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Non basta l’antifascismo. Ci vuole un nuovo welfare

Le recenti elezioni in molti Paesi europei e da ultimi l’Inghilterra e la Francia, sono state dominate dalla contrapposizione tra i tenaci sostenitori della democrazia costituzionale e i crescenti tifosi delle democrature fascistizzanti. “Attenzione, anche nuovi sovranisti si aggirano per l’Europa. Sono i sovranisti filorussi, tanti, ben distribuiti nelle forze politiche, in larga maggioranza nella destra. (Rino Formica, Il sovranismo è andato in crisi, Domani 07/07/2024). Però, gli europeisti, in vari modi e diverse consistenze, stanno ancora primeggiando, sia pure con affanno consensuale e difficoltà progettuali. 

In questo numero della newsletter, ci sono approfondimenti e valutazioni che cercano di circumnavigare le complessità che emergono soprattutto dalle votazioni inglesi e francesi. Sono contributi meditati e circostanziati, anche se si misurano con situazioni diverse e diversamente complicate. 

Impressiona che in Inghilterra, Keir Starmer, il giorno successivo alla chiusura delle urne sia stato ricevuto dal re Carlo III che lo ha incaricato di fare il Governo e 24 ore dopo si è riunito il primo Consiglio dei Ministri. Stupisce anche che in Francia, ad oggi, Macron possa tirare un respiro di sollievo, ma è ignota quale coalizione possa governare i francesi nei prossimi anni. I sistemi elettorali in Europa (nel giro di pochi mesi l’uno dall’altro si sono svolte le elezioni anche in Belgio, in Olanda e prima ancora in Polonia, Ungheria e Spagna) sono tra loro differenti ma nell’insieme dimostrano che non c’è quello ottimale – se ne facciano una ragione i sostenitori della proposta governativa del premierato – che, di per sé, assicuri stabilità governativa. Infatti, anche nella spiccia democrazia inglese dell’elezione a turno unico e vinca il migliore, collegio per collegio, nella scorsa legislatura si sono succeduti tre premier conservatori.

L’instabilità politica dipende da ben altro. Non c’è ovviamente, soltanto un motivo che, oltre a quello identitario citato prima, crei ovunque uno stato d’incertezza. Ma sicuramente, predomina una questione sociale della cui acutezza non si ha ancora la dovuta attenzione. Più precisamente traballa lo Stato sociale che prende le forme della crisi della sanità pubblica in Inghilterra, delle pensioni in Francia, dell’integrazione etnica in Olanda. Il fiore all’occhiello della democrazia europea è sempre stato il welfare universale. Cioè la crescita progressiva di servizi e tutele pubblici che riguardasse l’insieme dei cittadini.

Al netto delle posizioni più dogmatiche e settarie, sia la cultura politica socialdemocratica e comunista che quella cristiana sociale hanno puntato ad attenuare e condizionare il ruolo del capitalismo imprenditoriale e finanziario e la cultura liberale che gli faceva da altoparlante. E’ stata una scelta vincente per il progresso civile nell’Europa del secondo dopoguerra del secolo passato, frutto di una dialettica anche feroce e ruvida sul piano politico ma che ha consentito di disegnare ovunque uno Stato democratico, a misura anche dei meno abbienti.

Verso la fine del Novecento, le prime crisi finanziarie degli Stati hanno indotto anche le forze di sinistra a trovare modalità di coinvolgimento del privato nella gestione dei servizi pubblici essenziali, per non compiere tassazioni e tagli ancora più pesanti di quelli adottati, specie nella sanità, nella scuola e nel campo previdenziale. In quest’ultimo trentennio, sia pure con sfumature differenti, in Europa la cogestione pubblico-privato, non ha brillato per efficienza, razionalità, garanzia per i più deboli. L’universalismo ha subito colpi bassi che hanno lasciato il segno, la natura spesso speculativa delle strutture private si è fatta sempre più evidente dimostrando scarsa o nulla sensibilità sociale; quote crescenti di cittadini, dai bambini agli anziani, sono state poste di fronte al dilemma di pagare di più per avere cure, istruzione, assistenza o rinunciarvi.

Prendere atto di questa situazione di impoverimento dell’idea universalistica del welfare è inevitabile per non continuare a fare errori. Specie per le forze politiche e sociali più progressiste corre l’obbligo di non ripetere come una litania che si è per il welfare pubblico. Condivido quanto dice Veltroni: “la sinistra dovrebbe ambire…a definire una propria autonoma visione programmatica ed ideale” (Due voti e una lezione riformista per la sinistra, Corriere della sera, 07/07/2024). 

Bisogna indicare come è possibile farlo in un sistema nel quale da un lato la struttura della società è mutata, invecchiandosi e dall’altro la ricchezza si è spostata dalla sua fonte primaria che era la produzione di beni e servizi (compresa la quota lavoro). Eppure la tassazione è rimasta legata alla formula novecentesca e industrialista. Un cambiamento, specie per l’Italia, dove, ad oggi, come ci informa la Banca d’Italia, il debito pubblico sfiora i 3.000 miliardi.

L’errore più eclatante è quello di pensare che i cittadini, di fronte a questa situazione, puntino l’indice contro i cultori del liberalismo. Nient’affatto. Il malcontento si affida più facilmente al populismo, confida nel dirigismo, ricerca l’uomo forte oppure si rintana nell’astensionismo silenziosamente ringhioso. 

C’è tempo per correggere il tiro, affrontare la crisi del welfare per il verso giusto e ridare credibilità al ruolo dello Stato democratico. L’hanno intuito bene sia Starmer che Schlein. Ma occorre mettere in pista proposte coraggiose, che siano il frutto di valutazioni approfondite e non emozionali. La politica della strizzatina d’occhi ai sondaggi del giorno dopo, sta immiserendo la politica. La sbronza dei bonus di ogni tipo e qualità sta lì a dimostrarlo. Soltanto facendo proposte all’altezza delle difficoltà che si vanno addensando, si potrà rianimare una partecipazione corale, capace di rintuzzare definitivamente l’avanzata del revisionismo individualista.  

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