Vi è ancora qualcuno che ama parlare del Mediterraneo come “mare nostrum” ma quasi nessuno si pone l’ovvia conseguente domanda: “nostrum di chi“?
Eppure la risposta a questa elementare domanda dovrebbe interessare molto agli italiani e, soprattutto, agli italiani del nostro Sud, che mai potranno intraprendere una strategia di sviluppo se non con uno stretto legame politico, economico, commerciale e culturale con una sponda sud prospera e amica. E questo, purtroppo, non è il caso.
Non dobbiamo infatti dimenticare che un secolo fa i rapporti fra le due sponde erano più familiari di quanto non sia oggi. Decine di migliaia di italiani abitavano e operavano da Aleppo ad Alessandria d’Egitto, da Tunisi a Tripoli mentre i francesi popolavano l’Algeria. Una convivenza che non poteva certo durare all’infinito perché sorretta da un potere coloniale che, in ogni caso, non avrebbe potuto resistere al cambiamento dei tempi. Pur con questi limiti, la convivenza è continuata fino alla seconda guerra mondiale per essere poi messa in crisi dal processo di decolonizzazione e di formazione dei nuovi Stati nazionali.
Le grandi potenze europee (nel frattempo divenute piccole) si sono progressivamente ritirate, lasciando campo libero alle nuove grandi potenze. Stati Uniti ed Unione Sovietica si sono divise le zone di influenza, in un clima di continua tensione. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, gli USA sono rimasti gli arbitri del Mediterraneo, presidiato in lungo e in largo dalle loro truppe, anche se alcuni paesi, come la Libia, hanno lungamente perseguito una politica di ostile indipendenza.
La progressiva diffusione dei gruppi terroristici ha poi frammentato e indebolito le strutture di potere esistenti, mentre la primavera araba ha, per un attimo, fatto pensare ad un nuovo Mediterraneo che poi, fatta eccezione per la Tunisia, è rientrato nei collaudati schemi del potere autoritario.
Il tutto, naturalmente, con la permanenza dell’eterno conflitto israeliano-palestinese che, col passare del tempo, vede sempre più lontana la propria soluzione.
Le cose sono ulteriormente cambiate quando il presidente Obama, stanco per i conflitti senza fine, non ha più considerato il Mediterraneo come prioritario della sua politica, lasciando a Francia, Gran Bretagna e Italia la responsabilità primaria della sciagurata guerra di Libia.
Di questa drammatica instabilità ha naturalmente approfittato la Russia, ritornando nelle calde acque del “mare nostrum” con una forte presenza militare. Tuttavia, il fatto più rilevante è il formidabile ruolo economico esercitato dalla Cina, divenuta l’unica presenza operante in modo massiccio in tutti i porti del Mediterraneo. Una Cina che, con il lancio della Via della Seta, con l’acquisto del porto del Pireo e con i progetti di nuove infrastrutture di trasporto, sta intelligentemente utilizzando il Mediterraneo anche per arrivare più rapidamente ai grandi mercati del nord Europa. Nuove presenze che diventano sempre più intense da quando il Mediterraneo sembra diventare un lago di gas, con la scoperta di enormi giacimenti attorno all’Egitto, Cipro, Palestina e Israele.
L’interesse per il Mediterraneo è quindi altissimo ma non vede alcuna iniziativa organica da parte di quello che dovrebbe essere il protagonista principale: l’Unione Europea.
I paesi europei sono ovviamente molto presenti sotto l’aspetto commerciale e degli investimenti, costituiscono (terrorismo permettendo) l’origine dei maggiori flussi turistici verso sud, ma non vi è cenno di alcuna politica europea che possa definirsi robusta, sistematica e duratura.
Nel corso della mia presidenza della Commissione Europea si era pensato di lanciare un grande progetto chiamato “l’anello degli amici“, un progetto dedicato a costruire rapporti stretti e privilegiati con tutti i Paesi che stanno attorno all’Unione, ma non se n’è fatto nulla. Si era inoltre proposto di costruire una Banca del Mediterraneo, con parità fra rappresentanti del Nord e del Sud, ma non se n’è fatto nulla. Sempre in quegli anni la Commissione aveva proposto di costruire alcune università miste, con una sede in una città di un paese della sponda nord (ad es. Italia o Spagna) e di uno della sponda sud (ad es. Egitto, Tunisia o Libia) con un ugual numero di studenti e di professori del Nord e del Sud e un obbligo di frequenza equamente diviso fra Nord e Sud, e non se n’è fatto nulla.
Mentre l’apertura verso Est ha trovato un appoggio incondizionato anche dai paesi del Sud, la politica mediterranea è sempre stata confinata, soprattutto da parte del Nord Europa, nel ristretto settore degli aiuti economici di emergenza.
I cambiamenti politici brevemente illustrati e il drammatico flusso dei migranti ci obbligano a cambiare politica. Sono profondamente convinto che se Italia, Spagna e Francia riprendessero i progetti della banca mista, delle Università condivise e se rilanciassero finalmente una comune politica per il Mediterraneo, non vi sarebbe oggi la stessa opposizione che vi fu in passato. La realtà descritta in precedenza deve perciò servire di insegnamento per cambiare rotta. Soprattutto l’Italia è interessata a questo cambiamento, non solo per la sua antica tradizione mediterranea ma perché non è possibile alcuno sviluppo del Mezzogiorno se di fronte a noi c’è il nulla. Se non cambiamo politica tanto a Bruxelles quanto a Roma, Madrid e Parigi il “mare nostrum” sarà sempre più il mare “loro” cioè di Washington, Pechino e Mosca.
* pubblicato su Il Messaggero dell’11 giugno 2017