Caro Raffaele,
ho accettato il tuo invito a scriverti alcune riflessioni sul tema che hai posto, sfidando la mia natura pragmatica, perchè penso che in tempi così difficili e turbolenti, sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista economico, credo sia importante cercare di fermarsi un attimo a ragionare.
Del resto se tutti gli analisti definiscono la crisi economica che stiamo attraversando la più grave, evocando quella del 1929, tutti hanno il dovere di preoccuparsi se vogliono in qualche modo rappresentare chi in questa situazione è maggiormente colpito: i lavoratori e i pensionati.
E se ogni paese, sia pur nella consapevolezza della reciproca interdipendenza, si interroga sulle possibili soluzioni, significa che le risposte sono difficili e non scontate per nessuno. E dunque riflettere, analizzare, discutere, cercare non è tempo perso. L’unica cosa inutile e credo, sbagliata, è chiudersi nelle proprie certezze, nelle proprie verità, nei recinti delle reciproche identità: non serve a noi, non serve ai nostri rappresentati.
E dunque ho la speranza che ciascuno si sforzi di abbandonare i propri antichi confini.
Lo chiedo perché temo che nessuno da solo abbia la ricetta vincente, perché forse non ne esiste una unica valida per tutti.
Molti vedono nella Sinistra un punto di riferimento; e questo carico di fiducia è importante. Ma quella fiducia è anche una domanda di un supplemento di responsabilità. Il consenso è sempre una sfida perché non basta riempire una piazza, ricevere applausi, catalizzare un disagio. Mentre talvolta si ha la sensazione che una parte della Sinistra ambisca al consenso per fare una grande opposizione all’interlocutore di turno.
A volte, ammetto che la cosa funziona, che il messaggio “anti” passi mediaticamente. Eppure noi sappiamo che il giorno dopo la manifestazione, il giorno dopo lo sciopero, i problemi restano irrisolti se dietro non c’è un lavoro di tessitura, di proposta. E il dovere di ogni gruppo dirigente è quello di trovare soluzioni, passo dopo passo in attesa di avanzare ancora.
La storia ci ha insegnato che “siamo realisti chiediamo l’impossibile” è solo uno slogan, auto inganno che alla lunga rischia di produrre frustrazione, disagio, isolamento e non incide nei processi e nella vita della persone.
I giorni dell’ira, talvolta legittimi e persino necessari, sono appunto giorni. Non segnano, non costruiscono.
Per questo credo che l’imperativo di oggi sia di offrire soluzioni, non di urlare e scomunicare. Dividere il mondo fra i buoni e i cattivi, i coerenti e gli incoerenti, i puri e i corrotti, può far guadagnare qualche voto, ma alla lunga non paga perché il mondo purtroppo è più complesso: oltre al bianco e al nero ci sono anche tanti colori e ciascuno di loro ha molteplici sfumature.
A volte la polemica può essere utile per provocare, stimolare, suggestionare, ma se è fine a se stessa e mai alla ricerca di soluzioni può divenire persino pericolosa perché può alimentare nicchie di frustrazione che se troppo a lungo covate possono esplodere in fiammate di violenza più o meno verbale.
E dunque mi piace pensare che in nome della responsabilità che ciascuno di noi ha nei propri ruoli (tutti transitori grazie a Dio) e senza deliri di onnipotenza personali o collettivi, ci si possa fermare per provare a cambiare.
Talvolta anche le grandi crisi possono essere paradossalmente una occasione in cui si possono compiere scelte innovative.
Ma davvero qualcuno ritiene che oggi pur nel fisiologico conflitto fra capitale e lavoro, la risposta più adeguata sia quella di rifugiarsi nella trincea dell’antagonismo puro, nel ritorno ad una gloriosa lotta di classe?
La Cisl ha avanzato alcune proposte riformatrici, ad esempio quella di un maggior coinvolgimento dei lavoratori nella gestione aziendale. Provare a discuterne, sperimentare, potrebbe aiutare tutti a fare avanzare di qualche passo il mondo del lavoro dipendente che pretendiamo di rappresentare.
Sono convinto che solo l’etica della responsabilità ci aiuterà a percepire che tutti noi viviamo nella complessità, nelle sfumature, nella fatica delle mediazioni, nel se e nel ma e che spesso le contraddizioni non sono solo negli altri ma dentro ciascuno di noi. Anche perché siamo convinti che ci sono due tipi di sciocchi, quelli che dubitano di tutto e quelli che non dubitano di niente.
Noi come Cisl, passo dopo passo, continuiamo il nostro percorso per costruire EQUITA’, GIUSTIZIA, DIRITTI.
(*) Segretario Confederale CISL