Com’è la situazione nel Myanmar a più di cinque mesi dal golpe? Ne parliamo, in questa intervista, con Cecilia Brighi (Segretaria Generale dell’ Associazione Italia-Birmania.Insieme).
Cecilia, ormai siamo a 5 mesi dal golpe dei militari nel Myanmar. Per il popolo birmano la situazione è sempre più drammatica. È così?
Si, alle proteste pacifiche e agli scioperi che continuano in tutto il paese, l’esercito ha opposto la legge marziale nelle zone industriali, ha imposto alle imprese di denunciare i rappresentanti sindacali dei lavoratori, ha lanciato la perquisizione a tappeto di tutte le abitazioni, alla ricerca degli oppositori e delle persone che hanno un mandato di arresto. Ad oggi circa 900 persone sono state uccise, oltre 100 sono sparite nel nulla, molti sono bambini e minori che sono stati uccisi nelle manifestazioni. Oltre 6.200 sono gli arrestati. 31 persone sono state condannate alla pena di morte, e molti a oltre 20 anni di carcere e lavoro forzato. Ci sono oltre 500.000 lavoratori edili senza lavoro come 150.000 lavoratrici del settore moda, 126.000 insegnanti, 10.000 funzionari dei ministeri e così via. Tutte persone che hanno scelto di non lavorare sotto la giunta militare. Una opposizione che la giunta birmana quando nella pianificazione del golpe non si aspettava. Loro pensavano che con la promessa di nuove elezioni, la gente non avrebbe reagito. E invece ecco qua. Tutti sono profondamente convinti che è meglio morire lottando piuttosto che subire altri 60 anni di dittatura
Sappiamo che nelle ultime settimane, in alcune zone del Myanmar, la repressione si sta caratterizzando come un vero proprio genocidio. Chi sono le vittime di questo cammino massacro?
I militari hanno rispolverato la vecchia strategia dei cosiddetti quattro tagli iniziata negli 60 dell’altro secolo: eliminare il sostegno delle comunità etniche agli eserciti etnici tagliando i quattro maggiori legami: cibo, fondi, intelligence, reclutamento. Inoltre continuano gli attacchi aerei e le uccisioni di massa nei confronti dei civili nei villaggi etnici degli Stati Kayah, Karen, Chin, Kachin, per contrastare la fuga degli oppositori verso le aree etniche e reprimere gli attacchi degli eserciti etnici. Così bombardano i villaggi e persino le chiese e i conventi perché sospettati di ospitare gli oppositori in fuga dalle città, Ci sono ormai centinaia di migliaia di nuovi rifugiati interni, privi di cibo e medicinali, che sopravvivono nella giungla in condizioni di estrema precarietà anche perché è iniziata la stagione dei monsoni.
Quali conseguenze economiche sta provocando il golpe? I dati ONU sono drammatici…
Secondo l’ultimo rapporto UNDP la pandemia da Covid19, unita alla instabilità a seguito del colpo di stato potrebbe far precipitare 24 milioni di persone, quasi la metà della popolazione sotto la soglia di povertà (meno di 1 $ al giorno) creando una crisi alimentare ed economica con conseguenze destabilizzante per l’intera regione del sudest asiatico. Come anche sottolineato dalla Inviata Speciale dell’ONU Christine Burgener venerdì 18 giugno in una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza, la situazione è allarmante. La crisi ha obbligato alla fuga 175.000 persone che vanno ad aggiungersi a quelle già sfollate in precedenza ed ha chiesto al Consiglio di “parlare con una sola voce in particolare contro la violenza e per la liberazione al più presto possibile di tutti i prigionieri politici e a causa dell’incremento della violenza soprattutto nelle aree etniche in risposta ai bombardamenti, ha chiesto un dialogo onnicomrensivo con tutti gli stakeholders.
Abbiamo visto, nei mesi scorsi, le immagini delle proteste popolari contro la giunta militare. I giovani sono stati i protagonisti di queste rivolte. Ti chiedo dopo, ormai, più di 5 mesi dal golpe com’è la situazione della società civile del Myanmar? Come si è strutturata?
