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Non conviene vivere di solo PIL

In questi ultimi mesi, l’ossessione del PIL è cresciuta tanto. Lo “0,%” in più o in meno fa comunque titolo di prima pagina. Si può capire, ma per condividere ce ne passa. Certo, la crisi è lunga, ogni spiraglio di luce può indurre ottimismo. Se però la sanità continua a non funzionare come dovrebbe, il benessere cresce o diminuisce? Infatti, è capitato in questi giorni di inizio giugno che da un lato l’Istat documentava una lieve crescita del PIL e dall’altro il Censis presentava un rapporto sulla sanità che ci informava che molti non si fanno assistere più per non pagare i tichets, ovvero che la sanità privata è cresciuta del 3,2% negli ultimi due anni. Stiamo complessivamente meglio o peggio?

La percezione è che, al massimo, si sta come si stava. Di sicuro, sappiamo che non ce lo può dire  soltanto l’andamento del PIL. E’ per questo che, da qualche tempo, istituzioni internazionali (OCSE) e nazionali (Cnel, Istat), studiosi ed esperti stanno affinando uno strumento parallelo a quello strettamente economico, qual è il PIL. Ora, sempre più spesso si parla di adozione dell’indice BES (benessere equo e sostenibile). 

Si tratta di un insieme di indicatori sociali, culturali ed economici che, con opportune dosature (oggetto di continua manutenzione, data la complessità delle  informazioni da rendere omogenee e confrontabili), ci può mettere nelle condizioni di meglio interpretare i mutamenti di breve ma anche di lunga gittata nella società, i tratti di soddisfazione o di insoddisfazione della popolazione, non solo di quanto è cresciuta la ricchezza ma come si è distribuita tra la gente in termini di beni materiali ed immateriali. In altri termini, farci dire, assieme all’andamento del PIL, come viviamo e come potremmo vivere nel più immediato futuro.

Non è uno strumento che riguarda soltanto gli studiosi. Certo il PIL mette sul piedistallo più alto gli economisti, gli econometrici, gli statistici. Con il BES assumono rilievo anche la sociologia, l’ambientalismo, la tecnologia, le varie branche della  conoscenza, le scienze politiche. L’interdisciplinarità diventa rigorosamente indispensabile. E questo dialogo è necessario per dare corposità alla valutazione qualitativa del progresso, senza indulgere, ovviamente, in visioni irrealistiche intorno all’idea di benessere. 

Come si può intuire, fa drizzare le orecchie anche alle organizzazioni sociali (imprenditoriali e dei lavoratori), alle forze del volontariato e del terzo settore (entrambe messe sempre ai margini nelle discussioni sugli andamenti economici), alle varie realtà della formazione e della cultura (verso le quali, il disinteresse istituzionale dell’ ultimo decennio si sta trasformando in blocco dell’ascensore sociale). La crisi del welfare tradizionale, le necessità di conoscenze più moderne e diffuse, le trasformazioni del lavoro concorrono tutte a dare importanza all’affermazione del BES e a vedere come protagonisti proprio le rappresentanze collettive della società.

Anche le istituzioni pubbliche locali e nazionali e la politica in generale possono trarre giovamento. I cambiamenti usurano molto la produzione legislativa e la gestione amministrativa (non è casuale che sono stati i sindaci a cogliere l’utilità di un misuratore come il BES), per cui una migliore capacità d’interpretazione degli andamenti sia di superficie che di fondo della società potrà far commettere meno errori di valutazione e di decisione. Non annullerà affatto la dialettica politica, ma almeno verrà incanalata tra argini meno franosi di quelli attuali. Sempre che prevalga questo sentimento, perchè talvolta viene il sospetto che si preferisca più l’approssimazione che l’approfondimento.

Il BES, dunque, ha le carte in regola per potersi affermare. I tempi della sua utilizzazione potrebbero essere anche brevi se la cavillosità non facesse premio sulla sperimentazione. Non sarà mai messo a punto a prova di bomba se non lo si getta nella mischia. E la decisione non potrà che essere politica.

P.S.

Il Cnel è stato il primo organismo istituzionale che si è impegnato a definire un modello di BES, anche se nessuno se ne è accorto. Non foss’altro che per questa incapacità di far parlare di sé, merita una, sia pure onorevole, sepoltura referendaria.

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