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Paese che vai, riders e sik che trovi

Nella vignetta di Makkox che trovate in fondo all’articolo, in prima fila sono rappresentati gli ultimi arrivati nel mondo del lavoro attuale, i rider e i nuovi braccianti immigrati.

Guardandola e leggendo sull’epidemia nel basso Lazio portata dai Sik di ritorno dall’India mi è venuto in mente di quando nei primi anni sessanta, circa quindicenne, mio zio prete fissato con le parentele, mi portò a visitare la famiglia di un lontano cugino a borgo Sabotino. Si era trasferito lì dal Veneto durante con la bonifica di Mussolini e girando con lui nella zona mi ricordo si sentiva parlare in Veneto. 

Oggi a quello che si legge in diversi borghi attorno a Latina e Sabaudia non si parla più veneto ma sik, se è vero che questi ultimi sono circa 30.000. Tutti braccianti, chissà   quanti regolari e quali le condizioni di lavoro. E’ naturalmente giusto parlare delle condizioni di lavoro dei dipendenti Amazon, dei ritmi di lavoro loro imposti. Forse sarebbe il caso di occuparsi più da vicino anche delle condizioni di questi lavoratori, i cui prodotti arrivano sulla nostra tavola, spesso. Occuparcene non solo quando diventano un rischio epidemiologico anche perché non li abbiamo messi in regola e quindi tendono a sfuggire ai controlli.

Sui rider mi ha colpito leggere qualche giorno fa la notizia che un funzionario del partito comunista cinese si è fatto “assumere” dalla maggiore società che organizza vendita di pasti a domicilio in Cina, ha registrato in video la sua giornata lavorativa e poi ha denunciato le condizioni di lavoro con il plauso del partito. Il Corriere della sera che riportava l’episodio annotava che quando qualche settimana prima sui social un vero rider aveva fatto la stessa cosa; i suoi account erano stati immediatamente cancellati. 

La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo la notizia è, però, che anche in Cina ci sono i riders. È vero che non è la Cina di Mao ma quella di Deng; ma non pensavo, o non avevo riflettuto abbastanza, che fosse così simile a noi. Poi mi sono ricordato di una mia “sorpresa” nel lontano 1972. Scendo dal treno alla stazione di Sofia in Bulgaria proveniente da Istambul. Esco dalla stazione e la prima immagine della Sofia comunista è quella di un uomo con una bilancia da bagno che si offre di pesarmi, tale e quale a quelli che avevo visto nella capitalista Turchia.

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