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La risposta allo tsunami trumpiano e’ un’ Europa adulta

“La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia”. Questo aforismo del poeta Khalil Gibran nato libanese ma naturalizzato statunitense, si addice a chi non si vuol fare annichilire dalla vicenda che si catapulta sul mondo dopo le elezioni negli Stati Uniti. Che il prossimo Presidente degli Stati Uniti sia di nuovo Donald Trump è di per sé una notizia strabiliante, visto il suo passato. Che accanto a lui fa e disfa Musk è non solo inedito ma anche inquietante. E poi, che sia portatore di un programma sconvolgente su molti piani dell’azione di governo, sia all’interno del Paese, sia verso l’estero è la ragione più profonda di un interesse che attrae e inquieta l’attenzione di miliardi di persone.

Per questo, la newsletter è composta unicamente da una miscellanea di analisi e opinioni che sono apparsi dopo quell’evento sulla stampa. Si intende  fornire elementi per comprendere ciò che è successo e quello che potrà accadere negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Sia l’uno, sia l’altro non hanno risposte scontate, prefabbricate, limpide e inevitabili. Lo si scopre subito, man mano che si scorrono le righe dei contributi selezionati.

Capire, farsi un’opinione non emozionale di fronte ad una sorta di cataclisma che sembra incombere sulle istituzioni americane, su quelle sovranazionali, sulle relazioni tra gli Stati e le forze politiche, sulla distribuzione mondiale del benessere e del lavoro, sulle regole della democrazia rappresentativa e partecipativa, sul rapporto tra etica, nuove tecnologie e libertà delle persone è esercizio di responsabilità che trascende le logiche di schieramento. “Le sfide e gli attacchi alla democrazia e alle libertà non sono mai stati maggiori, nell’arco della mia vita…. Non possiamo vincere questa battaglia esistenziale per la libertà e la democrazia, e non la vinceremo, se non abbiamo un’idea chiara di ciò che vogliamo” (Joseph E. Stiglitz, La strada per la libertà, Einaudi, 2024). Vale per gli Stati Uniti, vale anche per noi europei.

Se abbiamo certezza che di questo si tratta, una cosa diventa evidente: l’Europa non può rimanere com’è, in bilico tra un desiderio, quello federale e una convenienza, quella sovranista. Sarebbe condannata ad un immobilismo senza un fine, un procedere a piccoli passi mentre intorno si corre, di vivere di ricatti reciproci tra Stati senza partecipazione delle popolazioni. L’Europa deve diventare adulta, uscire dallo stato puerile della identità nazionale, intesa come massima sintesi di una storia e di un futuro.

Alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici della Stellantis, Brandon Campbell, rappresentante della UAW, ha iniziato il suo discorso (interamente pubblicato sul n.344 di questa newsletter) dicendo: “Ciao famiglia sindacale d’Europa”, non ha mai detto “voi italiani”. La cosa non ha dato fastidio ai giovani e meno giovani lavoratori italiani che lo hanno applaudito dall’inizio alla fine. Ci considerano a pieno diritto europei e finanche Tramp, con le sue richieste sul finanziamento della Nato, non fa altro che richiamare agli Stati dell’Unione Europea la necessità di unificare il peso delle responsabilità in quella coalizione e meglio se avesse un unico esercito per la loro difesa comune.

Un’Europa adulta non è soltanto una necessità, senza la quale al massimo si difende l’euro. E’ una scelta che ci potrebbe allontanare dal rischio di vassallaggio e non subire gli ingannevoli slogan elettorali, secondo i quali l’America non si dovrebbe più occupare degli affari europei. Ma soprattutto è opzione strategica per dare dignità ad una economia di mercato sodale delle esigenze di un welfare sociale, senza del quale sarebbe soltanto un far west capitalistico. Che piace a Musk ma non certo alle persone sensate. Questo marchio di fabbrica è insidiato non tanto dall’esterno (anche se i proprietari delle piattaforme di Intelligenza artificiale siano in agguato per spolpare la natura pubblica dei servizi), quanto dall’interno perché il sovranismo nazionalistico non è in grado di affrontare Stato per Stato le tre sfide del nostro tempo: climatica, digitale e demografica.

Fare l’Europa adulta non può essere impegno e sforzo soltanto istituzionale. Ci vuole un coinvolgimento delle persone, una loro partecipazione a scelte significative, a partire da un referendum sul superamento dell’unanimità come vincolo per prendere decisioni sovranazionali. Sarebbe altrettanto rilevante che i corpi intermedi della società, soprattutto le organizzazioni imprenditoriali, sociali e sindacali divenissero protagonisti in tutta l’Unione Europea di una comune pressione per federarla. Non si tratterebbe di un salto nel buio; durante la pandemia, abbiamo sperimentato che le organizzazioni del sociale sono state tra loro coese, sul piano nazionale ma anche europeo. La transizione che le tre sfide esigono, dovrà essere governata e orientata e nessuno può far da sé. E chi meglio delle parti sociali e del terzo settore è in grado di cooperare con le istituzioni per rendere quel governo concreto, accettabile, solidale? 

La pioggia non solo è annunciata, ma è in atto. Non sarà apocalittica come quella che subì Noè, ma se si vuole ballare per dare un senso positivo alla vita, occorrerà che tutti si muovano all’unisono e venga suonato uno spartito di altissima qualità. 

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