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Il vero volto dell’ Italia 2016 (prima parte)

Il Rapporto Annuale 2016, La situazione del Paese, presentato nei giorni scorsi, è la ventiquattresima edizione del Rapporto che cade in occasione dei 90 anni di vita dell’ISTAT.

L’Istituto, nato nel 1926 diventa spettatore in questi 90 anni della vita di cinque generazioni di italiani: la generazione della ricostruzione, la generazione dei baby boom, la generazione di transizione, la generazione del millennio e la generazione delle reti, i nativi digitali.

Guardando queste cinque generazioni di italiani nascere, crescere e vivere si vede l’Italia che via, via diventa quella di oggi, del 2016: un’Italia con tanti problemi e contraddizioni, ma anche capace di cogliere opportunità e progredire.

Lo stimolo della politica monetaria messo in atto dalla BCE e la domanda interna in parziale ripresa, compensano le difficoltà delle economie emergenti. Anche in Italia nel 2015 il PIL è cresciuto dello 0,8%, mentre dovrebbe tornare allo 0,6% nel 2016.

Anche la spesa delle famiglie è cresciuta dello 0,9%, mentre nel 2015 sono ripresi gli investimenti fissi lordi (+0,8 dal – 3,4% del 2014) dopo 3 anni di riduzione. Anche la produzione industriale nel 2015 ha conosciuto un incremento di un + 1,1%, dopo tre anni negativi.

L’occupazione che aveva ripreso a crescere già dal 2014, continua il suo dato positivo nel 2015 (+ 186 mila unità in più, pari allo 0,8%).

Questa crescita non riguarda il settore degli autonomi, dove gli addetti diminuiscono del – 7.8%, ma solo il lavoro dipendente, dove gli addetti a tempo indeterminato crescono dello 0.7%, mentre crescono del +4,6 quelli a termine.

Mediamente nel 20l5 il tasso di disoccupazione è sceso, passando dal 12,7% del 2014 all’11.9%.

Le persone in cerca di lavoro sono diminuite di 203 mila unità (- 6.3%). A marzo 2016 la disoccupazione scende ancora fino all’11.4%.

Nel 2015 gli occupati (industria in senso stretto) sono aumentati dello 0.2% e le ore lavorate dello 0,1%. La CIG nelle aziende con più di 10 dipendenti passa da 48,4 a 30,3 ore utilizzate per 1.000 ore lavorate.

Riportiamo di seguito due figure, la Figura 1.9 e la Figura 1.10 che ci illustrano l’andamento dell’occupazione in questi ultimi anni.

 

Dalla macroeconomia il Rapporto ci accompagna alle trasformazioni demografiche e sociali del nostro paese.

Gli italiani sono sempre di meno e sempre più vecchi. Il nostro indice di vecchiaia è il secondo al mondo dopo il Giappone ed è 161,1. Questo significa che ci sono 161,1 persone con più di 65 anni ogni 100 giovani sotto i 15 anni!

Il 1° gennaio 2016 la popolazione era di 60,7 milioni, di cui 55,6 milioni con cittadinanza italiana. Le nascite sono al minimo storico, 488 mila nel 2015 mentre i decessi sono arrivati a 653 mila l’anno. Dagli anni 2000 la popolazione cresce ma grazie agli immigrati. I cittadini stranieri sono oggi 5,54 milioni (8,3% del totale della popolazione).

La vita media è stimata in 80,1 anni per gli uomini e 84,7 anni per le donne. Secondo alcuni studiosi oggi si diventerebbe anziani a 73 anni (per l’uomo) e a 75 anni (per le donne).

Abbiamo invece il minore numero di giovani nell’età tra 0 e 24 anni: sono meno del 25% della popolazione. Erano il 50% nel 1926. Questo dato è in parte compensato dalla presenza di ragazze e ragazzi stranieri immigrati o nati in Italia, che raggiungono quasi un milione di unità.

Nel 2015 vivono ancora in famiglia il 70,1% dei ragazzi di 25 – 29 anni e il 54,7% delle ragazze. Nel 1995 i valori erano del 62,6% per i maschi e del 39,8% per le femmine. L’aumento del numero di anni scolastici, la mancanza di lavoro, la situazione economica, il problema dell’abitazione sono tutte cause concorrenti che rendono difficile una scelta di autonomia.

Ci si sposa sempre più tardi – 34,3 anni lui e 31,3 anni lei -; continua a diminuire la fecondità che ha toccato il minimo di 1,35 figli per donna. Tutte le tappe della vita sono spostate: si diventa padri, madri, nonne e nonni molto più avanti negli anni. I nonni mantengono un ruolo attivo con i nipoti: vengono loro affidati fino a 13 anni, in tutto o in parte, nell’86,9% dei casi.

Cambia il matrimonio: il rito esclusivamente civile passa dal 20,3% nel 1996 al 43,1% nel 2014. 

La famiglia tradizionale – coppia sposata con figli – rappresenta solo più il 32,9% delle famiglie italiane. Raddoppiano le famiglie unipersonali di giovani o adulti non vedovi (7,9%). Le libere unioni sono oltre un milione, come pure superano il milione le famiglie ricostituite.

 

A questo punto il Rapporto esamina le dinamiche del mercato del lavoro prima in Europa e poi in Italia. Nella UE c’è stata anche nel 2015 una lenta ripresa dell’occupazione, 2,4 milioni (+1,1%) con il tasso di occupazione che sale al 65,6% (+0,8%). Non si recuperano ancora i posti di lavoro persi dal 2008 ma soprattutto si marca una differenza tra chi ha recuperato il tasso di occupazione del 2008 e chi no.

La Figura 3.1 ci dà graficamente questa differenziazione:

 

 

In 13 paesi dell’UE il tasso di occupazione (15- 64 anni) ha raggiunto il valore del 2008 e addirittura il livello dell’indicatore nel 2015 è sopra la media europea.

Il nostro paese si è fermato al 56,3 % a – 2,3 punti percentuali rispetto al 2008.

Gli occupati da noi sono 22,5 milioni, con un aumento di 186 mila (+0,8%) nell’anno. Rimane grave nel nostro paese il tasso di occupazione delle donne che è fermo al 47,2% (13 punti in meno della media UE). Nel 2015 scende finalmente il numero dei disoccupati (11,9%) che rimangono però attorno ai 3 milioni. 

Se si sommano disoccupati e le forze di lavoro potenziali (inattivi disponibili a lavorare) sono 6,5 milioni quelli che oggi vorrebbero lavorare.

Oggi nella Ue vengono assunti principalmente i lavoratori nella fascia d’età tra i 50 e i 64 anni. Si attenua anche da noi il tasso di disoccupazione giovanile (al 50,3% nel 2008 e 39,2% oggi).

La Tavola 3.2 ci rappresenta gli occupati per settori di attività economica e professione. Anni 2008, 2014, 2015.

 

 

In questi otto terribili anni l’industria ha perso più di 900 mila posti di lavoro. Anche il settore del Commercio ha perso circa 258 mila lavoratori, mentre il 90% degli occupati nel 2015 si è concentrato nei servizi.

(segue…)

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