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Si vuole criminalizzare la solidarieta’

Iniziamo proprio da quello che il Contratto chiama business, ovvero i fondi per l’accoglienza, considerati “poco trasparenti e permeabili alle infiltrazioni della criminalità organizzata”. Che approccio è?

La scelta è quella di considerare il tema solo dal punto di vista del controllo e della repressione degli abusi. Aspetti importanti, certo, ma i tre riferimenti alla criminalità organizzata in poche righe fanno emergere una tendenza a scambiare i problemi per patologie, la stessa cosa che è accaduta quanto entrambi gli schieramenti hanno attaccato le ong in mare: ovvero si fa riferimento alla patologia della presenza mafiosa in generale senza distinguere i problemi puntuali, come per esempio la mancanza in molti casi di monitoraggio della qualità dei progetti di accoglienza e l’incapacità di favorire l’integrazione e l’autonomia dei richiedenti asilo. Questi sono, a lungo termine, i problemi di efficacia e qualità del sistema su cui si dovrebbe mettere la maggiore attenzione. Non solo focalizzarsi sul guadagno della criminalità senza distinguere un altro aspetto importante: perché le organizzazioni sociali coinvolte non dovrebbero avere un margine di guadagno dai servizi che offrono sull’accoglienza? Per i servizi ad anziani, minori, disabili le cooperative sociali, sane e con bilanci pubblici, hanno conti in attivo e nessuno solleva critiche, perché per il lavoro con in richiedenti asilo sì? È paradossale.

In un passaggio del testo, quando si parla dei rimpatri forzati delle persone senza documenti regolari per rimanere in Italia, si auspica il trasferimento di fondi per l’accoglienza a un fondo per i rimpatri. Come vede la strada delle espulsioni collettive?
La fattibilità delle espulsioni è limitata. Ci hanno provato anche altri Paesi europei e ci sono riusciti solo in parte: gli accordi con le nazioni di origine sono complicatissimi da fare, e spesso devono prevedere un finanziamento a tali nazioni e come moneta di scambio la concessione, comunque, di un certo numero di migranti da ammettere sul proprio territorio. Poi, l’identificazione di queste persone è difficile e spesso accade che quelli che vengono espulsi sono i più miti e i più ingenui, mentre i più furbi, per esempio chi usa nomi falsi, la fanno franca. Il Contratto su questo tema ha un approccio demagogico e compie una svolta “pseudo rigorista” perché sa che non c’è la fattibilità di tale decisione, appunto. Una soluzione alternativa sarebbe concentrarsi sulle persone ritenute pericolose e già segnalate, gli ex carcerati per reati gravi che tornano in libertà e vengono messi nei Cie, per esempio, dei quali dei quali spesso però non si riesce a conseguire l’identificazione e la nazionalità. Il risultato di quanto scritto nel contratto porterà a poche procedure di espulsione e fatte male, perché non selettive ma casuali e crudeli con i più deboli, come già è avvenuto in questi anni, del resto.

Come valuta la parte del testo in cui si auspica che la richiesta di asilo politico non venga fatta in Italia – così da non dovere rischiare la vita in mare e non dare soldi ai trafficanti – ma nei Paesi terzi, se non addirittura nei Paesi d’origine di chi parte?
Valuto positivo il fatto che ci siano almeno due richiami ai diritti umani delle persone, probabilmente per una richiesta dell’ala del Movimento 5 Stelle più attenta questo tema, chiaramente molto più sensibile rispetto alle posizioni della Lega. Ma chiedere di analizzare le domande di protezione internazionale creando centri di raccolta nel Paese da cui una persona vuole scappare è assurdo. Basta pensare a questa domanda: che ne sarà di chi vede rifiutata la propria richiesta dopo essersi comunque esposto denunciando chi l’ha danneggiato? Le ritorsioni saranno certe. Questa è fantapolitica, ovvero non è politica seria. Ma purtroppo è un approccio che sta prendendo piede, si veda il trumpismo negli Stati Uniti: oramai contano più le politiche dichiarate che quelle effettive. Si dà scarso rilievo all’efficacia e si punta molto sulla comunicazione per andare incontro alla percezione dell’opinione pubblica. Non mi stupirei se il tutto si risolvesse, nei prossimi mesi, con qualche volo di espulsione a favore di telecamera, tanto per fare vedere “il mantenimento della promessa di rimandare le persone in Africa” me poi nulla di più concreto. Il problema, in tutto questo disegno, è la difficoltà di una protesta ancorché civile su questo approccio.

