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Mille miliardi di alberi, una svolta

Non avrei scommesso un centesimo sulla possibilità che il G20 prendesse delle decisioni in grado di incidere significativamente sul futuro del clima del pianeta. Con gioia devo ammettere di aver avuto torto. Invece delle solite liste di buone ma vaghe intenzioni, questa volta è riportata nero su bianco una soluzione fondamentale che darà risultati importanti nella lotta al riscaldamento globale: piantare mille miliardi di alberi entro il 2030. Al paragrafo 19 della dichiarazione finale leggiamo che i leader del G20 «condividono l’ambizioso obiettivo di piantare collettivamente mille miliardi di alberi, concentrandosi sugli ecosistemi più degradati del pianeta, sollecitando altri paesi a unire le forze con il G20 per raggiungere questo obiettivo globale entro il 2030 con il coinvolgimento del settore privato e della società civile».

Si tratta, senza ombra di dubbio — qualora fosse effettivamente realizzato — di un passaggio fondamentale per garantire alla nostra specie un futuro più sereno, il cui merito va riconosciuto al G20 a presidenza italiana. Questi mille miliardi di alberi, infatti, rappresentano un’arma efficientissima per abbassare il livello dell’anidride carbonica (CO2) atmosferica da cui dipende direttamente l’aumento della temperatura media del pianeta, ossia il famigerato riscaldamento globale.

Per comprendere come mai gli alberi possono davvero fare la differenza nella lotta all’emergenza climatica bisogna che mi seguiate in un piccolo excursus storico. Se osserviamo un grafico dell’andamento della CO2 nell’atmosfera, diciamo dall’anno 1000 ad oggi, ci accorgiamo che il suo livello è sempre rimasto intorno alle 280 ppm (parti per milione) fin verso il 1800. Nel 1900 era ancora ben al di sotto di 300 ppm, mentre oggi è schizzato oltre le 410 ppm.

La causa da cui dipende questo improvviso innalzamento della CO2 negli ultimi due secoli è da ricercare nell’aumento esponenziale delle emissioni conseguenti alla rivoluzione industriale. C’è dell’altro, tuttavia, cui non si è mai riservato la dovuta attenzione. A partire dall’inizio della civilizzazione umana ad oggi, l’uomo ha tagliato all’incirca la metà di tutti gli alberi presenti sul pianeta. Erano 6.000 miliardi prima dell’invenzione dell’agricoltura, oggi ne sono rimasti 3.000 miliardi. Ne abbiamo tagliati, quindi, 3.000 miliardi nel corso degli ultimi 12.000 anni, con un’accelerazione straordinaria dal 1700 a oggi. Ora, queste migliaia di miliardi di alberi che abbiamo rimosso dalla superficie del pianeta svolgevano un ruolo fondamentale assorbendo dall’atmosfera — grazie al fenomeno della fotosintesi — enormi quantità di C2. In altre parole, gli alberi sono in grado di fare ciò che la nostra tecnologia è, per ora, in grado soltanto di sognare, ossia rimuovere CO2 dall’atmosfera a bassi costi ed alta efficienza. Talmente bene svolgono il loro lavoro che qualora ne piantassimo in quantità sufficiente potremmo finalmente raggiungere l’agognato risultato di abbassare il livello della CO2 nell’atmosfera.

Queste le premesse scientifiche che hanno guidato la scelta del G20 di appoggiare la proposta di piantare 1000 miliardi di alberi. Il fatto che sia stata accolta è una dimostrazione concreta di realpolitik.

Insistere soltanto sulle riduzioni delle emissioni non avrebbe portato a nessun risultato concreto (su questo sono ancora pronto a scommettere). Prima che i grandi produttori di CO2 comprendano l’assoluta necessità di ridurne le emissioni saranno, infatti, necessari molti anni di “conversione” ecologica. Nel frattempo, guadagniamo i decenni che ci servono piantando 1.000 miliardi di alberi. Al momento, questa del G20 è poco più di una dichiarazione di intenti, sebbene di importanza fondamentale. Sarebbe fondamentale che la COP26 confermasse nei prossimi giorni l’adesione a questa iniziativa e, soprattutto, che fossero destinati a questo obiettivo i fondi necessari ad attuarlo. Ma, intanto, congratuliamoci con questo G20 a guida italiana per lo splendido risultato.

 

*da La Repubblica, 2/11/2021

 

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