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Ossiccini e la Politica: una storia di libertà. Intervista a Casula

Adriano Ossicini è stato partigiano cattolico, fu tra i fondatori del movimento dei “Cattolici comunisti”, docente universitario di Psicologia alla Università “La Sapienza” di Roma. Con Franco Rodano fu tra i grandi ispiratori del dialogo tra cattolici e comunisti. E’ stato a lungo parlamentare e anche ministro. Una stagione intensa e drammatica. Per ricordare la figura di questo protagonista della nostra storia politica, abbiamo intervistato il professor Carlo Felice Casula, Ordinario di Storia Contemporanea alla Terza Università di Roma. Casula, inoltre, è stato il curatore degli scritti politici di Adriano Ossicini.

Professore, la scomparsa di Adriano Ossicini, uno dei più autorevoli testimoni della Sinistra Cristiana, ci offre l’occasione per ricordare una grande storia di impegno politico. Partirei dal partito della “sinistra cristiana”. Come nasce?
 

Il Partito della Sinistra Cristiana nasce nel 1944, all’indomani della liberazione di Roma dall’occupazione tedesca. Si trattò in realtà sostanzialmente del cambio del nome del Movimento dei Cattolici Comunisti, del quale Ossicini era stato uno dei fondatori assieme a Franco Rodano. Mutamento di nome finalizzato soprattutto per non incorrere in esplicite condanne della gerarchia. Ossicini ne fu un sostenitore convinto anche in vista di una maggiore presa nel mondo cattolico, come in parte avvenne con l’ingresso di esponenti del Partito cristiano sociale, come Gabriele De Rosa o di altre personalità cattoliche come Giuseppe Mira.
 

Ossicini svolse un ruolo importante nella resistenza romana al fascismo. Quale è stato il suo ruolo di resistente? 

Durante i lunghi mesi dell’occupazione tedesca della Capitale, Ossicini è il responsabile dell’organizzazione militare del Movimento dei Cattolici Comunisti, seconda solo, per numero di partigiani combattenti, a quella del Partito Comunista. Ossicini partecipa ai combattimenti per fermare i Tedeschi, l’8 settembre, a Porta San Paolo, che vedono la presenza congiunta di militari e civili e danno inizio alla Resistenza stessa. Vicino ai Cattolici Comunisti è Raffaele Persichetti, uno dei caduti di Porta san Paolo e amico e collaboratore di Ossicini è anche Romualdo Chiesa, arrestato, torturato e trucidato alle Fosse Ardeatine.

Perché Ossicini non aderisce, come altri giovani cattolici impegnati nella resistenza  alla DC? Eppure nella Dc c’era una forte componente di sinistra?

La Democrazia Cristiana pur facendo parte del CLN di Roma e pur essendo su posizioni rigorosamente antifasciste e anche solidali con il movimento partigiano, ha una presenza nella resistenza molto ridotta. Per Ossicini, il cui padre, Cesare, era stato un dirigente del Partito Popolare, perseguitato dal Regime, l’impegno antifascista, fin dal 1938, anche all’interno della Fuci e poi la partecipazione attiva alla lotta armata contro l’occupazione tedesca, era stato il vero punto di discrimine della sua identità politica.

 

 

Nel 1946 alcuni aderenti alla Sinistra Cristiana fanno il grande salto verso il PCI. Pensiamo a Franco Rodano. Ossicini non aderì al PCI. Perché? 

Nel dicembre del 1945 il Partito della Sinistra Cristiana, con un congresso straordinario, si sciolse, dando questa indicazione, come titolo, Voce Operaia, il diffuso e autorevole settimanale del partito: “sui fronti di lotta della classe operaia continuiamo la nostra azione di cattolici e di democratici”. Concretamente questo voleva dire lavorare nelle organizzazioni di massa come l’UDI, il Fronte della Gioventù, la CGIL, allora unitaria e anche aderire al Partito Comunista che, con il suo quinto congresso del gennaio 1946, si configurava come partito nuovo, al quale si aderiva con la condivisione del suo programma politico e non dell’ideologia marxista.  Ossicini, contrario allo scioglimento, pur non aderendo al Partito Comunista, collabora attivamente con esso, a partire dal suo iniziale impegno istituzionale nella Provincia di Roma. Nel 1948, sia pure senza farsi grandi illusioni, è vicino al Movimento detto Cristiani per la pace, animato da Guido Miglioli, il “bolscevico” bianco, mitico dirigente delle leghe bianche del primo dopoguerra, che con Ada Alessandrini, entra a far parte del Fronte democratico popolare. Ossicini, a differenza di Franco Rodano, era convinto della necessità della copresenza di più partiti di ispirazione cristiana e condivideva con esponenti della stessa Curia, come l’allora mons. Domenico Tardini, la preoccupazione dei rischi e dei costi, sul terreno religioso, dell’appiattimento della chiesa e della fede con un partito.

Eppure questo “sovversivo”, così era stato schedato dalla polizia fascista, dopo la scomunica del 49 continua a mantenere il suo legame con la Chiesa. Importante il suo legame con don Giuseppe De Luca….