In che senso?
Nel senso che, alla luce del processo di criminalizzazione della solidarietà in atto – si veda appunto l’attacco indiscriminato e infondato degli ultimi mesi alle navi delle ong in mare, che poi non trova riscontro nel Contratto, come se la montagna avesse partorito un topolino – eventuali attacchi di associazioni e ong, organizzazioni non governative, porterebbero acqua al mulino dei governanti, perché le critiche potrebbero essere presentate come la conferma che il governo sta facendo sul serio. Attaccherebbero poi tali enti umanitari come “globalisti” e quindi contro l’interesse nazionale, oltre a fare leva sul presunto business anche di ong che non hanno alcun interesse economico come Amnesty International, per intenderci.

Quale sarebbe invece, in questo quadro preoccupante, una possibile svolta più conciliante diritti e doveri riguardo alle persone irregolarmente presenti?
Una via utile per tutti c’è, anche perché come avvenuto in passato può esser e intrapresa più da governi di destra che da quelli di sinistra, non trovando opposizione una volta decisa: quella delle sanatorie di chi è già presente sul territorio e, oltre a non avere compiuto alcun atto ostile, durante la permanenza ha già intrapreso un percorso verso l’autonomia e l’ottenimento di un lavoro. Non ci sarebbe da inventare niente: in Stati come la Germania e la Svezia c’è già chi, tra i richiedenti asilo, viene “sanato” quando ha trovato un lavoro, saltando la trafila dell’attesa delle Commissioni valutanti. Questo perché si può scegliere di lasciare da parte il populismo verso un maggiore realismo – la sanatoria verso chi si integra è un provvedimento né di destra né di sinistra – di cui di fatto ne gioverebbe tutto il Paese.

Nel testo si parla anche di una “revisione della vigente normativa in materia di ricongiungimenti familiari e sussidi sociali, al fine di evitare casi fittizi”. Tema condivisibile?
Il tema del controllo della veridicità delle informazioni è importante da affrontare, ma forse il testo è stato redatto da mani non esperte perché il riferimento ai ricongiungimenti familiari è quantomeno inquietante: già ora tali bambini, ovvero quelli che dovrebbero essere ricongiunti a un familiare che ottiene il permesso di soggiorno, sono figli di un Dio minore. Devono aspettare anni per poter tornare a vivere con entrambi i genitori. Invocare un’ulteriore stretta a tali ricongiungimenti è paradossale anche in questo caso.

Una domanda su una delle parti finali del testo: la questione dei luoghi di culto, moschee in particolare, per la cui regolamentazione si auspica una Legge quadro, mentre rispetto alla bozza precedente non c’è più il vincolo del proporre sermoni in italiano. Come la valuta?
Negativamente: non c’è una riga sulla libertà di culto. Solo promesse di limitazioni. Si preannuncia la chiusura di sale non a norma, per esempio, quando anche oggi molte di esse sono già in scantinati e luoghi indegni proprio perché non vengono concessi altri spazi per garantire il culto. Si attacca quindi la libertà di preghiera, indipendentemente dalla religione di appartenenza ma con chiari riferimenti alla fede musulmana e al rischio terrorismo islamico, non considerando però un aspetto fondamentale: chi si radicalizza lo fa principalmente su internet o perché agganciato da predicatori non ufficiali, ovvero non riconosciuti dalle moschee. Anzi, proprio l’Islam riconosciuto, anziché osteggiato, può essere il più importante fattore di aiuto nel contrastare la radicalizzazione. Perché è pronto a collaborare per isolare gli estremismi, come già accaduto, tra l’altro.

Ultimo spunto: la questione degli armamenti. Si parla esplicitamente di “bloccare la vendita di armi ai Paesi in conflitto”. Scelta positiva, giusto?
Sì. Il problema però è che siamo di fronte a un ossimoro politico: in un’altra parte del Contratto, quella relativa al lavoro, si fa un riferimento velato ma non troppo alla necessità di difendere i posti di lavoro dell’industria bellica. Delle due cose l’una contraddice l’altra. Anche se immagino siano parti di testo scritte da mani diverse, da qui la differenza. Che però salta all’occhio e ci si può chiedere verso dove andrà la scelta definitiva.

Foto: Archivio CIAI

* Giornalista, scrittore ed educatore

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