L’opposizione popolare è diffusa anche se apparentemente non ci sono manifestazioni di massa, per evitare uccisioni inutili. Il CDM il movimento di opposizione civile, formato da circa 77 associazioni, si coordina quotidianamente e moltissimi sono i giovani della cosiddetta Generazione Z, che dall’inizio dell’opposizione hanno messo in atto mobilitazioni fiume, creative e innovative, utilizzando i social media. Un ruolo importantissimo lo svolge la labour alliance, composta da 18 associazioni che si occupano di lavoro e al cui interno un ruolo fondamentale è svolto dalla CTUM, la confederazione sindacale birmana con oltre 100.000 iscritti. Due giorni prima del golpe, intuendo cosa sarebbe successo la CTUM in un comunicato annunciava la totale opposizione a qualsiasi azione dei militari. E subito dopo l’8 febbraio lanciava il primo sciopero generale a sostegno della rivolta popolare. Uno sciopero che ha paralizzato tutti i settori da quello industriale, ai vigil del fuoco, agli insegnanti, giornalisti, lavoratori dei servizi pubblici etc. persino 110 ospedali in 50 townships del paese. Il sindacato è riuscito a bloccare le linee aeree, le miniere, i cantieri il settore del gas etc. Quindi una rete importantissima, in grado di mobilitare migliaia di lavoratori e lavoratrici. Ed è quello che si continua a fare ancora ad oggi. Anche i consumatori hanno boicottato i prodotti delle imprese militari, dalle sigarette alla birra, Infatti la Labor Alliance e il CDM hanno piegato economicamente il paese in difesa della democrazia e per salvare le generazioni future dalla dittatura. La situazione perché continuare le attività economiche e commerciali come di consueto, e ritardare un’interruzione generale del lavoro, gioverebbe solo ai militari poiché reprimono l’energia del popolo birmano; Il momento di agire in difesa della nostra democrazia è adesso. I lavoratori del Myanmar sono pronti ad agire per proteggere la democrazia e salvare le nostre generazioni future dalla dittatura. Crediamo che tutte le persone del Myanmar siano preparate a rispondere a una chiamata all’azione. Il CDM e la Labor Alliance sono riusciti a bloccare a tutt’oggi i treni. Da Yangon parte un solo treno al giorno. Le centrale elettriche sono paralizzate e nella Regione dell’Irrawaddy funzionano al 40%, i processi di lavorazione del greggio lavora ad un ritmo talmente ridotto che non riesce a soddisfare la domanda. Le banche non hanno fondi e funzionano parzialmente, la giunta ha licenziato 100.000 funzionari pubblici, ha sospeso 126.000 insegnanti, oltre 30.000 medici, infermieri, levatrici. Questa paralisi voluta per far cadere la giunta si aggiunge alle sanzioni economiche imposte dalla UE, dagli USA e da altri governi. L’opposizione civile è affiancata dall’opposizione politica. Subito dopo il golpe 70 parlamentari eletti nelle elezioni dell’8 novembre 2020 si sono riuniti e hanno giurato di rappresentare il popolo che li ha eletti. Si sono poi costituiti in CRPH ovvero nel comitato che rappresenta il parlamento e hanno nominato il Governo di Unità Nazionale (NUG), composto da parlamentari dell’NLD da rappresentanti delle nazionalità etniche e da indipendenti. Il NUG ha un ruolo importante di rappresentanza politica anche a livello internazionale. Un elemento fondamentale di questa nuova fase sta nel fatto che si sta costruendo una nuova unità con i partiti delle nazionalità etniche. Questa novità rappresenta una svolta profonda rispetto al passato, Ma gli etnici chiedono un giusto coinvolgimento nei processi decisionali e il superamento di un atteggiamento di autonomia e superiorità nei loro confronti, che spesso ha caratterizzato le modalità di governo dell’NLD. Quindi si dovrà lavorare ad un approccio innovativo che veda lavorare fianco a fianco gli etnici e l’NLD. E’ su questa base che si deve lavorare alla definizione di una nuova Costituzione democratica e federale.
Hai notizie su Aung Sa Suu Kyi. Si parla di un processo farsa per corruzione inscenato dai golpisti…
Il progetto dei militari è quello di effettuare nuove elezioni a seguito delle quali si legittimerà il loro potere. Per questo la prima cosa che hanno fatto è stata quella di accusare la leader Aung San Suu Kyi, di importazione illegale di walkie-talkie, di violazione delle norme anti Covid19 e poi di corruzione e soprattutto di aver violato una legge coloniale sul segreto di stato che potrebbe costarle 14 anni di carcere. Quindi il primo obiettivo è togliere dalla scena politica la personalità più importante e amata dal Paese, sperando che questo possa contribuire al loro obiettivo. Inoltre la giunta ha destituito i membri della Commissione elettorale, accusati di brogli e li ha sostituiti con persone legate alla giunta. Il Capo della nuova commissione, già accusato di brogli nelle elezioni del 2010, ha subito dichiarato che intende valutare lo scioglimento dell’NLD per brogli e La modifica della legge elettorale trasformando il sistema da maggioritario a proporzionale. Il tutto per permettere la vittoria del loro partito l’USDP.