Ossicini mi ha confidato che quando ebbe l’interdetto personale, si recò in Vaticano, interloquì con Ottaviani chiedendo le ragioni del provvedimento. Le ragioni non furono spiegate, ma l’interdetto gli fu immediatamente tolto. Per il vero il termine scomunica è improprio. Monsignor Domenico Tardini, come ha ricordato Federico Alessandrini, al riguardo fece una battuta fulminante: “Bella trovata questa di Ottaviani. Se la scomunica attacca, avremo in Italia milioni di scomunicati. Se non attacca, mi dici tu a che serve?”. Don Giuseppe De Luca, personalità ecclesiastica di vastissima cultura e di grande fascino intellettuale, amico e collaboratore di lunga data sia di Tardini, che di Montini, era molto legato anche a Rodano e per il tramite di questi anche a Palmiro Togliatti. Ossicini in un bel libro pubblicato dalle prestigiose Edizioni di Storia e letteratura, fondate proprio da De Luca, ha ricostruito il suo lungo e intenso rapporto con lui: Il colloquio con don Giuseppe De Luca. Dalla Resistenza al Concilio Vaticano II.

Arriviamo agli anni del Concilio e del post-Concilio. In questo periodo si svilupperà, fortemente, il dialogo tra comunisti e cattolici; fonda l”agenzia di stampa ADISTA che divenne uno strumento di informazione ecclesiale e politico per sviluppare questo dialogo. Non bisogna dimenticare il suo impegno di parlamentare della Sinistra Indipendente…

E’ propriamente negli anni della ricezione e dell’applicazione delle novità del Concilio che Ossicini riprende l’impegno politico attivo e pubblico, dopo un periodo non breve, durante il quale, anche se la sua passione per la politica non si era mai spenta, si era dedicato prioritariamente alla sua professione di medico-psicologo e di studioso e docente universitario. Nel 1967, siamo ormai alla vigilia dell’entusiasmante stagione dei movimenti, dei giovani, degli operai, delle donne, ma anche dei cattolici postconciliari, Ossicini raccoglie l’invito di Ferruccio Parri a dare vita a una nuova e originale iniziativa che in collaborazione con il PCI, anche in riconosciuta autonomia, interpretasse queste spinte. E’ la Sinistra indipendente che vede il coinvolgimento sia alla Camera che al Senato di tante prestigiose figure, laiche e cattoliche, del mondo della cultura, delle professioni e della ricerca. Adriano Ossicini, senatore per molte legislature, vicepresidente del Senato, persino ministro per un breve periodo, è da subito uno degli esponenti più noti e autorevoli. Per decenni è stato, fuori e dentro il Palazzo, uno dei punti di riferimento per generazioni di giovani cristiani di sinistra prima e dopo il Concilio. 

Che rapporto c’era tra Ossicini e Moro? E in questo rapporto il suo giudizio sulla DC era cambiato? 

Ossicini, come d’altronde anche Franco Rodano, avevano per Moro grande stima e attenzione, così come per la Base nel suo complesso, vista come la corrente della DC che con più rigore difendeva la laicità della politica. Certo che il giudizio sulla DC cambia nell’intensa, ma, purtroppo, breve stagione del berlingueriano-rodaniano compromesso storico e della Terza fase morotea, che sembrano riproporre i valori e i sogni della Resistenza e dei governi di unità nazionale. Per vanità personale ricordo che il mio libro “Cattolici Comunisti e Sinistra Cristiana (1938-1945)”, pubblicato nel 1976 da Il Mulino, per diverse settimane fu in cima alla classifica dei libri di saggistica più venduti.  Ossicini visse come un vero e proprio dramma personale la prigionia di Moro, la sua barbara uccisione da parte dei sicari delle Brigate Rosse, ma anche l’incapacità della politica tutta a ottenere la sua salvezza. 

Alla fine della “Prima Repubblica”, o per meglio dire alla vigilia della “seconda repubblica”, Ossicini  diventa Ministro della famiglia e solidarietà sociale con Dini. Successivamente si impegna nell’Ulivo e poi nel PD. Per finire Professore, in sintesi, cosa ha significato la politica per Ossicini?

Credo che Ossicini sia un politico, nel senso pieno del termine e nell’accezione montiniana della politica come la forma più elevata della carità, dell’Italia repubblicana. Ossicini non amava, e io con lui, la categoria della Prima Repubblica. Indubbiamente nonostante la sua breve esperienza di ministro con il Governo Dini, dopo la morte di Moro e, successivamente, la fine del Partito Comunista, nonostante le nuove speranze suscitate dall’Ulivo di Romano Prodi, credo non abbia più vissuto gli entusiasmi dei molti decenni precedenti. Quando alcuni anni orsono curai un’ampia antologia di suoi scritti per le Edizioni Studium, scegliemmo insieme questo titolo: Il cristiano e la politica. Documenti e tesi di una lunga stagione (1937-1985). Nella sua lunga vita ben vissuta e ben spesa, ha, tuttavia, sempre conservato speranza e ottimismo. Per un cristiano anche di fronte al più forte pessimismo della ragione, rimane pur sempre oltre all’ottimismo della volontà, anche quello della Provvidenza.

 

Dal sito: http://confini.blog.rainews.it/2019/02/19/adriano-ossiccini-e-la-politica-una-storia-di-liberta-intervista-a-carlo-felice-casula/

 

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