Poche centinaia di persone nelle cui mani passa tutta l’attività legislativa del paese. Sono gli altissimi burocrati, quasi sempre conosciuti solo in cerchie ristrette, eppure decisivi. Un saggio ne descrive le carriere e analizza i gangli dell’amministrazione dov’è la guida effettiva del paese
Il ministro Marianna Madia ha presentato il disegno di legge delega per la riforma della pubblica amministrazione. Non è il primo governo che prova a cimentarsi con la modifica della macchina dello Stato, ma finora non si può dire che siano stati ottenuti risultati decisivi. Chissà, forse potrebbe essere d’aiuto la lettura di un saggio appena uscito da Laterza di due giornalisti di Repubblica, Roberto Mania e Marco Panara.
Roberto Garofoli, Vincenzo Fortunato, Manlio Strano, Lamberto Cardia… Nomi, questi e molti altri, del tutto sconosciuti al di fuori di cerchie ristrette soprattutto dell’amministrazione, e forse poco noti anche a gran parte dei politici. Eppure personaggi potenti, che presidiano snodi nevralgici da dove si può decidere, per esempio, di rallentare l’entrata in vigore di una legge definitivamente approvata dal Parlamento, o addirittura di affossarla, facendo in modo che resti incompleta, priva dei regolamenti attuativi necessari alla sua effettiva operatività.
Sono gli altissimi burocrati, poche centinaia di persone nelle cui mani passa tutta l’attività legislativa del paese. Indispensabili, per le loro conoscenze giuridiche, quando si tratta di scrivere una nuova legge; determinanti per la sua applicazione; decisivi quando i loro colleghi o a volte loro stessi sono chiamati ad esprimere giudizi nei Tribunali amministrativi o al Consiglio di Stato. Sono capi di gabinetto dei ministri, responsabili degli uffici legislativi, capi dipartimento e segretari generali. E’ la “Nomenklatura”, come viene definita nel titolo del saggio il significativo sottotitolo “Chi comanda davvero in Italia”.
Comandano davvero perché sono indispensabili. Ad uno dei recenti presidenti del Consiglio, durante un colloquio informale, è stato chiesto perché il suo governo non avesse nemmeno tentato di avviare una riforma della pubblica amministrazione. “Non potevamo”, è stata la risposta. “Avevamo bisogno della massima collaborazione per poter varare tutti gli altri provvedimenti, con i loro regolamenti attuativi. Non potevamo permetterci di subire qualche forma di ostruzionismo”.
Già, perché le nostre leggi solo teoricamente entrano in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. In realtà quello è solo un passaggio necessario ma non sufficiente, e spesso la legge ha bisogno non di uno solo, ma di molti regolamenti per poter essere applicata. E quello è il regno degli esperti giuridici, la Nomenklatura, appunto, senza l’apporto della quale tutto si blocca.
Fondamentali lo sono stati sempre, ma con il passaggio alla Seconda repubblica il loro potere si è ancora accresciuto, perché sono saltati i tradizionali meccanismi di selezione dei politici. I quali prima si “facevano le ossa”, cominciando magari da un Consiglio comunale per salire via via i vari gradini della scala della rappresentanza fino ad approdare in Parlamento e magari al governo. Era una scuola che durava anni, durante i quali imparavano a destreggiarsi nei complessi meccanismi legislativi e non erano dunque disarmati di fronte ai “tecnici”. Con la Seconda repubblica, invece, la maggior parte dei nuovi politici si è trovata catapultata alla ribalta senza nessun percorso precedente: non potevano che affidarsi completamente a questi tecnici del diritto.
Il libro di Mania e Panara ci guida nei loro santuari. Il Consiglio di Stato, innanzi tutto, vero e proprio cuore del potere burocratico. Il ministero dell’Economia e Finanze (Mef), da cui deve passare qualsiasi legge che comporti una spesa, cioè praticamente tutte. Viene ricordata, in proposito una frase dell’ex ministro Giulio Tremonti che gelò i colleghi: “Siete tutti ministri senza portafoglio”. Vero: senza il visto del Mef non si può fare nulla. E poi le varie magistrature, contabili e amministrative, l’organizzazione di Palazzo Chigi e così via, seguendo i meandri dei gangli dell’amministrazione. Il libro non solo descrive i meccanismi di questi apparati, ma ricapitola le carriere di tanti di questi “grand commis”, seguendoli nei loro passaggi da un posto di capo dell’ufficio legislativo e uno di capo di gabinetto, in una sorta di gioco dei quattro cantoni in cui si scambiano di posto, da un ministero all’altro, finché magari non arrivano a un approdo non di minor peso: il Consiglio o la presidenza di un’Authority.
A volte i loro nomi diventano più noti, perché negli ormai frequenti governi “tecnici” vengono nominati sottosegretari o ministri, come Antonio Catricalà o Filippo Patroni Griffi, ma di solito restano sotto il pelo dell’acqua, non amano apparire, restano appartati nei loro fortilizi burocratici. “E’ in quei luoghi soprattutto che il potere della Nomenklatura dispiega la sua forza attraverso un uso spietato della sapienza giuridica, attraverso le parole, i rimandi, le procedure, che frenano, deviano annullano la eventuale volontà innovatrice o semplicemente l’azione ordinaria della politica. Senza alcuna sensibilità per gli obiettivi e i risultati. E con un culto perverso della complessità anche fine a se stessa, che rende difficile tutto e impossibile il fare”.
Un libro da leggere, insomma, non solo per sapere chi, ma soprattutto dove e come dietro le quinte della politica si aggrovigliano le norme che dovrebbero regolare le nostre vite. E per capire come mai si parla da anni di semplificazione senza aver fatto un solo passo avanti.
Roberto Mania, Marco Panara
Nomenklatura – Chi comanda davvero in Italia
Edizione: 2014
pp. 164 – € 15
– disponibile anche in ebook
(*) Articolo già apparso sul sito Eguaglianza & Libertà
(**) Giornalista di Repubblica.it