Sono emersi altri leader democratici in questi mesi?
Il colpo di stato militare, con gli arresti di massa ha decapitato buona parte della leadership politica precedente. Molti dei parlamentari eletti sono giovani, certamente con meno esperienza politica, ma forze con una maggiore apertura al dialogo con gli etnici, tanto da aver riconosciuto i gravissimi errori nei confronti dei Rohingya e hanno dichiarato che attueranno un cambiamento profondo della legge sulla cittadinanza, che fino a prima del golpe non si potevano neanche nominare. Moltissimi giovani attivisti sono stati arrestati come pure molti giornalisti, intellettuali, e sindacalisti, che hanno una enorme esperienza sul terreno.
È ancora viva, nell’opinione pubblica internazionale, l’immagine di Suor Anne che in ginocchio supplica la polizia di non sparare sui manifestanti. Un esempio di coraggio, simbolo di una chiesa schierata con il popolo per la democrazia. Questo ha accresciuto il ruolo politico della Chiesa cattolica?
La Chiesa cattolica in Birmania è una minoranza, ma molto rispettata. Storicamente i missionari del Pime hanno vissuto e lavorato nelle aree etniche sostenendo, senza alcuna discriminazione religiosa, le popolazioni dei villaggi, vessate dalle angherie della precedente dittatura. Moltissime sono le scuole del paese gestite da loro. Negli ultimi anni, il Cardinale Charles Maung Bo ha svolto un ruolo fondamentale attivando il dialogo inter-religioso e facendo una forte azione contro il clima e il linguaggio di odio messo in atto da alcuni gruppi oltranzisti buddhisti, soprattutto contro i mussulmani in generale ed i Rohingya. Poi la visita di Papa Francesco ha contribuito a mettere in luce il grande ruolo svolto dalla Chiesa e il coraggio dimostrato da Suor Anne e da altre figure carismatiche nel paese stanno lasciando il segno in termini di rispetto e riconoscenza. Inoltre la Chiesa ha un peso politico non indifferente anche sul piano internazionale. Papa Francesco ha richiamato più volte le sofferenze del popolo birmano e ha condannato le violenze e il regime.
Parliamo della comunità internazionale. C’è da registrare la dura presa posizione dell’ultimo G7. Nel complesso, guardando a questi mesi, non vi sono stati risultati positivi per il popolo del Myanmar. È così?
Innanzi tutto vorrei sottolineare un fatto politico di grande rilevanza. Venerdì scorso, finalmente, ma con tre mesi di ritardo, l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato una risoluzione, molto edulcorata, presentata dal Liechtenstein e che ha avuto il sostegno di 119 governi, 36 astensioni tra cui India, Bangladesh, Bhutan, China, Egitto, Laos, Nepal, Tailandia e Russia e il voto contrario della Bielorussia. La risoluzione che invita la giunta birmana di rispettare i risultati elettorali, a rilasciare i prigionieri politici e invita i governi a sospendere la fornitura di armi alla giunta è stata votata anche dall’Ambasciatore del Myanmar all’ONU che il 16 Febbraio scorso, dopo che si è schierato con l’opposizione democratica era stato licenziato dalla giunta. Il fatto che abbia comunque potuto votare è un segnale molto incoraggiante nei confronti del Governo di Unità Nazionale, rappresentato dall’Ambasciatore.
