“Ovunque vado, sento dire la stessa frase: abbiamo sentito la mancanza del Brasile, in questi anni”, dice Lula, prendendo la parola alla COP 27.
Ed è vero, il mondo ha salutato il ritorno del Brasile sulla scena internazionale, con un grande entusiasmo. A parte le manifestazioni di affetto dei suoi amici di sempre, ci sono stati anche i complimenti e gli abbracci che i leader mondiali gli hanno riservato.
È possibile che tutti avessero bisogno di questa presenza politica, ma soprattutto che tutti si sentano autorizzati a manifestare questi sentimenti,ancor prima del ritorno effettivo del Presidente Lula alla guida del gigante?
Vediamo di capirci qualcosa.
Lula. Per Lula questa terza elezione è stato un netto successo personale: ha rappresentato un eccezionaleriscatto della sua storia, di quella antica di povero migrante, di sciuscià, di operaio, di sindacalista e di quella più recente di indagato, di accusato di corruzione, di condannato e infine – dopo 580 giorni di carcere -di assolto. Tutte ferite che hanno segnato la sua anima e la sua intelligenza con marchi indelebili, ma che Lula sembra aver trasformato in risorse, in virtù.
E oggi, l’elettorato gli ha riconosciuto un ruolo in cui, proprio per la sua storia, era ed è insostituibile: quello di “riunire”, di mettere insieme i brasiliani, di ricostruire un tessuto democratico e di riattivare il consenso attorno ad unprogetto: rendere effettivo lo Stato democratico di diritto, a partire dalla solidarietà verso gli ultimi e dalla valorizzazione delle risorse di cui questo grande paese è depositario. Lula, per la sua storia come Presidente del Brasile dal 2003 al 2010, è stato un attento articolatore di relazioni internazionali. Da Presidente di una grande nazione emergente è stato il portavoce solidale dei paesi terzi, interagendo, alla pari, con le grandi potenze e sollecitando soluzioni inedite, per affrontare la lotta alla fame e alle disuguaglianze, a partire da ciò che stava realizzando in casa. Con Lula al governo del Brasile, il mondo ha verificato che era possibile preservare il polmone del mondo.E questo è statofatto con equilibrio,senza rinunciare alla crescita del PIL, arrivando all’avanzo della bilancia dei pagamenti e riducendo, fino ad annullare,il debito esteromoltiplicato durante la dittatura dei militari (1964-1985). Pur considerando le condizioni particolarmente favorevoli che in quel periodo caratterizzavano il ciclo economico mondiale, Lula ha dimostrato ai brasiliani, e al mondo, che era possibile riscattarsi con politiche economiche e sociali tutt’altro che neoliberiste.
Governo. Il prossimo sarà un “governo di coalizione”, in un sistema presidenziale. Si prevede una dinamica politica complessa con accordi, trabocchetti, contratti e “distratti”. Il nuovo governo, che entrerà in carica dal 1° gennaio 2023, sarà un bastimento con diversi marinai di lungo corso. Sarà un equipaggio di sperimentati amministratori e di esperti nelle diverse materie che dovranno guidare il vascello tra le prevedibili tempeste di un quadro internazionale in totale e profondo rivolgimento.
Opposizione. In questa situazione sono prevedibili le tempeste che dovrà affrontare, visto il maltempo che si sta già addensando all’orizzonte.La prima tempesta saràquella della gestione dei rapporti col Parlamento, a cui le elezioni di ottobre hanno assegnato una maggioranza esplicitamente di destra (e di estrema destra). Ma non è ancora cominciata la navigazione, che è già minacciata -in verità, è già in atto–la buferascatenata dagli interessi economici forti nazionali e internazionali. Questo aspetto merita una riflessione aggiuntiva: tutti sanno che dalla crescita realizzata nei primi governi Lula sono derivati beneficiconsistenti non solo per le classi più povere, ma ancheper le imprese industriali e per il commercio,per le attività agricole e, copiosamente, anche per gli investitori finanziari. Ma la partita, oggi, sembra essere diversa: il mercato, come chiamano qui quella cosa che viene misurata dall’andamento della Borsa e del tasso di cambio del Real, sta già manifestando “nervosismo”. Ufficialmente si dice che è perché si teme che non verranno rispettate le compatibilità fiscali, se si attueranno le promesse elettorali del Presidente eletto.Per cominciare, è già finitasotto tiro la copertura di bilancio per garantire “tre pasti al giorno ad ogni brasiliano”. Più verosimilmente, però, quello chesi sta manifestandoèuna specie di consapevolezza del “rischio Lula”per gli interessi dell’establishment. Investitori (in verità speculatori) nazionali e internazionali non intendono aprire una falla, grande come il Brasile, nella propria imbarcazione globale che già sta facendo acqua ed è pericolosamente e visibilmente allo sbando in diverse parti del mondo, proprio mentre sembra voler andare a tutto vapore, verso una meta sempre più sconosciuta e irraggiungibile.
È facile intuire, quindi, che la finanza nazionale e internazionale si sta piazzando all’opposizione.
E poi c’è sempre un’opposizione sociale, non rappresentativa di interessi economici definiti, ma piuttosto espressione di preconcetti culturali che non è eccessivo definire di tipo classista e razzista.
