Attorno al feretro, semplice come voleva, di Papa Francesco si è raccolto praticamente l’intero mondo. Per un Papa di cui si è discusso il grado di solitudine in vita ed in Vaticano mi sembra che questa espressione di sincera emozione collettiva sia già un potente e meritato risarcimento.
Ma c’è di più a parer mio: è presto per esprimere una valutazione complessiva del suo operato ma non per ritrovare nel suo impegno pastorale alcuni elementi di continuità con i suoi predecessori che spiegano il perché una chiesa priva di potere temporale sia nel mondo una protagonista assai incisiva e presente e come tale, in grado di comprendere cosa muta e cosa si può e si deve fare per allontanare le minacce della violenza, della oppressione, della negazione della pace.
Mi spiego: Papa Francesco è stato il Papa del dialogo, ha affrontato i problemi che tormentano il mondo, non li ha sfuggiti. Ricorda molto Papa Giovanni XXIII eletto come Papa di transizione e poi divenuto con il “concilio vaticano secondo” l’autore di un formidabile riposizionamento della Chiesa nel mondo moderno. E tutto questo valorizzando il dialogo e la vicinanza ai fedeli non solo con la famosa distinzione fra errore ed errante (che ritroviamo in forme diverse in Papa Francesco e nella sua frase non meno famosa…”chi sono io per giudicare?”) come testimoniò l’adozione nella celebrazione della Messa delle lingue nazionali. E come non ricordare il gesto “profetico” dell’Arcivescovo di Milano poi divenuto Paolo VI che incontrò in un lontano Natale dei primi anni ’60 gli elettromeccanici in lotta in Piazza Duomo? Non si può dimenticare infatti che mai un protagonista di questi tempi difficili è stato come Papa Francesco durissimo nel giudicare lo sfruttamento del lavoro e gli episodi di morti sul lavoro fino a incitare il sindacato ad urlare forte per reclamare un cambiamento. Paolo VI inaugurò una visione missionaria del Papato nel mondo, viaggiando come mai era accaduto. Papa Francesco ha ereditato questa volontà di rapportarsi alle tante culture e alle religioni del globo: non ha indetto crociate ad escludere, ha tenuto a confrontarsi con tutti in uno spirito che poteva apparire scomodo nella geopolitica ma che in realtà ha prodotto la reazione cui si è assistito alla sua morte: testimoniare quella disinteressata apertura. Un po’ ricalcando le orme di San Francesco che si recò in Oriente dal Sultano d’Egitto non per convertire od essere convertito ma per instaurare un rapporto di reciproco rispetto che sarà compreso ed onorato da quel mondo musulmano. La pace sulla quale ha tanto insistito Papa Francesco non nasce da compromessi di potere ma dalla scelta di comprendere le ragioni di ognuno.
E possiamo continuare con Giovanni Paolo Secondo che ha fatto dell’ecumenismo un pellegrinaggio continuo in un mondo che perdeva equilibri ed accumulava problemi e diseguaglianze. Non è stato lo stesso Papa Francesco a cercare il dialogo anche a fronte di quei muri che chiedeva di abbattere a denunciare per primo le falle della globalizzazione e l’avvio di una terza guerra mondiale a pezzi?
Il Papa che chiedeva ai sindacati di impegnarsi per Walesa era anche il Papa che collegò l’impegno politico alla promozione della dignità del lavoro che non riguardava solo l’Occidente industrializzato ma l’intera comunità mondiale. E papa Francesco mostra più di una sintonia in questa direzione di un ecumenismo proiettato a fare entrare in gioco gli ultimi del mondo ed a offrire alla politica la veste di un’azione volta a diminuire sfruttamento e diseguaglianze.
E l’attenzione all’Europa che secondo Benedetto XVI stava perdendo le sue radici cristiane nell’egoismo e nella miope difesa del proprio benessere riecheggia nelle parole di Papa francesco quando in occasione del premio Carlomagno si esprime alla sua maniera, in modo netto nei confronti dell’Europa “nonna”: cosa ti è successo Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti e letterati? Che cosa ti è successo Europa, madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”. È un corollario che richiamava lo spirito dei padri fondatori dell’Europa.
