Per ammissione collettiva e consolidata, si fa poco per dare una prospettiva ai giovani, non potendo dare alla maggior parte di essi, un lavoro dignitoso. C’è un senso di arrendevolezza, di fronte allo spessore della questione, che coinvolge tutti, ma soprattutto le istituzioni. C’è chi si attacca a quello 0,1% di crescita del Pil dell’ultimo trimestre del 2013, più per darsi coraggio che per profondere convinzioni ottimistiche sull’immediato futuro. La perdita di ricchezza di questi ultimi anni è irrecuperabile nel breve periodo e anche se il recupero si dovesse materializzare in una tendenza positiva della produzione di beni e servizi, gli effetti in termini di nuovi posti di lavoro sarebbero ancor più spinti in là, nel tempo.
L’arrendevolezza, però, non può mettere con le spalle al muro un Paese. La sua vitalità – che eppure è diffusa e spessa – oggi vaga nelle nebbie dell’impotenza per deficit di iniziativa delle pubbliche autorità, non per eccesso di prudenza dei singoli individui o delle singole aziende. Certo, questi non sono né ingenui, né sventati. Si guardano intorno e vedono soltanto i segni dell’immobilismo, del rinvio, del rattoppo ma vorrebbero mettere in mostra la loro capacità di agire, di compromettersi, di azzardare finanche. Invece, la fa da protagonista un silenzio ambiguo su cui cercano di speculare politicamente leaders spregiudicati, adagiati sulle loro comode argomentazioni disfattiste e senza costrutto.
Non ce lo possiamo permettere. E se un segnale va dato, deve riguardare i giovani, quelli da riguadagnare alla fiducia per il futuro, alla certezza che il merito paga, alla convinzione che è meglio darsi da fare che bighellonare, alla voglia di progettare e realizzare. Le strade per realizzare questa vera e propria riconversione delle coscienze, per lo più sono impervie e per di più spostate temporalmente troppo in là. Ovviamente, quelle vie devono essere non dico intraprese ma almeno tracciate perché questo è il tempo della semina, senza il quale non si potrà pretendere raccolto. Ed è il tempo giusto per agganciare la ripresa economica internazionale, senza della quale nessuna possibilità di crescita ci sarà data.
Ma anche in questo tormentato momento di affanno, tra le opportunità che si aprono e le resistenze al cambiamento che fanno opposizione, c’è uno strumento che va utilizzato per dialogare con i giovani: il Servizio Civile Nazionale. Il suo periodo d’avviamento è passato. Finalità “patriottiche” e senso educativo sono state collaudate positivamente. La macchina in qualche modo funziona. Ma il tutto va a scartamento ridotto. I giovani coinvolti sono francamente troppo pochi. Con il rischio che l’esperienza non fa tendenza, che una proposta dalle carature solidaristiche resti emarginata, che buona parte dei giovani non sono invogliati a misurarsi con la “res publica”, con il senso concreto del vivere in pace.
Questo è il classico settore dove è l’offerta che forma la domanda. Più c’è proposta, più c’è interesse ad “andare a vedere”. Non vale il contrario. Molti giovani neanche sanno di che si parla. Non c’è ressa per accedere ai bandi. Ma la responsabilità non è dei giovani. E’ l’offerta che è magra e quindi non raggiunge masse consistenti di aventi diritto (si stima che riguardi più di 2 milioni di giovani non occupati). Nel 2010 ci sono state 87.157 domande e 20.701 posti messi a bando. Lo stesso rapporto di 1 a 4 è registrato per il 2011 dall’Ufficio centrale del Servizio Civile. Ora che sotto il profilo qualitativo l’offerta si è posizionata su livelli da tutti ritenuti soddisfacenti, anche se non si hanno monitoraggi particolareggiati, resta aperto il profilo quantitativo.
Per mantenere un’adesione volontaria al Servizio e una partecipazione decisamente più ampia c’è una sola strada: quella di aumentare le risorse disponibili e renderle strutturali. A partire da quest’anno. Il modo per incrementare la disponibilità definita per il 2014 (104 mil di euro) c’è ed è anche prevista dal programma Garanzia Giovani. Il Servizio civile è indicato tra le aree su cui questo piano può intervenire. Se il Governo ritenesse che la scelta di potenziare il Servizio sia prioritaria, potrebbe concordare con le Regioni che una quota consistente dell’ 1,5 miliardo di euro di cui dispone per un biennio il programma Garanzia Giovani vada in quella direzione, come finanziamento aggiuntivo. In questo modo, l’offerta si dilaterebbe e già nel 2014 si potrebbero avere 100.000 volontari in tutt’Italia in attività di solidarietà e di utilità sociale.
Al di là di tante parole, una scelta di questo genere sarebbe un messaggio forte verso i giovani. Non è la promessa di un impegno per la vita, ma è la proposta di una adesione ad un progetto da realizzare. Non si tratterebbe di mera assistenza, ma di un coinvolgimento in ambienti e situazioni che, senza la loro presenza, farebbero più fatica a rientrare nei parametri della coesione sociale. La lacerazione del tessuto sociale del nostro Paese non è ricucibile con la bacchetta magica; ma la realizzazione di tante micro iniziative di solidarietà consentirebbe di affrontare questo gravoso problema con una spirito positivo e innovativo.