In questi cinque mesi molte sono state le prese di posizione e le risoluzioni di dura condanna del colpo di Stato a livello internazionale, ma scarsi sono ad oggi i risultati. Il comunicato del G7 dei ministri degli esteri e della UE è particolarmente importante perché non solo condanna con la massima fermezza il colpo di stato militare e chiede la immediata fine allo stato di emergenza, il ripristino del governo democraticamente eletto e il rilascio tutti i detenuti arbitrariamente, ma ha ribadito la solidarietà a tutti coloro che sostengono e lavorano per una democrazia inclusiva, sottolineando l’impegno del Comitato che rappresenta il Parlamento (CRPH) e del Governo di Unità Nazionale (NUG). Questi segnali di riconoscimento del loro ruolo spianano la strada al riconoscimento del Governo di Unità Nazionale all’ONU, cosa che avverrà a settembre prossimo. I ministri degli Esteri dei G7, infine, confermano di “essere pronti a compiere ulteriori passi se i militari non invertiranno la rotta e a continuare a impedire la fornitura, la vendita o il trasferimento di tutte le armi, munizioni e altre attrezzature militari in Myanmar e la fornitura di cooperazione tecnica”. In questi mesi la UE, grazie anche alle pressioni italiane, ha adottato una serie di misure restrittive mirate, nei confronti di 35 persone fisiche e giuridiche e organismi le cui attività compromettono la democrazia e lo Stato di diritto in quel paese e, successivamente il 19 aprile ha adottato ulteriori sanzioni nei confronti di due potentissime holding che gestiscono i settori più remunerativi del paese e che sono sotto il controllo militare. Anche gli USA e il Canada si sono mossi in tal senso. E sebbene il Consiglio di sicurezza ONU sia bloccato per il veto incrociato di Cina e Russia, la FAO, l’OMS e l’ILO non hanno accettato formalmente le credenziali della delegazione della giunta militare. Questo è un fatto straordinario che spiana la strada per il ritiro delle credenziali della giunta alla Assemblea Generale ONU e per l’approvazione delle credenziali del nuovo Governo di Unità Nazionale. Su questo, partirà a breve una campagna nei confronti dei governi, perché, finalmente, prendano coraggio e votino a favore delle credenziali del Governo civile, che è l’unico legittimo rappresentante del popolo birmano. Il punto di debolezza sta nell’aver delegato la soluzione di una crisi così complessa sul piano geopolitico all’ASEAN, una associazione che rappresenta 10 paesi del sudest asiatico, tra cui la Birmania, che sono molto divisi, deboli e ciascuno con interessi diversificati. Sarà quindi fondamentale che l’Asean, la cui prima decisione è avvenuta solo il 24 aprile, con un debole accordo in cinque punti concordato con il comandante in capo delle forze armate birmane Generale Min Aung Hlaing, e che ancora oggi rimane sulla carta per le divisioni tra i vari paesi.
Fino a quando Russia e Cina appoggeranno il Regime?
Entrambi questi paesi hanno profondi interessi politici ed economici in Birmania. Entrambi erano a conoscenza del golpe e essendo stati convinti che sarebbe stato un golpe indolore non si sono opposti. La Cina ha messo gli occhi sul paese ormai da decenni. Non solo esporta in Birmania il 50% di armi, ma non ha alcuna intenzione di lasciare il dominio del Golfo del Bengala all’India. Da li parte un lunghissimo gasdotto ed oleodotto che attraversa tutto il paese fini nello Yunnan. Lungo lo stesso percorso è in programma una altrettanto lunga ferrovia. Entrambi i progetti permetteranno alla Cina di risparmiare giorni di viaggio attraverso lo stretto di Malacca. Garantendo così le importazioni in Cina anche in caso di tensioni nel mar della Cina meridionale. Inoltre per compensare la crescente scarsità d’acqua ha in programma la costruzione in Birmania di 35 impianti idroelettrici e dighe, oltre alla raccolta di terre rare e alla apertura di un porto profondo e di una zona industriale enorme nel Rakhine. La Russia, altro partner fondamentale per i militari si affianca alla Cina non solo per la fornitura di armamenti (16% delle importazioni), ma anche per la formazione di oltre 6.000 quadri militari a Mosca e per il sostegno al progetto dell’India nel Rakhine.
Ultima domanda. So che ti chiedo una cosa difficile: quale potrebbe essere una chiave realistica per risolvere il dramma del Myanmar?
I governi, in particolare la UE, gli USA e gli altri cosidetti “paesi likeminded” non possono più delegare completamente i negoziati all’ASEAN che si è dimostrata debolissima, anche perché molti di questi paesi limitrofi sono dei governi autoritari che non hanno interesse alcuno ad avere una Birmania forte e democratica. Quindi è tempo che si rafforzino le sanzioni economiche e finanziarie nei confronti della giunta, che si sostenga fortemente, anche sul piano finanziario, l’opposizione democratica, perché gli aiuti umanitari senza il sostegno politico all’opposizione, garantiranno si la sopravvivenza delle migliaia di rifugiati, ma non ne cambieranno la situazione, se non con il collasso della giunta. L’embargo delle armi e degli strumenti dual use e software di controllo usati dai militari devono essere banditi immediatamente, cosi pure la no flight zone sul paese, per impedire gli attacchi aerei ai villaggi che in soli tre giorni hanno prodotto oltre centomila profughi. Quindi forti sostegni politici, riconoscimento del Governo di Unità Nazionale e negoziati, con tutte le parti, solo dopo la liberazione dei detenuti politici, che riportino un ruolo centrale alle istituzioni multilaterali. Lasciare il futuro del paese nelle mani dell’ASEAN e della Cina, significa, prefigurare solo un rafforzamento della dittatura attuale. E il popolo birmano non merita questo.