rimasti bloccati al 12° piano con ascensore fermo. Il nonno Vladimir è ancora convinto che si tratti di un errore, e che fuori ci sia un temporale. Ogni notte un temporale.
Non so nemmeno se è viva mia sorella. Lei non ha tempo di scrivermi, impegnata a salvare vite umane. Suo padre era oriundo di Cuba, e lei prima del febbraio 2014 faceva la traduttrice dallo spagnolo. Con l’inizio della guerra, ha voluto imparare un nuovo mestiere: quello del paramedico. In questi anni ha preso la laurea in infermieristica. Adesso le tornerà utile.
Lei è sul fronte, a Kharkiv, ma il fronte è dappertutto. Anche qui, in Italia, io sto combattendo, contro l’indifferenza, l’incredulità, la faciloneria, il benaltrismo.
Qui, so che verrò ascoltata da voi, amici e amiche del CISL, ma se guardiamo oltre questa sala, troveremo un mondo di persone che fanno “business as usual”. Si aggrappano alle loro certezze e agli schemi ideologici obsoleti, mentre la terra si sgretola sotto i piedi. Loro hanno ancora il lusso di vivere la propria vita senza accorgersi che il mondo è cambiato. Dopo la strage degli innocenti perpetuata ieri dall’esercito russo a Mariupol, nessun bambino e nessuna madre è al sicuro, sul nostro continente.
Mentre noi parliamo, oltre 44 milioni di europei, – gli ucraini, – sono nel mirino dell’esercito russo. A guidare questo esercito ubbidiente, c’è un autocrate, sostenuto da una folta schiera di ministri, generali e propagandisti del regime, a loro volta sostenuta dalle ampie masse popolari, che considerano normale esultare per questa guerra. Attaccano sulla propria macchina l’adesivo “1941-1945: possiamo ripetere”, e arrestano i bambini che manifestano contro la guerra. I russi hanno scatenato la prima guerra in Europa del nostro secolo, e le loro minacce di attacco atomico non sono parole vuote, ma un piano d’azione.
Il presidente della Federazione Russa nutre il suo potere di bugie, premeditate, organizzate e diffuse dal Cremlino.
Una su tutte: abbiamo occupato le province di Doneck e Luhansk perché se non l’avessimo fatto, gli abitanti locali sarebbero stati costretti a parlare… l’ucraino, ovvero la lingua del loro proprio paese. Dopo che l’occupazione è iniziata e l’esercito ucraino ha cercato di riprendere il controllo del territorio, è partita una nuova accusa: c’è in corso un genocidio, vengono uccise persone su base etnica. Per smentirli, basterebbero le numerose testimonianze dei profughi dal Donbass, russi o ucraini che mi hanno raccontato dei crimini commessi ai loro danni dagli occupanti russi, sostenuti dalle bande criminali locali. Questi crimini sono testimoniati anche dal rapporto dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione, che hanno smentito la narrazione russa, definendo questa diceria come «falsità riprovevoli» e parlando invece di abusi e torture perpetrati dai cosiddetti «separatisti».
Questo, e tanti altri fake, continuano ancora a circolare, nonostante ci siano film, documenti, libri e persone che testimoniano la loro palese falsità. Anche in questi giorni, quando ormai la maschera di rispettabilità è stata gettata via, ci sono persone che non si vergognano a propagare le calunnie che ledono alla reputazione del paese aggredito.
Un altro luogo comune, un po’ più leggero, è quello che vede gli ucraini come “popolo delle badanti”. Premesso che essere badante è un lavoro importantissimo che richiede molte competenze e una forza d’animo non comune, devo dirvi che questa concezione è assai lontana dalla realtà.
Solo in queste due settimane, ho avuto proposte di aiuti professionali dagli ucraini specializzati in logistica, marketing, psicologia, pedagogia, traduzione, giornalistica, design, medicina, infermieristica; servizi offerti dai ristoratori, trasportatori, parrucchieri e dentisti. Fra i nostri volontari ci sono studenti di lettere classiche e campionesse di ginnastica ritmica, c’è un ballerino dell’Arena e una professoressa dell’Università Statale di Milano. E queste sono solo persone che conosco io. Sono sicura che se ci pensate, ne conoscerete qualcuno anche voi.