Infine, ma non meno rilevante, c’è un’opposizione fascista, negazionista e complottista, che non riconosce il risultato delle elezioni e sta ancora davanti alle caserme chiedendo l’intervento dei militari. Non è complottismo dire che dietro questa fascia preoccupante di elettorato c’è la famiglia Bolsonaro, con i sui collaboratori e con l’ammiccamento, non ufficiale, anche di diversi parlamentari appena eletti.
E i vertici militari? Per lo più tacciono,ma quando parlano, esprimono rozzamente il loro rifiutoa collaborare col nuovo Presidente. Questoè grave, anche seera prevedibile: le forze armate si sono compromesse troppo con l’avventuraBolsonaro tanto che ora sembrano incapaci di trovare una via d’uscitaminimamente dignitosadall’imbroglio in cui si sono cacciatein questi ultimi anni.
Dinamica sociale. Da un lato avremo, quindi, un establishment che non ha scelto Lula. Anche l’imprenditoria brasilianache, alla fine, si è manifestata pro-Lula, di fatto, ha deciso di ingoiare, ancora una volta, il sapo barbudo (il rospo barbuto), ma solo per necessità. Ha liquidato Bozo, ogni giorno più indifendibile e impresentabile, continuando, di fatto, ad apprezzare la politica economica di Guedes. L’ultraliberista Paulo Guedes, il plenipotenziario Ministro dell’Economia del governo uscente, è un “tecnico” cresciuto alla “Scuola di Santiago”, quella che ha prosperato, in Cile, durante la dittatura di Pinochet.- Una referenza indiscutibile, no?
Dall’altra parte avremo i ceti popolari più poveri, che in questi ultimi anni sono andati ad ingrossare le file dei diseredati. Accanto a loro, le fasce della cosiddetta “classe media”,che contiene i lavoratori dipendenti dell’industria, del commercio e dei servizi, i produttori familiari, i piccolissimi imprenditori e commercianti e i dipendenti pubblici. Queste fasce, di solito, sono tenute insieme e rappresentate o dai sindacati, o dalle associazioni di categoria. Ma la politica scellerata degli ultimi sei anni ha smontato, pezzo per pezzo, la rappresentanza sindacale, il suo ruolo e le sue fonti di sostentamento.
Un prezzo alto pagato alla ventata neoliberista che qui, in situazioni obiettivamente meno protette rispetto a quelle europee, ha spazzato via quasi tutte le norme di tutela sindacale e, con esse, la possibilità di prevedere un minimo di democrazia nelle relazioni di lavoro e di dialogo sociale.
Non è ovviamente da trascurare la presenza di alcune fasce del ceto intellettuale. Sono una risorsa da non sottovalutare sia per la loro funzione “usuale”, sia per una politica culturale più capillare, di cui si avverte una grande necessità.
Conclusione. Sarà una sfida di alto rischio. Un po’ per tutti, in verità, ma principalmente per chi crede nella democrazia e nella possibilità di realizzare i cambiamenti necessari, con percorsi politici rispettosi delle regole costituzionali. In situazioni come queste, il rischio di illeciti protagonismi e di sbandate istituzionali, esistono tutti. Da parte del parlamento, del sistema giudiziario come del potere esecutivo. Ma, almeno in quest’ultimo caso, sappiamo che dal 1° gennaio prossimo, alla Presidenza della Federazione ci sarà il rappresentante di una cultura democratica solida,con una visione dinamica dei rapporti internazionali e cheha assunto le aspettative degli ultimi, dei più vulnerabili (e già ampiamente vulnerati), come sua missione irrinunciabile e come punto di partenza dello sviluppo economico e sociale del suo paese.
Considerazioni personali. Sarà per questi motivi che si esprime tanto entusiasmo per il “ritorno” del Brasile sulla scena mondiale?Chissà?
Più che di entusiasmo, mi pare sia necessario che le forze progressiste mondiali manifestino impegno a seguire, con attenzione, il progetto di cambiamento che si prospetta in Brasile e che lo accompagninocon maggiore continuità e solidarietà, di quanto non sia stato fattoin passato.In fin dei conti, molti governanti democratici, a partire da quelli europei, pur in contesti differenti, si trovano nelle stesse acque di Lula: battere il risorgere del fascismo riprendendo il cammino delle riforme progressiste per costruire risposte all’altezza delle sfide che viviamo oggi. Già molti indicatori dicono che è arrivato il tempo di scegliere nuove strade, con lungimiranza e coraggio…
Questo appare un percorso realistico per rianimare il consenso di un elettorato allo sbando che o si astiene, o cade vittima delle sirene dell’estrema destra.
È questo un riposizionamento strategico essenziale per le forze di centrosinistra ma anche è, o dovrebbe essere, una necessità di chi ha in mano le leve dell’economia mondiale, visto che ogni ipotesi di sviluppo ha sempre più bisogno di partecipazione e di equità.
Qual è allora la speranza? Che il gigante sudamericano riprenda il suo cammino e che faccia i passi giusti per dare un nuovo impulso al mondo.
È vero che il mandato di Lula durerà solo quattro anni, ma è anche vero che i prossimi saranno anni estremamente importanti per il futuro del pianeta, come ha confermato anche la COP 27.
E quindi sì, bentornato! Del nuovo Brasile c’è bisogno.