Mentre sto scrivendo (14 maggio) leggo sull’Avvenire: “Prima chiamata per la tregua”. Sarà vero? Spero sia vero! Deve essere vero, perché un giorno tutto questo finirà; non può essere una speranza, un anelito: deve finire.
È vero che ci sono interessi consolidati da difendere, è vero che i padroni del conflitto devono continuare a garantire aree d’influenza consolidate, ricchezze e potere in un mondo che sta cambiano e che produrrà altra cultura, altre ricchezze, altri consumi.
La paura riguarda la produzione di altro potere? E c’è anche l’umanità tutta che deve garantire la propria esistenza e il proprio benessere, e lo potrà garantire solo sulle certezze della pace nello sviluppo sostenibile.
Basta sviluppo insostenibile. Oppure è proprio questa contraddizione in termini che genera la guerra? Smettiamola con la convinzione che “chi non è con me è contro di me”. Le cose sono difficili e complesse ma la via della pace potrebbe essere più facile di quello che si pensa, se percorsa con le trattative e la diplomazia e non complicata da inutili altalene.
Per l’umanità una speranza c’è. È riposta in una legge fondamentale conosciuta da tutti (anche dagli attuali accaniti belligeranti): “le cose si attuano nel mondo dei vivi”. Tutti ci ricordiamo di Hiroshima e Nagasaki, di Cernobyl e altri disastri (briciole in confronto a quello che potrebbe succedere) ed è in questo ricordo che noi, miseri e negletti spettatori, siamo pervasi dalla convinzione che, se la volessimo raccontare, non avremmo più nipoti per farlo.
Almeno per questo non si può e non si deve (rifiuto la prudenza e non dico dovrebbe) andare oltre.
Sono sempre stato convinto (come molti altri) che stiamo vivendo e subendo uno dei tanti combattimenti tra galli che, purtroppo, al posto del becco hanno le armi nucleari.
Il problema è che su questi Galli ci sono scommesse micidiali: USA e Occidente come modello omologante a cultura dominante; Russia che, pur desiderosa e determinata a entrare nella grande famiglia della cultura occidentale (ricordiamoci che alla corte di San Pietroburgo la lingua ufficiale era quella francese), vuole entrare con violenza e arroganza perché condizionata dall’essere stata un’ex (ma molto ex) potenza antagonista; Cina (sorniona) che non abbandona il sorriso e, per disegnare nuove gerarchie culturali, economiche e sociali, aspetta solo il suo turno di dare le carte e far brillare nel piatto pesi economici e demografici, cultura e influenza culturale, autonomia, e soprattutto domanda e offerta di alleanze con tutti e non solo con quei Paesi i cui territori sono stati già acquistati.
Tutti gli attuali “consolidati” temono un mondo che sta cambiando, e cambierà radicalmente; il peggio è che i “futuri” non scalpitano. Forse aspettano la metamorfosi degli attuali “consolidati”?
L’abaco degli interessi è molteplice, confuso, imperscrutabile; se cambieranno le alleanze, le sfere d’influenza e le relative geografie del potere chi le governerà? È per questo che le armi sono una certezza e la guerra fredda è un rimpianto?
Se questi sono gli attori, palcoscenico geografico e proscenio non sono meno confusi e sono alla ricerca di un attore e di un ordine che si deve ancora definire e formare nelle scelte e nelle capacità d’influenze, condizionamenti, mercati.
Solo a pensare queste confusioni , viene da grattarsi la testa:
- Cina, India, Russia, Pakistan (e perché non anche Australia) al grido di “viva i fossili” stabiliranno una santa alleanza magari all’insegna del rublo o dello yen?
- L’Occidente ha fatto il suo tempo, evviva l’Oriente e la nuova frontiera della globalizzazione e dell’omologazione?
- Che fine farà la contraddizione dello sviluppo insostenibile? Dove si schiereranno i nuovi e gli altri produttori di petrolio, gas e carbone? Si ricicleranno? Saranno rimpiazzati? Non sono ancora pronti, vogliono ancora ‘raschiare il barile’. Quando alla TV vediamo una pubblicità dell’ENI, ultimamente vediamo il cane a 6 zampe e l’annuncio che ENI produce anche energia da fonti rinnovabili.
- Cina e Usa proveranno una loro Santa Alleanza con una Russia dimensionata?
E l’Europa? Continuerà a ricoprire l’attuale ruolo dei “pannicelli caldi”? Continuerà ancora a essere l’ultimo luogo di esercizio della vetusta guerra fredda schierandosi un po’ di qua e un po’ di là? Ora che il principale yes man degli USA è uscito, perché non lavoriamo sulle politiche, sull’autonomia, sulle nostre economie capaci di cultura e libere dai fossili? Ci ricordano che da noi non c’è omogeneità né in economia, né in politica interna, né in politica estera; certamente, ma è per questo che l’Europa si costruisce con la politica e le rispettive politiche, diplomazie, economie.
