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Guerra cognitiva e giornalismo

La guerra cognitiva è un fenomeno complesso, molto complesso. Tocca la mente dell’uomo, tocca la dimensione cognitiva della persona, ovvero la sua capacità di elaborazione della percezione degli eventi del mondo.

Ho scritto, anche, che il bersaglio della cognitive warfare, citando uno dei suoi massimi esperti – du Cluzel – è “l’intero capitale umano di una nazione”.

Pertanto, il suo raggio d’azione è decisamente ampio e non ha un limite di tempo (come per le PsyOp), ma si svolge nel tempo, come sta avvenendo, da diverso tempo, tra la Repubblica Popolare Cinese e quella Democratica di Taiwan. Una guerra cognitiva fatta dalla RPC senza risparmiare nessun mezzo, neppure quelli illeciti. Vale a dire che per influenzare l’opinione pubblica di Taiwan non solo si è fatto un uso massiccio delle tecnologie della rete, ma anche dei rapporti politici e di quelli con la criminalità organizzata.

Come si vede, la guerra cognitiva intreccia tecnica e poteri di ogni tipo.

E questo pone un problema etico non da poco per una democrazia che si vuole difendere dagli effetti devastanti di una guerra cognitiva.

Quali mezzi di difesa può avere una democrazia che non voglia ingannare sé stessa e i suoi valori?

Il tema è complesso. Tra i diversi studiosi che se ne sono occupati citiamo il filosofo australiano Seumas Miller, docente anche in università europee, che in un suo intenso articolo accademico, Cognitive warfare: an ethical analysis, prende in considerazione alcuni strumenti di difesa, tra cui la regolamentazione dei media digitali, l’educazione culturale con le istituzioni universitarie e il giornalismo.

Quindi si potrebbe dire che una democrazia, per difendersi dalla manipolazione della guerra cognitiva attuata attraverso la disinformazione, deve creare contronarrazioni basate sulla verità sostanziale.

Miller esclude che una democrazia possa rispondere alla guerra cognitiva di un paese autoritario con la menzogna, perché ciò sarebbe contraddittorio ed immorale e significherebbe il venir meno ad un compito democratico.

Tra gli strumenti di difesa, abbiamo detto, c’è il giornalismo di qualità (cioè quello capace di fare inchieste e fact-checking puntuali, un giornalismo attento alla verifica delle fonti).

Ma il giornalismo può essere uno strumento potente di guerra cognitiva avversa, ovvero un diffusore di fake news e di disinformazione.

Come è il caso delle testate russe Russia Today e Sputnik, sanzionate dall’Unione europea con il blocco delle trasmissioni nel 2022.

Ora, in questo periodo della storia del mondo, come ha scritto lucidamente Lucio Caracciolo, dove vige l’Ordine del Caos, stiamo assistendo a più guerre cognitive.

Per cui, oggi tutta l’informazione di qualunque fonte è uno strumento di guerra.

Infatti, come afferma il sociologo dell’Università Cattolica di Milano Marco Lombardi, siamo in una condizione di Guerra Cognitiva Globale (è il carattere della Terza Guerra Mondiale a pezzi).

Mi hanno colpito due episodi, avvenuti in questi ultimi due mesi, che hanno preso di mira proprio l’Occidente: da un lato abbiamo il magnate Elon Musk, che attraverso l’uso massiccio di X, di cui è proprietario, ha condotto, e conduce, una vera propria guerra cognitiva contro governanti occidentali, tedeschi ma non solo, e il presidente ucraino Zelensky.

Contro quest’ultimo la campagna è stata violenta, a supporto di quella di Trump, per farlo percepire come il vero colpevole della guerra in Ucraina (Trump stesso lo ha definito un dittatore).

Trump poi si è scagliato anche contro l’Unione europea. Insomma, Trump ed Elon Musk stanno facendo guerra cognitiva a quelli che un tempo erano alleati.

Una guerra cognitiva, come tutte le guerre cognitive, si prefigge di destabilizzare istituzioni e leadership europee (quelle più lontane dal mondo MAGA).

Siamo entrati nel mondo di X, come lo ha definito Ezio Mauro, nel suo editoriale su Repubblica del 23 febbraio 2025, il mondo di Trump e di Musk. Per Mauro questo segna il cambio di regime, non solo di governo.

Questo è anche il tempo della sospensione della storia, che cancella il passato e la sua eredità democratica, è il nuovo alfabeto politico che sarà narrato dalla nuova scienza ipertecnologica.

La politica ridotta a forza, quanto basta per il nuovo impero in cui le alleanze saranno tali solo se significheranno affari (come dimostra la vicenda delle terre rare in Ucraina).

Se questo è il contesto dove si svilupperanno le nuove guerre cognitive, per il giornalismo capace di creare spirito critico, si tratta praticare quello che, il filosofo torinese Roberto Trinchero, chiama lo “scetticismo attivo”.

Scetticismo attivo vuol dire analizzare sempre le informazioni e non cedere alla postverità.

In questo ambito la guerra cognitiva è una grande sfida per riaffermare le ragioni del giornalismo.

Tutte queste considerazioni sono un bel patrimonio acquisito in questo cammino fatto con il Master e questa tesi, spero, ne rappresenta il frutto maturo.

*Conclusioni della tesi dell’autore al Master in Intelligence and Emerging Technologies, Università di Udine, Dipartimento Scienze Matematiche, Informatiche e Fisiche, 2025

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