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Meno decontribuzione e più soldi in tasca ai giovani neoassunti

Ha ragione Gentiloni. La proposta di legge di stabilità “non è regressiva”. Il PIL si può ragionevolmente attestare all’1,5% di crescita. Ma non è il massimo e il meglio che si poteva prevedere. La torta cresce, ma la qualità delle misure proposte non è univocamente orientata a spingere di più. Il maggiore indiziato di questa espansione con il freno a mano tirato è proprio quello presentato come il nocciolo duro e nobile della manovra. Riguarda la detassazione delle assunzioni a tempo indeterminato, presentata appunto come il miglior messaggio verso i giovani e la loro pluriennale attesa di entrare a pieno titolo nel mercato del lavoro.

La ragione della perplessità sulla sua efficacia si basa su un duplice ragionamento. Il primo è che l’intervento agevolativo interviene in una fase di ripresa produttiva che, di mese in mese, si consolida. Ciò ha già richiesto, da parte delle aziende, un recupero (quasi esaurito) dei cinquantenni, più professionalizzati e già fidelizzati. Lo certifica sia la caduta dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali, sia un ragguardevole aumento delle assunzioni dei giovani, ma a tempo determinato. Chi si straccia le vesti e inveisce contro il jobs act, sa benissimo che quando si incomincia, come si è fatto da molti mesi a questa parte, ad annunciare che ci sarà una decontribuzione per i nuovi assunti, le aziende si cautelano, ricorrendo al contratto a tempo determinato. Non vorrebbero perdere i benefici che potrebbero avere se facessero subito ricorso al contratto a tempo indeterminato.

Di conseguenza, non sorprenderebbe una massiccia trasformazione dell’uno con l’altro contratto, a valle della definitiva approvazione della legge di stabilità. Se si dovesse verificare questo ricambio, l’effetto espansivo in termini occupazionali non sarebbe significativo. Certo, ci sarebbe più stabilità e nessuno può sottovalutare quest’aspetto. Ma attenzione, è una stabilità “a tempo determinato”; dipende dall’andamento dell’economia, quando tra tre anni finiranno gli incentivi.

Il secondo rilievo sta nell’osservazione delle cause della ripresa produttiva. A differenza di altri Paesi e a giustificazione della modestia degli incrementi (1,5% di incremento del PIL è doppio rispetto all’anno precedente ma metà di quello spagnolo) c’è che a sostenere l’espansione è la domanda estera. Sappiamo rispondere bene alle sollecitazioni che vengono dal resto del mondo, su uno spettro di prodotti al cui interno non mancano eccellenze. Non tiene il passo la domanda interna e specificamente la spesa pubblica per investimenti e la spesa privata per acquisti di beni e servizi. Qualcosa si muove, specie a riguardo dei comportamenti dei consumatori e fa meraviglia il segnale di lieve crescita soltanto perché veniamo da una serie lunga di anni di quaresima.

Ora, tutti gli osservatori concordano che, sul fronte dell’export, le previsioni non sono strabilianti per ragioni commerciali ma anche per incertezze di prospettive di pace in tanti punti del pianeta. Se si vuole una ripresa non stentata, occorre che la domanda interna si metta a correre. Sul fronte degli investimenti pubblici, la lista delle cose sarebbe lunga e ripetitiva. Ma soprattutto è deprimente leggere che il 93% dei cantieri per opere anti dissesto geologico non è ancora partito per assenza di progetti operativi o per mancanza di tecnici nei comuni. Si stanzia ma non si spende e così il tempo scorre.

Resta la domanda dei consumatori ed in particolare quella del ceto medio e dei più poveri. E’ su questa platea che le disponibilità della legge di stabilità dovrebbe intervenire con maggior cura e determinazione. Le misure previste per il contrasto alla povertà vanno nella giusta direzione. Invece, ridurre temporaneamente il costo del lavoro delle imprese limitatamente ai giovani assunti è meno fruttuoso – ai fini della crescita della torta – che mettere soldi nelle giuste tasche. E se proprio si vuole dare centralità ai giovani che entrano nel mondo del lavoro, si opti esplicitamente per assicurare ad essi una detassazione reddituale per tre anni pari alla metà della spesa per la decontribuzione. Quest’ultima va assicurata soltanto alle aziende del Sud e a quelle che accrescono la loro base occupazionale.

Nella grande bagarre che regolarmente precede la formulazione della legge di stabilità, quest’anno si è molto distinto il Presidente della Confindustria. Si è impadronito della “priorità giovani” e l’ha ripiegata alle convenienze di chi rappresenta. Non rinunciando, ovviamente, a quanto di buono può venire al sistema produttivo dall’entrata in vigore del Piano Industria 4.0 . Ebbene, sarebbe ragionevole che, come non è più opportuno fare tagli orizzontali della spesa pubblica, si spiegasse a Boccia che non è giusto tagliare i contributi in modo uguale tra aziende disuguali nei comportamenti e nelle opportunità di mercato.                                      

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