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Pace e guerra, al tempo di Trump

Jamil Chade, giornalista brasiliano e internazionale, ha espresso molto bene il progetto geopolitico di Donald Trump: “Egli ha già chiarito: non si impegnerà nella diplomazia. Agirà con la forza, sia militare che economica e commerciale. La sua costruzione di un nuovo ordine non implica la pace. Ma piuttosto la capitolazione dell’avversario”. Gli accordi tariffari con quasi tutti i paesi sono più imposizioni sue che il frutto di una negoziazione. Questa si chiama capitolazione. È merito del governo brasiliano, riconosciuto da figure di spicco dell’economia e della politica mondiale, non essersi piegato, ma di aver respinto sovranamente l’imposizione di dazi del 50% sui nostri prodotti, per ragioni ingiustificabili. Trump è un militarista e un imperialista.

Pertanto, dobbiamo ricercare le cause nascoste dietro questo imperialismo e la negazione della diplomazia, con la minaccia di guerra e capitolazione. È la sua volontà di dominio, secondo il mantra “un mondo – un solo impero” (quello degli USA). È importante riconoscere che esiste un grave conflitto di interessi geopolitici, etnici ed economici, nonché l’esistenza di profonde disuguaglianze, soprattutto nel Sud globale, rispetto al Nord globale, che potrebbero minacciare l’impero costituito.È essenziale identificare queste connessioni occulte, come condizione per comprendere la geopolitica di Trump e anche per raggiungere una pace vera e duratura. La risposta non è un’altra guerra. Ma una pace disarmata e disarmante, secondo l’attuale Papa. Questa pace disarmata utilizza mezzi politici, diplomatici e la partnership con altri governi che a loro volta vogliono la pace, con i movimenti sociali, con la mobilitazione delle religioni e chiese e il coinvolgimento con gruppi che praticono alternative.

Chico Mendes in Amazzonia era un sostenitore di questo tipo di pace disarmata. Ha mobilitato le popolazioni della foresta, i raccoglitori di caucciù e i popoli indigeni per contrastare gli avamposti della deforestazione, organizzando i famosi “empates” (sit-in di persone di ogni tipo – bambini, donne, anziani e lavoratori con i loro attrezzi di lavoro – che si schieravano davanti ai trattori che distruggevano la foresta).Questo tipo di pace, che si oppone alla violenza, è allo stesso tempo una geopolitica con la sua strategia e tattica, ma anche uno spirito di pace profonda che rinuncia all’uso della violenza come mezzo per risolvere e gestire i conflitti, impegnandosi a renderli il più possibile non distruttivi. Così è antimperialista ed esclude la guerra come mezzo per creare un nuovo ordine tra le nazioni, come vuole Trump. La guerra è perversa perché decima vite, soprattutto, innocenti come nella Striscia di Gaza. Essa si oppone frontalmente al comandamento transculturale: “non uccidere”.

La pace armata non mira alla pace, ma è una pacificazione imposta da Trump. Essa presuppone che la realtà sia un’arena in cui si combattono costantemente conflitti e guerre. La coesistenza tra individui, comunità e popoli è possibile, ma minacciata da continue rotture. Gli stati-nazione e i paesi centrali che egemonizzano la condotta della storia sono campi di battaglia per il potere, per determinare chi è il più forte, con l’eventuale “distruzione reciproca assicurata”.

Il grande giurista e politologo Carl Schmitt (1888-1986), nel suo libro Le categorie del ‘politico’ (il Mulino, 2014), sostiene la tesi che l’identità di un popolo si definisce e si riafferma nella misura in cui è in grado di identificare un nemico e di impegnarsi in un combattimento permanente, attraverso il pregiudizio, la diffamazione e la demonizzazione dell’altro. Non a caso, fu l’ideologo di Adolf Hitler. Carl von Clausewitz (1780-1831: Sulla guerra, 1976) attribuisce centralità alla guerra nella condotta della storia e vede la politica come una guerra condotta con altri mezzi. 

Furono proprio queste visioni di violenza a dare origine all’omicidio amministrativo praticato dal colonialismo europeo in Africa, in America Latina e in Asia, decimando milioni di indigeni in pochi anni, come accadde in Messico e nei Caraibi nel XVI secolo.

Con la guerra totale, inaugurata da Hitler nella Seconda Guerra Mondiale, si somma la “fabbricazione sistematica di cadaveri nei campi di sterminio nazisti” (Hannah Arendt). Queste “fabbriche di sterminio” non avevano alcuna necessità militare. Lì prevaleva l’esecuzione banale, burocratica e tecnica della morte, senza alcun scrupolo e senza qualsiasi sentimento morale. Era la pura espressione del razzismo e dell’odio. Solo nel XX secolo, sono state uccise 200 milioni di persone nelle numerose guerre che si verificarono. Ciò rappresenta un alto livello di barbarie e negazione di qualsiasi principio di civiltà.

Infine, negli ultimi anni sono emerse armi di distruzione di massa, in particolare quelle che utilizzano l’Intelligenza Artificiale Generale con i suoi miliardi di algoritmi, in grado di spazzare via la specie umana e gran parte della biosfera. 

Questa modalità di guerra ha profondamente alterato la percezione che l’essere umano ha di sé stesso. Egli può autodistruggersi. La sua fine non deriva da un cataclisma naturale o dalla volontà divina, ma dalle proprie decisioni umane o dalla delega a un’intelligenza artificiale autonoma, le cui decisioni sfuggono al controllo umano. Dopo essersi appropriato dell’alfabeto genetico della vita, l’essere umano finisce per appropriarsi della propria morte.

Questo fatto assume dimensioni metafisiche che ci fanno pensare su chi sia l’essere umano e sul suo posto nell’universo. Lui è stato l’ultimo degli esseri superiori a entrare nel processo evolutivo: sarà che non lo sia stato per porre fine a questo processo, diventando il grande killer del nostro sistema solare e colpendo l’intero processo della cosmogenesi?

Sono queste constatazioni altamente perverse che affollano la mente di Trump. È stato scoperto che gli USA, sin dalla loro fondazione, sono sempre stati coinvolti in qualche tipo di guerra, avendo conosciuto solo 17 anni di pace tra le guerre.

Questo non significa che non abbiamo più fiducia nell’essere umano, capace di creare relazioni pacifiche e lasciando così spazio a una pace disarmata e non alla guerra.

* ex professore presso l’Università Statale di Rio de Janeiro (UERJ), professore ospite in diverse università straniere e autore di oltre cento libri su vari argomenti. (Traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)

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