Questo Papa che ci ha lasciato ha proseguito in un’opera fatta di continuità e di innovazione che ha inteso abbattere barriere, difendere le ragioni della dignità umana nel dialogo e non nella contrapposizione. Lo ha fatto perfino in modo inconsueto quando ha ritenuto di dover considerare l’ateismo perfino…meno grave dell’odio che diviene strumento utile per le proprie convenienze.
La Chiesa di Papa Francesco conferma che si muove su direttrici assai diverse dalla cronaca e dalla pratica politica. Ma questo non vuol dire che non si ottengano risultati, tutt’altro. E se sono meno appariscenti, probabilmente nel tempo potrebbero rivelarsi i più duraturi.
Indubbiamente di Papa Francesco ricorderemo la contraddizione iniziale: un gesuita che prende per la prima volta il nome del Poverello di Assisi. Ma dovremmo anche domandarci se poi è stato coerente con quella scelta. Di certo gli ultimi, gli esclusi, i rifiutati hanno trovato in Papa Bergoglio una mano tesa che è apparsa impopolare in tempi di populismo e ritorno di nazionalismi egoisti. Di certo la valorizzazione del lavoro come metro di giudizio per una civiltà sconvolta dalla rivoluzione tecnologica e l’accentramento del potere finanziario ha fatto storcere il naso a molti ma, diciamolo con franchezza, ha anche colmato vuoti che l’abbandono del valore della solidarietà aveva provocato. Di certo ha espresso un’idea di azione pastorale che anche in questa Europa sarebbe utile: evitare di soggiacere ad un sistema nel quale prevalgono le burocrazie e le regole diventano impedimento per capire cosa avviene intorno a noi.
E Papa Francesco ha compiuto il suo viaggio nella Chiesa consapevole dei suoi limiti, come quel San Francesco che ha saputo affrontare le divisioni interne al suo ordine appena nato con lo spirito di chi ha fede e si fa da parte perché l’utilità dell’opera possa andare avanti.
Per coloro che agiscono sui problemi sociali e del lavoro Papa Francesco lascia un’impronta amica: serve il dialogo, serve la proposta, serve anche alzare la voce contro le ingiustizie. Appare come un manifesto del migliore riformismo, sia pure con modalità diverse da quelle sindacali e politiche.
E ritengo, o meglio auspico, che su questo terreno difficilmente la Chiesa tornerà indietro anche se assumerà una vesta più moderata, prudente. È già avvenuto in passato ma se ancor oggi pietra di paragone della sua azione è il concilio vaticano secondo non vi è dubbio che la ragione risieda in un processo di adeguamento ed avanzamento del magistero papale che anche quando da l’impressione di fermarsi a riflettere in realtà sta cercando il modo più concreto per affiancare il cammino della umanità.
Nella testimonianza terrena di Papa Francesco ci sono molti spunti che anche dopo la sua scomparsa un riformismo che voglia contare per cambiare le cose dovrebbe tenere ben presente. Un Papa che fino all’ultimo istante è stato in mezzo alla gente perché da essa riconosciuto come uno di loro, come uno che aveva saputo interiorizzare i loro problemi, le loro angosce e le loro speranze, cercando di dare risposte nel suo campo di azione
L’Europa avrebbe bisogno di udire ancora una volta le parole pronunciate da un nuovo Papa come quelle udite durante il Premio Carlomagno. Parole che scuotono per guardare in faccia la realtà e ritrovare la forza per evitare l’implosione del progetto europeo. Probabilmente alcuni potenti dopo averlo omaggiato dimenticheranno presto questo Papa, non così la gente comune, i poveri del mondo, coloro che hanno apprezzato la Chiesa di strada di Papa Francesco. E sono loro che ricorderanno a tutti il senso di un religioso che ha interpretato la guida della Chiesa come lo stare fra coloro che nelle Beatitudini vengono innalzati dalla loro condizione misera dalla fraternità del Cristo. Perché non va dimenticato, sia che si creda o no, che per questo Papa il Dio cui si era dedicato era un Dio di misericordia.
Mi ha colpito, per concludere, la partecipazione di tanti e tante alle sue esequie. Interrogati, rispondevano come se dialogassero ancora con Papa Francesco. Per loro era più di un ricordo.
*Presidente Fondazione Buozzi; già Segretario Generale UIL