Proprio nel giorno del compleanno dell’oppositore Aleksey Navalny, Vladimir Putin ha promulgato una legge che vieta a chi aderisce a organizzazioni “estreme” di partecipare alle elezioni: una misura che secondo l’opposizione è un mezzo per neutralizzare candidati scomodi, prima delle elezioni legislative di settembre.
La legge, passata alla Duma a maggio e mercoledì 2 giugno in Consiglio della Federazione, è stata pubblicata una volta firmata dal presidente russo. Questo testo vieta l’elezione a persone coinvolte in un’organizzazione “estremista”.
Uno stretto alleato di Alexey Navalny residente in Lituania, Leonid Volkov, ritiene che Putin abbia intenzionalmente firmato la legge il giorno del compleanno di Navalny.
Nel frattempo è già in corso una richiesta per clarssificare le organizzazioni di Navalny come “estremiste”, in particolare il suo Fondo per la lotta contro corruzione (FBK) che ha accusato il presidente russo di uno stile di vita “da zar”.
Continua, anche con questa “legge antiNavalny”, dunque la trasformazione, in senso dittatoriale, del regime guidato da Vladimir Putin. Ma che notizie abbiamo di Alexey Navalmy? La Russia di Putin sta diventando una dittatura? Quale sarà il futuro della Russia?
Di tutto questo parliamo, in questa intervista, con la giornalista Anna Zafesova, autrice di un bel saggio, appena uscito nelle librerie, “Navalmy contro Putin” (Ed. Paesi, pag. 160. € 16,00). Anna Zafesova è Giornalista e massima esperta in Italia di Russia e Putin, dopo esperienze con diversi giornali sovietici e italiani, dal 1992 scrive per La Stampa ed è analista politica per Il Foglio e Linkiesta.Fino al 2004 è stata corrispondente del quotidiano torinese a Mosca, dal 2005 vive e lavora in Italia. A lei si devono importanti libri tradotti dal russo, come I cinocefali e ha firmato la postfazione de Nel primo cerchio di Aleksandr Solzenicyn (Voland, 2018).
Per prima cosa ti chiedo se hai, per quanto è possibile, notizie sulle condizioni di Alexey Navalmy?
Le notizie che possiamo avere sulle condizioni di Alexey Navalny sono, purtroppo, quelle che ci arrivano ormai quasi tutti i giorni dalla Russia, sulle nuove incriminazioni e processi contro di lui e i suoi seguaci. L’ultima volta, è apparso in aula qualche giorno fa in videoconferenza, collegato dalla prigione di Vladimir dove sta scontando la condanna. È riuscito a ottenere dalla prigione di ricevere i libri che ha chiesto e i giornali senza ritagli, mentre i giudici si sono rifiutati di revocare i controlli che impongono ai secondini di svegliarlo fino a otto volte ogni notte per verificare che non sia evaso dalla cella. Ma soprattutto sono i suoi seguaci a venire colpiti, con la proclamazione della sua Fondazione anticorruzione e dei suoi centri regionali come “organizzazioni estremiste, e il bando a chiunque avesse partecipato, finanziato o anche solo appoggiato la loro attività a candidarsi in qualunque elezione.
Appunto la scorsa settimana la Duma ha approvato una “legge anti Nvalmy” per impedire alla sua lista di partecipare alle elezioni. Insomma sempre più la Russia sta diventando una dittatura?
La Russia sta compiendo la transizione da un autoritarismo alla dittatura, avvenuta in pochi mesi, con una velocità sconcertante, sotto gli occhi della comunità internazionale. In questo momento, i giudici stanno mettendo fuori legge le organizzazioni di Navalny con la giustificazione che “volevano cambiare il potere politico” e “formare un’opinione pubblica favorevole a cambiare il potere politico”. In altre parole, fare opposizione è diventato un reato penale. Il Cremlino ha rapidamente smantellato quella parvenza di democrazia che esisteva almeno sulla carta: oggi, il diritto a manifestare, a esprimere opinioni, a partecipare ad associazioni, è stato tolto. Diversi media e ONG sono stati proclamati “agenti stranieri” e “organizzazioni indesiderabili”, e se la prima etichetta tecnicamente non proibisce l’attività – ma la rende impossibile perché collaboratori, partner e sponsor hanno paura ad avere rapporti con un’entità malvista dalle autorità – la seconda comporta condanne alla prigione, anche per chi ha partecipato ad attività “indesiderabili” all’estero. Migliaia di persone sono state arrestate, condannate, espulse dall’università o licenziate per un post sui social, o per essere scesi in piazza, o soltanto per essersi iscritti sul sito di Navalny. Gli oppositori che vogliono candidarsi alle elezioni vengono arrestati e incriminati, e secondo il politico Dmitry Gudkov – arrestato con un’accusa falsa e poi spinto a fuggire all’estero – “oggi fare politica in Russia è fisicamente impossibile”.
