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Il rischio è meno lavoro stabile, più partite Iva. *

Il rallentamento della crescita economica e il generalizzato clima di incertezza tra gli operatori iniziano a mostrare i primi effetti (negativi) sul mercato del lavoro. A febbraio gli occupati stabili, vale a dire a tempo indeterminato, diminuiscono di ben 33mila unità rispetto a gennaio. 

Prosegue pure il calo del lavoro a tempo, -11mila unità, complice qui soprattutto il giro di vite su contratti a termine e in somministrazione operato dal decreto dignità. A crescere, e quindi a rendere meno grigio il saldo occupazionale a febbraio sono gli autonomi, tra cui le partite Iva, +30mila posizioni; su cui pesa la normativa fiscale di favore (flat tax), che sta spingendo il lavoro autonomo a discapito di quello dipendente. 

Sono due i dati principali, nel report appena diffuso dall’Istat, che mostrano le difficoltà attuali del mercato del lavoro. Il primo riguarda la fascia di età centrale dell’occupazione, 35-49 anni. Ebbene, qui in un mese il numero di occupati è sceso di ben 74mila unità. In un anno si sono persi, sempre in questa fascia di età, qualcosa come 216mila posizioni. Qui a pesare, oltre all’economia in recessione, sono crisi aziendali in ripresa ed espulsioni, che al momento sono tamponate da proroghe temporanee della Cigs e dal boom di domande di Naspi. Servirebbe invece una soluzione strutturale con un mix di sussidi e politiche attive, a oggi al palo. 

Il secondo indicatore di un mercato del lavoro in affanno è l’occupazione nel tendenziale. In un anno i rapporti stabili sono crollati di 65mila unità. Quelli temporanei sono saliti di 107mila. Gli autonomi sono invece aumentati di 71mila unità. 

Cosa significa questo? Che i contratti a tempo indeterminato fanno fatica ad imporsi, complice certo il quadro di incertezza economica ma anche la totale assenza di una politica di incentivazione, esauriti gli sgravi generalizzati targati Jobs act. 

In questo quadro, completano la fotografia dell’Istat, il tasso di disoccupazione giovanile al 32,8 per cento, tra i più elevati in Europa, e +34mila disoccupati nel solo mese di febbraio. Su tutti questi numeri il reddito di cittadinanza non appare la misura di politica economica risolutiva: al più nei prossimi mesi farà salire il tasso di disoccupazione per una maggiore, e certamente positiva, riattivazione di soggetti ai margini. 

Il punto, tuttavia, è che non basta. Bisogna aggredire il costo del lavoro, far ripartire investimenti e produttività, ritornare a regole più flessibili sugli impieghi a termine. Tutto ciò va fatto subito. Visti i campanelli d’allarme sull’occupazione suonati prima dell’Inps e oggi dall’Istat. 

*da 24 ore.it 01/04/2019

**redattore del Sole24Ore, si occupa di education e mercato del lavoro

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