Le ultime crisi a partire dalla vicenda Ucraina, con il braccio di ferro tra Washington e Mosca,ed i crescenti conflitti irrisolti nel mondo, senza parlare della pessima gestione e conclusione della vicenda Afghanistan, della recente vicenda UE/Bielorussia, oppure di due grandi problemi irrisolti come Libia e Siria, necessiterebbero un veloce cambio di passo da parte della Unione Europea e una diversa coesione dei suoi stati membri.
Non c’è dubbio che in questo mondo globalizzato, ma multipolare e fortemente diviso sul piano politico, con la pandemia da Covid19 in corso, e l’aumento delle distanze tra paesi ricchi e poveri e tra paesi democratici e non, c’è bisogno di un salto di qualità della politica europea, alla cui base ci deve essere un cambiamento dei processi decisionali.
Ai tempi del trattato di Lisbona si pensava che le misure adottate in materia di Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e i suoi obiettivi potessero garantire un ruolo forte della UE nel mondo. Ma il dato di realtà mostra come l’Unione Europea sia attraversata da profondi disaccordi tra gli stati membri. Basta guardare alle emergenze legate al diritto all’asilo e all’immigrazione. Sempre meno le politiche europee sono incentrate sull’accoglienza e più sulla sicurezza delle frontiere esterne, che l’hanno trasformata in una fortezza.
Sempre più le politiche commerciali si sono dovute trasformare da motore di progressiva liberalizzazione dei mercati (ma ovviamente senza neanche una debolissima spinta all’equità del commercio) in meccanismi di tutela dalla aggressività da parte di Pechino.
Un numero crescente di paesi nel mondo non guardano più ai valori dell’Europa come faro di riferimento, ma si sono posti sotto l’influenza e il ruolo politico ed economico della Cina, della Russia di Putin e finanche della Turchia.
Ciò sta indebolendo, se non cancellandola primazia dello stato di diritto,dei diritti umani fondamentali, sostituendoli con modelli che poco hanno a che vedere con la democrazia. Significativa è stata l’approvazione di una risoluzione presentata dalla Cina al Consiglio ONU per i diritti umani, con il sostegno di una lunga lista di Paesi autoritari tra cui Bolivia, Bielorussia, Cambogia, Cuba, Pakistan, Siria, Sudan, Myanmar, che riorienta il lavoro dell’organismo ONU verso la cooperazione tecnica e il rafforzamento delle capacità degli stati, a scapito della responsabilità, con l’obiettivo è di opporsi alla politicizzazione dei diritti umani e della pressione sui paesi.
Le sfide sono enormi e riguardano soprattutto la questione centrale della democrazia, questione sottoposta a stress notevoli da alcuni anni a questa parte. In molti paesi siamo di fronte a una drastica riduzione e violazione delle libertà fondamentali, come la libertà di parola, dei media, di organizzazione. Lo stato di diritto e gli spazi di libertà civile e politica sono sempre più una chimera per troppi popoli. E di fronte all’aumento delle cosiddette “democrature” c’è bisogno di una UE forte in grado di contribuire a ridare forza e centralità al multilateralismo. Un percorso che se necessariamente portato avanti dai singoli Stati all’ONU, avrebbe bisogno di un robusto input da parte della UE. Una Europa più forte avrebbe potuto e dovuto evitare situazioni, come la pessima figura della mancata gestione dell’accordo tra Usa/Talebani per l’uscita dall’Afghanistan. Un accordo negoziato in solitario da Trump, in nome e per conto degli “USA, dei suoi alleati e della Coalizione” senza uno straccio di partecipazione ai negoziati dell’Europa e della Nato, per cambiarne la sostanza, a partire da questioni chiave come il rispetto dei diritti umani, delle donne, delle libertà fondamentali. Dove era l’Europa in tutti quei mesi?