Come si spiega questa drammatica “evoluzione”? Quali fattori stanno alla base di questo passaggio?
Il fattore principale è il sistema politico che si basa sull’assenza di democrazia. Minacciato, non fa che aumentare il grado di repressione. E viene minacciato, perché dopo più di vent’anni di assenza di alternative, i russi sono più poveri e meno liberi, i problemi sociali e la corruzione non sono stati risolti e l’isolamento internazionale è aumentato. Il consenso putiniano sta sparendo insieme alla generazione che in buona parte l’ha sostenuto, ma in assenza di meccanismi democratici invece di apportare cambiamenti il regime aumenta la pressione su coloro che non lo sostengono. Un’involuzione che la protesta guidata da Navalny ha drammaticamente accelerato: non erano più poche centinaia di intellettuali dissidenti moscoviti, ma un movimento vero, massiccio, trasversale socialmente e geograficamente, che ha mandato in crisi un autoritarismo che si basa sull’assenza di qualunque alternativa.
Veniamo al tuo libro. Abbiamo già detto
che i protagonisti del libro sono Putin e Navalmy. Parliamo per un attimo di Putin. I critici del suo potere lo chiamano “il vecchio nel bunker”. Perché?
Un “nonno nel bunker”, a essere precisi. È una rappresentazione brutale, ma efficace, del ruolo che ha assunto, soprattutto nell’ultimo anno e mezzo di pandemia: un leader lontano dalla realtà, fisicamente e mentalmente, sempre più distaccato rispetto al Paese reale, sempre più assente dal Cremlino, sempre più ossessionato da ideologie e nostalgie sovietiche che lo rendono perfino più vecchio della sua non elevatissima età anagrafica. Una critica che prende di mira sia il regime personalistico del suo potere – dopo un ventennio, ha emendato la Costituzione per poter restare alla presidenza fino al 2036, affermando che la Russia è troppo fragile per potersi permettere l’alternanza al potere – ma anche la sua fragilità di un leader costretto ormai alla difensiva, rispetto a una Russia che vuole modernizzarsi.
Veniamo a Navalmy. Un leader agli antipodi di Putin. Un leader giovane con grande capacità di comunicazione. Spesso è stato erroneamente definito come un populista. A me sembra una definizione sbagliata. Come lo definiresti?
Navalny è molto difficile da definire, perché è un leader talmente moderno da anticipare i manuali di politologia. Il termine “populista”, d’altra parte, è stato negli ultimi anni troppo abusato dai media. Navalny è un populista nel senso che la sua politica, e la sua comunicazione, sono rivolti all’opinione pubblica, alle masse e non alle lobby, il suo è un “potere dal basso”, e il messaggio di denuncia della corruzione lo accomuna a certi populisti occidentali, con la differenza che in Russia la corruzione è un fenomeno onnipresente, e non combattuto. Navalny è un politico 4.0, impossibile da immaginarsi senza Internet, lo strumento che oppone alla forza bruta del potere sono i like e le visualizzazioni, le parole d’ordine che corrono sul web, la condivisione del messaggio che si basa sull’ironia e l’organizzazione virale anche nell’offline. Dei populisti e sovranisti occidentali non ha la nostalgia: quella è l’arma putiniana, alla quale contrappone l’utopia della “splendida Russia del futuro”, che descrive come “un Paese europeo”, una definizione che dall’Europa può apparire vaga, ma che in Russia assume connotati ben precisi: elezioni libere, tribunali indipendenti, stampa senza censura, concorrenza politica e tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini.
Qual è “l’arma” più forte di Navalmy che ha messo in agitazione il potere russo?
Una comunicazione chiara e avvincente, di un messaggio che tocca tutti: Navalny ha abbandonato l’elitismo che contraddistingue molti liberali russi dei decenni precedenti. È stato il primo a capire che senza l’inclusione nel discorso politico di un’agenda sociale, di rivendicazioni di tutela dei deboli, di giustizia nelle retribuzioni e nell’accesso al welfare, di rispetto per tutti i cittadini, non sarebbe mai nato un movimento d’opposizione di massa, più ampio dei salotti di Mosca e Pietroburgo.
Indubbiamente Alexey Navalmy ha carisma e una grande forza etica. Come si esprime questa forza etica? Con quale messaggio?
È un’etica della testimonianza: Navalny è in carcere, è tornato in Russia sapendo che andava incontro all’arresto. Nessuno lo avrebbe criticato se dopo l’avvelenamento avesse preferito rimanere al sicuro in Germania. Prima, aveva trascorso mesi ai domiciliari e in prigione, a più riprese. Aveva rischiato insieme a quelli che chiamava a scendere in piazza, la sua immagine era quella di un giovane di periferia, come i suoi sostenitori, e non di un raffinato intellettuale che trascorre il tempo nelle capitali europee. Il suo coraggio personale gli ha attirato le simpatie anche di persone che non condividono il suo messaggio politico: in un Paese dove la corruzione e il privilegio non vengono nemmeno nascosti, un personaggio che paga in prima persona il prezzo di quello che sta facendo è forse più dirompente di qualunque propaganda.
