L’impegno del Governo nel contrasto all’evasione fiscale è stato ripetutamente ribadito. E in proposito si fa spesso riferimento al fatto che l’attività di accertamento dell’Agenzia delle Entrate fornisce ogni anno un gettito aggiuntivo (lievemente) crescente nel tempo, di circa 15 miliardi di euro.
In verità le cose stanno diversamente: i 15 miliardi in questione sono infatti semplicemente il risultato dell’attività di controllo ordinaria della amministrazione, e non incidono minimamente sull’enorme stock di gettito sottratto al fisco che gli esperti valutano in almeno 130-140 miliardi di euro l’anno, tra l’8 e il 9% del Pil, più del doppio dell’evasione riscontrabile nei principali Paesi europei.
Questo stock di gettito evaso rimane, infatti costante anno dopo anno, dimostrando che l’attività di controllo non è particolarmente efficace per la riduzione strutturale del fenomeno.
Inoltre la composizione dei 15 miliardi ricordati suscita qualche preoccupazione. Infatti, il recupero di gettito derivante dalla attività di accertamento in sostanza rappresenta solo poco più della metà del totale, mentre l’altro 50% deriva dalla semplice correzione di irregolarità di vario genere (errori di calcolo, versamenti non tempestivi…) attraverso il ricorso a sistemi di liquidazione automatizzata che recuperano gettito mancante, ma non esprimono una particolare capacità di iniziativa da parte della amministrazione.
Il gettito attribuibile ai controlli sostanziali, inoltre, è il frutto di interventi che possono risalire anche a molti anni addietro, o alla chiusura di antichi contenziosi per cui non rappresenta la misura della efficacia dell’attività amministrativa corrente. Al contrario, come ha osservato la Corte dei Conti nella relazione al Rendiconto Generale dello Stato per il 2015, sono in caduta sia il numero dei controlli che degli accertamenti.
Inoltre, il ricavato medio di tali attività è particolarmente basso, intorno a solo 1550 euro, mentre aumenta in modo inquietante l’ammontare dei mancati versamenti, cioè di imposte dichiarate e non versate, cresciuti dai 10,7 miliardi del 2009 ai 15,8 del 2013 e in crescita anche successivamente. Si tratta sia di imposte proprie del contribuente, sia della appropriazione di ritenute operate (e cioè di imposte dovute da altri contribuenti), sia di Iva regolarmente pagata da altri contribuenti.
In sostanza, oltre 3 milioni di contribuenti utilizzano il fisco come strumento di autofinanziamento, mentre l’attività di controllo automatico riesce a recuperare ogni anno meno della metà della minore imposta accertata, sia perchè spesso i contribuenti risultano nullatenenti, sia perchè sempre più spesso si tratta di frodi preordinate che lasciano poche tracce.
In conclusione, c’è poco da essere ottimisti. L’attività di controllo della amministrazione appare in crisi, insufficiente, con efficacia limitata e con prospettive non esaltanti. Ciò è dovuto a diversi motivi: la forte riduzione del personale negli ultimi anni, l’impegno prioritario dell’Agenzia nella gestione della voluntary disclosure (che essendo una attività non ricorrente avrebbe richiesto l’assunzione di personale a termine) e soprattutto la crisi dell’intero assetto dirigenziale della Agenzia cui non è stato posto rimedio. Ed in verità è piuttosto contradittorio ribadire l’importanza della lotta all’evasione e al tempo stesso mortificare chi dovrebbe effettuarla in concreto. Anzi in proposito va denunciato il rischio di una paralisi operativa totale della Agenzia delle Entrate dal momento che il 31 dicembre prossimo scadono per legge gli incarichi dirigenziali attribuiti in via transitoria, e non sembra che si stia pensando ad una soluzione.
Stando così le cose, sarebbe necessaria una completa revisione del modo di funzionamento e della organizzazione della Agenzia che ormai appare datato rispetto alla evoluzione sia della tecnologia che del comportamento dei contribuenti. Una parte sempre maggiore dell’attività di controllo e monitoraggio dei contribuenti dovrebbe aver luogo a monte, e non solo in sede di accertamento a valle, mediante opportune modifiche legislative e investimenti in informatica e personale.
Alcune proposte importanti in proposito furono avanzate in un rapporto del Nens dell’estate 2014 che è stato sostanzialmente ignorato, salva l’adozione dello split payment di cui il governo mena vanto e che ha fornito un gettito più elevato della stessa stima (prudenziale) del Nens. Tutte le altre proposte non sono stateprese in considerazione, almeno finora, anche se nel complesso valgono tra i 40 e i 50 miliardi di euro che potrebbero essere recuperati senza troppa fatica in pochi anni.
In conclusione, e spiace dirlo, il contrasto all’evasione sembra uno dei punti più deboli dell’intera azione di governo.
(*) Economista e politico, più volte Ministro della Repubblica.