Il 1 febbraio di un anno fa, la Birmania ha subito un violento colpo di stato militare. Da allora, nel silenzio e inazione del mondo, si sono perpetrati crimini di guerra e contro l’umanità. La UE, ha approvato le sue prime sanzioni a fine aprile 2021 e le ultime a giugno scorso. Nel frattempo non ha giocato nessun ruolo diplomatico, pur sapendo che in quel paese, con il sostegno attivo di Cina e Russia, si sta mettendo a rischio non solo il suo futuro democratico, ma la stabilità e il controllo geopolitico della regione da parte della Cina. Non ci deve interessare? Eppure le prossime misure restrittive, ancora troppo limitate per riuscire a strangolare definitivamente la giunta, verranno approvate solo il 21 febbraio e saranno ancora parziali e deboli. Né si paventa la nomina di un Inviato speciale europeo, in grado di negoziare con i due pupari: Cina e Russia, né il riconoscimento formale del Governo di Unità Nazionale, formato da tutte le forze democratiche. Perché? Perché non si coglie il fatto che le dinamiche, controllate da Cina e Russia, anche se dall’altra parte del mondo, in un’area sensibile come quella, ci riguardano. Ma non solo; il nodo sta anche nel fatto che la palla non ce l’ha la UE ma gli Stati membri, spesso morbidi per coprire i propri interessi commerciali.
Quindi per far si che i valori europei continuino a giocare un ruolo nello scenario internazionale, oltre alle puntuali dichiarazioni di fronte alle emergenze politiche, umanitarie e sociali, i periodici comunicati di condanna sulle violazioni dei diritti umani, che quotidianamente avvengono in molte parti del mondo, bisognerà dedicare molto spazio alla riforma del ruolo della UE. Nel ridisegnare la strategia internazionale dell’Europa si dovranno superare i limiti posti dalle procedure intergovernative, della macchinosità del sistema burocratico, che impediscono, in tempi come quelli attuali, di assumere decisioni rapide, così come possono fare ad esempio altri paesi.
Le basi ci sono. Va ricordato che la UE è il primo donatore al mondo di aiuti allo sviluppo e di aiuti umanitari. Conta una robusta rete di delegazioni in 140 paesi. Ha missioni militari e civili e operazioni in 20 aree di crisi. E’ un attore importante di consessi come il G7 e il G20 e l’ONU. E’ necessario che l’Europa riprenda una leadership internazionale e disegni un suo rinnovato ruolo, se non vuole essere posta ai margini dei giochi internazionali.
Dovrà essere in grado di proporre un rilancio e riforma del sistema multilaterale, superando anche l’attuale strutturazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e il veto incrociato di Cina e Russa su molteplici decisioni.
Come bisognerà rafforzare anche la politica di vicinato verso i paesi a sud e a est, a sostegno della democrazia e rispetto dei diritti umani, ma anche per una rafforzata politica di sicurezza comune.
Tema spinoso ma fondamentale, soprattutto considerate le recenti crisi e quelle che stanno emergendo alle porte dell’Europa. Crisi nelle quali appare crescente una strategia di dominio turca, ma anche russa e cinese. Invece sarebbe necessario avere un ruolo forte, determinato e rapido della UE.
Il tema della difesa e promozione degli spazi democratici come asse centrale trasversale è indubbiamente fondamentale. Il progressivo disimpegno USA in alcune aree del mondo di grandi interesse per l’Europa, e ancora la vicenda Afghanistan, debbono rilanciare il ruolo geopolitico della EU anche per quanto riguarda la difesa comune. Una forza di difesa europea con capacità decisionale e di coordinamento sarà fondamentale. Come indicato da ISPI, i 27 paesi membri spendono per la difesa tanto quanto Russia e Cina, ma non hanno lo stesso impatto. Ovviamente molte sono le questioni aperte su questo terreno per la delicatezza del tema e anche per evitare gli errori e le lentezze del passato.
Tutte queste debolezze politiche e istituzionali indicano la necessità di lavorare per arrivare ad una ulteriore cessione di sovranità nazionale, per far si che l’Europa possa giocare un ruolo diplomatico e politico strategico con al centro i principi sui quali è nata. Forse il semestre di presidenza francese e l’accordo del Quirinale, tra Italia e Francia recentemente firmato e i risultati della Conferenza per l’Europa, che dovrebbe concludersi a giugno prossimo, possono essere un buon punto di partenza.