Che ruolo gioca la sua famiglia nel suo impegno?
Un ruolo molto importante. Navalny è un politico 4.0, e questo significa che l’immagine è parte imprescindibile del suo operato, in un mondo dove personaggio e messaggio non sono più distinti. I Navalny sono un modello di famiglia di ceto medio russo, e insieme al capofamiglia fanno da testimonial alla denuncia del privilegio di nomenclatura e oligarchi: il loro trilocale in periferia, le vacanze in Thailandia o sul Baltico, i pranzi in pizzeria la domenica, sono tutti momenti in cui tantissimi russi possono riconoscersi. Ma sono anche – tranne il teenager Zakhar- attivisti della politica. La moglie Yulia è diventata un’autentica First Lady dell’opposizione, molto seguita nel suo stile sobrio e nel rapporto di complicità che ha con suo marito, e mischia il ruolo di moglie tradizionale che segue il marito nella buona e nella cattiva sorte con una grinta da pasionaria: è stata lei a chiedere, direttamente e duramente, a Vladimir Putin di permettere a suo marito, in quel momento in coma dopo l’avvelenamento, di venire curato in Germania. La figlia Dasha, coetanea dei ventenni che scendono in piazza, ha esordito nella politica internazionale accettando per conto di suo padre il premio per i diritti umani che gli è stato conferito a Ginevra: il suo è stato un discorso appassionato e nello stesso tempo serio e composto, in un inglese disinvolto (sta studiando a Stanford), ma si sente anche a suo agio su Tik Tok. Il fratello di Alexey, Oleg, già reduce da quattro anni di carcere per un processo politico, è ora di nuovo agli arresti, e la loro madre Liudmila è scesa in piazza a Mosca.
Quali sono stati gli errori compiuti dal giovane leader russo?
L’errore principale viene forse dalla stessa radice della sua forza: è un politico che si appoggia non su lobby e strutture di potere, ma sull’opinione pubblica, e potrebbe aver sopravvalutato la sua potenza: quanto possono resistere i milioni di like ai manganelli e alle sbarre di una prigione? Lo schema di Navalny era quello di creare una corrente di opinione pubblica sufficientemente potente da influenzare l’esito delle elezioni, e da poter ottenere in piazza che queste su svolgano senza brogli. Oggi, protestare in Russia è illegale, e le elezioni non conservano più nemmeno una parvenza di democrazia. Un’involuzione probabilmente inevitabile, che lo scontro con Navalny ha accelerato. Il movimento di Navalny ora è ufficialmente fuorilegge, e si tratta di capire come tener viva la protesta, senza mettere a rischio migliaia di persone, nel lungo inverno della dittatura.
Siamo alla fine della nostra conversazione, tu hai affermato nel libro che “l’ora X della Russia contemporanea scatta all’alba del 20 agosto 2020, quando Alexei Navalmy perde conoscenza” sull’areo. Pensi davvero che sia cominciato il conto alla rovescia per il regime nazionalista di Putin?
Il conto alla rovescia è iniziato molto prima, e il fatto che Navalny da “blogger” come la propaganda russa spesso insiste a chiamarlo sia diventato talmente pericoloso da mandargli dei killer lo dimostra. Però il tentativo fallito del suo avvelenamento è un punto di svolta: è il momento in cui il regime si gioca tutto, in primo luogo la reputazione internazionale, pur di eliminare un uomo che considera troppo pericoloso. E paradossalmente, cercando di ucciderlo, lo trasforma in un eroe agli occhi del mondo. Da quel momento in poi, il Cremlino gioca in difensiva, e anche nel momento in cui fa terra bruciata della protesta resta evidente come ormai il suo unico obiettivo sia quello di reprimere il dissenso, non più di proporre una propria agenda, ma di conservare uno status quo che gli sta sfuggendo di mano.
Quale sarà il futuro di Alexey Navalmy?
Il futuro di Alexey Navalny è quello che è il suo presente: è il leader e il simbolo di un movimento di protesta, il detenuto politico più celebre al mondo, l’alternativa a Vladimir Putin. Come Andrey Sakharov e Aleksandr Solzhenitsyn, come Lech Walesa, come Vaclav Havel e Alexandr Dubcek: è la nemesi del regime, il Davide che sfida Golia, il nome che i russi scrivono sui muri e sulla neve. Sarà la voce del dissenso, il simbolo del cambiamento e – se sopravvive – il garante della transizione. Questo è il suo destino politico. Su quello personale, ci sono molte più incertezze e timori: per il momento, la sua sopravvivenza dipende dal fatto che gli occhi di tutto il mondo sono puntati sulla sua prigione, e quasi sicuramente ne uscirà soltanto con la fine del regime.