Se prima, molti di noi non ci davano importanza, e vivevano perfettamente integrati senza distinguersi granchè dal resto dei concittadini, se non per qualche cognome difficile da pronunciare, ora noi diamo priorità alla nostra prima appartenenza, minacciata.
Stiamo affermando di essere un popolo con una propria dignità e storia, che ha anche tante somiglianze con il popolo italiano. Anche voi avete dovuto combattere per vent’anni nelle guerre risorgimentali contro l’impero Austro-ungarico, di cui tra l’altro facevano parte alcune regioni dell’attuale Ucraina.
Forse non ve lo ricorderete, ma i moderni ideali ucraini di indipendenza e di stato repubblicano si basano sulle idee di Giuseppe Mazzini, a cui si ispirò il nostro Nikolaj Kostomarov. Quando Daniele Manin, anche lui di origine ebraica, proclamava la Repubblica di Venezia a metà del 1800, Kostomarov fondava la Confraternita dei Santi Cirillo e Metodio per promuovere la libertà dei popoli nell’Impero russo.
Nei primi del ‘900, anche gli italiani, come noi negli ultimi decenni, furono costretti ad emigrare e ad applicare i propri talenti altrove. E, come gli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale, siamo pronti a difendere la nostra libertà ed indipendenza.
Ma c’è una differenza importante. Gli italiani che andavano a fare i gastarbeiter in Germania o in Francia, potevano poi tornare a casa e godersi almeno la vecchiaia agiata. A dir il vero, era anche mio, questo sogno. Una bella casetta in riva del Mar Nero, a Odessa. Questa guerra che abbiamo cercato di scongiurare, comporta la distruzione di tutto ciò che milioni di emigranti ucraini hanno contribuito con le loro rimesse a costruire negli anni, insieme a chi è rimasto a casa per portare avanti la modernizzazione e de-sovietizzazione del paese.
Ora è tutto vanificato. Case, ponti, strade, ospedali, scuole… Provate ad immaginare se fosse successa la stessa cosa con i sacrifici di quei milioni di italiani, tra cui i vostri padri e madri, nonni e nonne veneti, emigrati tra il 1950 e il 1960 in tutta Europa? Se dopo la faticosa ricostruzione post-bellica, invece del benessere atteso e meritato con la fatica e l’impegno, arrivasse l’annichilamento?
Il 24 febbraio 40 milioni di ucraini si sono svegliati trovando l’invasore russo. Nei giorni successivi milioni di donne e uomini, dalle più diverse idee e fedi, hanno lasciato le loro case e si sono arruolati.
Lo hanno fatto, accettando l’eventualità di morire, ma non di soccombere.
Hanno dimostrato che la libertà e la patria valgono più del quieto vivere.
A livello morale, hanno già sconfitto l’esercito della Federazione Russa.
Lo hanno sconfitto nella storia, prima ancora che con le armi.
Ma vorrei tanto che la vittoria non sia solo etica.
Credo nel principio basilare della Costituzione Italiana che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Credo altrettanto, che il paese che viola questo principio basilare debba essere fermato. L’art. 52 afferma che “La difesa della Patria è il sacro dovere di ogni cittadino”. E noi, ucraini stiamo facendo ciò che la vostra Costituzione dispone. Anche noi ucraìni abbiamo il dovere di difenderci, in tutti i modi, come ogni altro popolo. e come hanno fatto gli italiani tra il 1943 e il 1945.
Aiutateci in questo nostro dovere.
La Costituzione Italiana è nata dalla Resistenza, nella lotta armata per la Liberazione. È stata conquistata con il sacrificio di migliaia di vite, e se fossero disarmate, il conto sarebbe più alto e il risultato, probabilmente, diverso.
Arriverà, se non oggi sicuramente domani, anche il nostro 25 Aprile e lo festeggeremo insieme, qui nei paesi e nelle città del Veneto e in Ucraina, da europei liberi.
Ma se non sconfiggiamo il sistema corrotto e mostruoso che tiene in ostaggio
il proprio popolo,
i popoli vicini e
il continente intero
con un delirio di onnipotenza distruttrice, forse non ci sarà nulla da festeggiare.
I partigiani di oggi siamo noi, ucraini.
E se vinceremo o no, dipende da ciascuno di noi.
*Intervento al Congresso della CISL Veneto 10 – 11/03/2022