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Con generosita’ e sensatezza

Migranti, ormai così vengono chiamati. Non più immigrati o emigranti. Il lessico si aggiorna, perché il fenomeno muta. Gli arrivi, soprattutto quelli  via mare, riguardano per la maggior parte persone che chiedono asilo politico o dichiarano di essere in transito. Migrano, appena mettono piede sul nostro territorio. Vogliono andare in altri Paesi europei. Iniziato in lontani posti africani e mediorientali, proseguito spesso in modo rocambolesco, approdato tra mille difficoltà sulle nostre coste, il loro esodo  continua. Questa mutazione non cancella il fenomeno dei clandestini; lo ridimensiona ma soprattutto segnala che sarà di medio se non di lungo periodo. Le guerre, le discriminazioni etniche, politiche e religiose, le privazioni economiche e dei diritti che lo generano non hanno il fiato corto. Sono focolai più o meno grandi di conflitti che si trascineranno nel tempo. E’ quella terza guerra mondiale strisciante che denuncia insistentemente Papa Francesco.

Se è questo cambiamento di qualità del processo migratorio che occorre affrontare, gli allarmi circa l’invasione barbarica, i velleitarismi tipo “blocchiamoli sulle coste libiche”, le provocazioni sull’uso delle armi contro i natanti in arrivo, diventano propaganda politica. Certo, fanno presa sulla gente disinformata, impaurita o irritata per i ripetuti episodi di disordine, di disagio e talvolta di criminalità a cui assistono. Ma non fanno onore a chi dovrebbe essere classe dirigente, ha responsabilità di amministrazione pubblica e informa attraverso i mass media. C’è una fetta degli opinion leaders che non difetta di conoscenze, ma che volutamente piega la questione alle proprie esigenze di distinzione dalle forze di Governo. Siamo abituati a questo andazzo, ma quando c’è di mezzo la vita di migliaia di persone, pretendere che l’opposizione si faccia con qualche argomentazione meno rozza e strumentale ci consentirebbe di considerarci un Paese più maturo sul piano democratico e civile e più solido nella sua coesione sociale ed istituzionale.

Questo deficit di decenza di quanti speculano sul fenomeno dei migranti, accresce la responsabilità di quelli, a partire dal Governo e dalla sua maggioranza, che vogliono affrontare il problema per quello che è: vicenda di lunga lena, a dimensione europea e – come ha scritto Beppe Severgnini – “trovando l’equilibrio tra il buon cuore e il buon senso”(Corriere della sera 13/06/2015). Come già detto, il problema è a monte e finchè non ci sarà pace nei Paesi da cui parte l’esodo, questo continuerà, organizzato sempre più illegalmente e speriamo che non sia crescente nel tempo. L’azione diplomatica  verso le forze in conflitto non è al meglio delle sue capacità persuasive sia che si faccia riferimento all’Italia, che all’Europa o all’Onu. Ma in ogni caso, il tempo non è alleato della fretta del desiderio di smettere di guerreggiare.

Inoltre, come si intuisce, non è questione domestica, ma tutti i Paesi europei hanno gestito in questi anni ciascuno per proprio conto l’immigrazione economica, quella più o meno clandestina. Ora che diventa prevalente quella da rifugiati politici, salta la dimensione nazionale e l’Europa non riesce a trovare una via comune di gestione della novità. L’Italia, che è l’approdo più vicino per i dannati dei conflitti, ne sta facendo le spese, perché, come gli altri Paesi europei, non è attrezzata per fronteggiare il fenomeno. Chiede solidarietà più per sbarazzarsi della maggior parte degli arrivi che per organizzare una gestione ordinata della eventuale prosecuzione dell’esodo. L’Europa nicchia sulle quote. Ma non può rispondere sempre no, quando c’è di mezzo il sostegno di situazioni di debolezza o di difficoltà. Pena la sua irrilevanza, in quanto istituzione. Quindi, a qualche determinazione deve pur pervenire; meglio, se necessario, rivedendo l’accordo di Dublino, per facilitare la distribuzione dei rifugiati politici.

Comunque, l’Italia deve fare il tagliando della sua strategia.  Soprattutto le forze di Governo, come ci ricorda Bauman, “non possono ammiccare alla destra con una promessa: faremo quello che fareste voi, ma meglio” (Repubblica 15/06/2015). L’accoglienza va coniugata con un tasso di razionalità che travalica l’emergenza. Non basta assicurare un piatto caldo e un letto decente a chi temporaneamente – ma fino a quando? – resterà nel nostro Paese. Anche sotto questo profilo, la logica dell’emergenza ha fatto sprecare un sacco di tempo. Se si fosse capito il cambiamento di qualità della migrazione, non ci troveremmo a censire le caserme inoccupate ma inospitali perché da riadattare. Ma strutture stabili e non tendopoli, dove accogliere le persone sono indispensabili.

Inoltre, bisogna dare un minimo di organizzazione alla quotidianità dei migranti. Deve essere chiaro agli occhi degli italiani che la nostra ospitalità si deve combinare con un minimo di loro operosità. Non un banale dare ed avere da misurare con il bilancino, ma la dimostrazione che, anche nella provvisorietà, si può dare senso alla propria vita. Molti Comuni – del Nord, del Centro, del Sud (come documentiamo in questo numero della news letter) – già praticano questa impostazione, destinando quote più o meno consistenti di ospitati in attività socialmente utili o in attività formative. In genere si tratta di prestazioni volontarie, sotto la responsabilità di soggetti pubblici o da questi delegati, che puntano anche all’avvio di una integrazione sociale di quanti sono coinvolti. Si tratta di dare sistematicità a queste sperimentazioni con un progetto a scala nazionale che si intrecci con l’assegnazione territoriale degli arrivi. Le risorse possono essere individuate sia in frazioni del Fondo sociale europeo, sia in un ampliamento delle quote di Garanzia Giovani per attività di volontariato civile, sia in una deroga al patto di stabilità per i Comuni che avviano progetti ad hoc.

Infine, va preservata questa attività dalle infiltrazioni malavitose. Il discredito che Mafia Capitale ha gettato sulla cooperazione è devastante. Ma della cooperazione e del volontariato non si può fare a meno per gestire il fenomeno dell’immigrazione, dall’arrivo all’integrazione. Con degli accorgimenti, a partire dalla dimensione piccola dei bandi di gara, dal divieto di cumulo degli appalti nella stessa regione, dal controllo sistematico della gestione dell’appalto effettuato da soggetti terzi, individuati dall’ente appaltatore. La gestione trasparente di queste iniziative può facilitare molto la positiva predisposizione degli italiani per una accoglienza generosa e sensata. Oltre che a utilizzare bene le risorse che vengono immesse in queste attività.

Non sono convincenti i sondaggi che dicono che gli italiani sono più xenofobi di altre popolazioni. Gli italiani restano generosi verso iniziative e atteggiamenti che puntano alla integrazione e non alla mera assistenza, all’accoglienza bonacciona, alla pura e semplice “sistemazione”. Sono più convincenti i dati dell’Istat che, in riferimento al 2014, calcola  che i morti sono di più che i nati, cosa che non succedeva dal 1918 e nonostante la crescente natalità da stranieri degli ultimi anni (ma che cala anch’essa nel 2014). Questi dati ci dicono che non stiamo più stretti in questo Paese, ma dobbiamo agire per stare tutti meglio.      

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