Si potrebbe continuare per molto, ma non voglio giocarmi tutte le battute concesse per l’articolo. Alcune cose comunque sono sotto gli occhi di tutti: questa guerra sta creando, come sempre, morte e povertà per molti e ricchezza e potere per pochi.
L’improvvisa (o la paventata tale) modificazione di molti flussi legati al grano, al gas e al petrolio si candida a modificare costi e mercato, a creare un’economia di guerra che affama, oltre ad alcuni dei più diretti interessati, molti dei più indiretti interessati e anche mezzo bacino del Mediterraneo.
A fronte di questo, è scomparsa quasi per incanto tutta la spinta verso lo sviluppo sostenibile, la produzione di energia da fonti rinnovabili, le nuove politiche agricole riversate a una maggior cura e uso del suolo.
Abbiamo la crisi del gas e del petrolio e rispondiamo andando da un lato a cercare gas e petrolio presso altri Paesi che spesso hanno diplomazie improbabili con trattati scritti su “protocolli” leggeri, e dall’altro facciamo permanere le sovvenzioni sui terreni incolti. Ma l’Europa della grande cucina e della grande agricoltura e zootecnia che fine ha fatto?
Le regole dello sviluppo locale e della partecipazione sono come quelle dell’ecologia per la quale il concetto di ecosistema è un concetto di relazioni e di equilibri e valgono come filosofia di vita e di comportamenti; per l’Europa il luogo dello sviluppo locale può essere l’Europa stessa. L’Europa è il grande ecosistema su cui ricostruire gli equilibri interni ed esteri. Come tutti gli ecosistemi, vive perché ha già al suo interno le differenze: diversità è ricchezza. La diversità fa paura solo a chi odia il confronto.
Fuori metafora: o l’Europa si forma come Europa assumendo una dimensione politica, territoriale, sociale, economica e militare degna di un’unità continentale o, nella competizione tra continenti, diventerà la negletta.
A Glasgow piangevamo tutti perché India, Australia, Cina, Corea … non firmavano o diluivano il brodo come neanche alla mensa dei poveri nei romanzi di fine ottocento.
E ora? Tutti i Ministri degli Esteri sono diventati cercatori di Petrolio (in Paesi altrui).
E le fonti rinnovabili? Le politiche per lo sviluppo sostenibile? Dobbiamo distogliere fondi dallo sviluppo per finanziare gli effetti del caro-bollette e allora vogliamo correre verso le stesse dipendenze, per di più con Paesi ancora più improbabili?
È dai primi anni 70 che subiamo rincari e modifiche profonde nei modi di produzione e di distribuzione sociale di costi e ricchezze perché dipendiamo dalle politiche autonome dei Paesi produttori di gas, idrocarburi ecc. e ancora continuiamo ad andare sul mercato chiedendo: “i prossimi anni da chi potrò o dovrò essere dipendente e ricattato?”
Rimpiango che Rifkin non abbia avuto ragione nel dire che il petrolio era esaurito. Almeno ci avremmo messo una croce sopra. Mi si dirà che non è solo una guerra di petrolio ma di potere. Bene, ma certamente non per esercitare, governare, espandere lo sviluppo sostenibile (che è scomparso da qualsiasi agenda).
Basta. Ci vuole una Politica Europea, ci vuole un’Europa Continente (come da sempre l’abbiamo studiata) che porti a sistema le sue economie, le sue energie (alimentari ed elettriche) figlie dei suoi territori, la sua difesa.
Dobbiamo fare in modo, e questo è possibile solo con la politica e la diplomazia, che la fase che stiamo vivendo rappresenti il canto del cigno per i molti che oggi preferiscono misurarsi sul conflitto invece che sulla Pace, sulla diplomazia e sul valore della Politica.
È con la guerra, con questa guerra, che molti degli andamenti economici, amministrativi, produttivi e commerciali sono stati messi in mora e ci hanno dimostrato il disvalore delle dipendenze energetiche.
Russia e Ucraina sono produttori di energia fossile e alimentare per gran parte del bacino del Mediterraneo e gli Stati Uniti hanno le riserve stracolme di gas.
Bene, noi siamo stracolmi di sole e di vento, abbiamo creato la cultura occidentale partendo dal quadrinomio aria acqua terra fuoco.
Impariamo da questo triste periodo e ripartiamo costruendo più Europa nello sviluppo sostenibile.