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Lo scontro governo-magistratura che delegittima le istituzioni

L’arrogante esibizione della ministra Santanchè in Senato, risultata indagata da alcuni mesi, che non ha per nulla convinto l’opposizione e ampi settori della maggioranza, circa il suo comportamento imprenditoriale, che avrebbe dovuto essere improntato a “disciplina e onore”, come prescrive l’art. 53 della Costituzione. Nello stesso tempo, si è verificata l’imputazione coatta nei confronti del sottosegretario Delmastro da parte di una giudice che ha respinto la richiesta di archiviazione della procura romana, per la nota vicenda della rivelazione di segreto d’ufficio su fatti riguardanti avversari politici. Inoltre, si è manifestata l’indecorosa difesa del Presidente del Senato La Russa del figlio diciannovenne Leonardo, indagato per violenza sessuale nei confronti di una ragazza invitata a casa sua, dopo una serata in discoteca. 

Di fronte a questi fatti, il governo Meloni ha aperto uno scontro frontale nei confronti della magistratura, accusata di interferenza politica tesa a bloccare le riforme che l’esecutivo ha in animo di fare. Uno scontro durissimo, che fa pensare agli analoghi conflitti dell’epoca berlusconiana, orientato ad una difesa politica globale dell’operato dei membri del governo e, implicitamente, della seconda carica dello Stato, con l’intervento diretto della stessa premier Meloni, che ha indicato, sulla base delle suddette presunte motivazioni, una precisa strategia politica delle toghe tesa a determinare l’apertura della campagna elettorale per le elezioni europee del 2024. 

Ora, si può discutere su alcune contraddizioni della magistratura e su qualche reazione sopra le righe dei magistrati dell’Anm, ma non c’è dubbio che questa radicalizzazione dello scontro parte soprattutto dalla volontà del governo di difendere comunque l’operato della propria coalizione politica per fugare ogni ombra circa la sua sostanziale correttezza. Un comportamento che denota una concezione dell’esercizio del potere che difficilmente si coniuga con le regole della democrazia. 

I giudici, come insegna con chiarezza e rigore la Costituzione all’art. 101 “sono soggetti soltanto alla legge” e devono giudicare i fatti alla luce di questa, con indipendenza e imparzialità, senza soggezioni alla maggioranza parlamentare del momento. Di fronte ai comportamenti dei soggetti indicati e la dura reazione, tutta politica, del governo è difficile non intravedere una implicita richiesta di impunità che porta ad accumulare e a non risolvere i conflitti politici. 

La Ministra del turismo, sulla base di una presupposta difesa del proprio operato, non ha chiarito, la realtà dei fatti che la riguardano, lasciando aperte tutte le questioni che depongono per le sue dimissioni,e, dichiarando che si difenderà solo in tribunale, ha goffamente cercato di cancellare le motivazioni essenzialmente politiche che la pongono sotto accusa. Lo stesso sottosegretario Delmastro non ha mai mostrato un minimo ripensamento sul suo operato che, nella sostanza ritiene doveroso e corretto. Infine, il comportamento di La Russa, data la dignità della carica che ricopre, risulta quello più negativo, e la sua stessa condizione di padre non proietta alcun sentimento di comprensione sulla dura realtà dei fatti. Per sua stessa dichiarazione, egli ha visto una ragazza nella camera di suo figlio e si è limitato ad interrogarlo e poi, in aperta e indecorosa contraddizione con il suo incarico, a difenderlo sulla base del presupposto che la ragazza avrebbe assunto droghe. 

Nel complesso, dal punto di viste del rispetto e della responsabilità istituzionale, si tratta di gravi cadute di etica e qualità politica di una classe dirigente, arrivata in gran parte al potere all’improvviso, e il fatto, grazie anche ai limiti dell’opposizione, di non avere problemi di tenuta numerica della maggioranza, la spinge a dare il peggio di sé, nella convinzione di poter usufruire dell’impunità. 

La incessante propaganda di parte, tesa a conquistare comunque il consenso, come unico parametro di misura della qualità dell’azione politica, la spinge sempre più spesso a sostenere l’indifendibile e quindi a proiettare ulteriore discredito nei confronti delle istituzioni democratiche e, più in generale della politica. Per l’anomala condizione del nostro sistema politico, la possibile caduta del governo non risulta tra le conseguenze di questo degrado politico-istituzionale, per cui è lecito aspettarsi un’ulteriore regressione.

 Ciò che invece appare sempre più certo è che tale condizione risulta incompatibile con la possibilità di ripresa dell’Italia mediante il progressivo superamento dei suoi numerosi ritardi storici. La tragica esperienza della gestione del PNRR lo dimostra in modo lampante. Il problema sempre più attuale, nella sua drammaticità, è quale Italia stiamo lasciando ai nostri figli-

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