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Il tatcherismo di Cameron e il legittimismo della Consulta

Prendi i soldi e scappa. Il titolo di un vecchio film di Woody Allen è stato recuperato dai pochi articoli che hanno informato dell’entrata in vigore in Gran Bretagna della riforma previdenziale del Governo Cameron.

Se non si è male inteso, ha “fatto notizia” la facoltà  concessa ai lavoratori che abbiano raggiunto i 55 anni di età o l’età pensionabile di uscire dal sistema pubblico di previdenza e assistenza sociale a fronte della restituzione della contribuzione obbligatoria accreditata e con uno sconto fiscale sulla somma percepita.

Ovviamente occorrerà indagare anche le altre norme della “Riforma” per poterne dare un giudizio meditato.

Intanto si può sicuramente affermare che Cameron ha deciso di andare oltre Margareth Tatcher e, come hanno detto i primi commentatori, di rottamare Bismark che introdusse la Previdenza sociale nella legislazione degli stati europei avanzati, con buona pace dei liberisti puri che vedevano in questo intervento sulle scelte di mercato una sorta di paternalismo di Stato.

Non ci vuole molto a capire che questa svolta legislativa, in uno stato che non ha una Costituzione formale, equivale alla rottamazione non di Bismark (o di Beveridge) ma della Previdenza sociale. E, per uscir di metafora, di ignorare del tutto il diritto europeo formatosi con i Trattati, le Direttive e le sentenze della Corte di Giustizia, che prima o poi avrà modo di pronunciarsi al riguardo.

 

Una seconda vicenda che viceversa sta avendo un certo rilievo è stata la pubblicazione della sentenza n. 70 del 30 aprile con la quale la Corte Costituzionale (Pres. Criscuolo red. Sciarra in www.cortecostituzionale.it) ha dichiarato “ l’illegittimità costituzionale dell’art.24, comma 25 del d.l.6.12.2011, n. 201, convertito dall’art.1, comma 1 della legge 22.12.2011 n. 214, nella parte in cui prevede che, in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici (secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1 della legge 23.12.1998 n.448) è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100%”.

Il contrasto con i precetti costituzionali dell’adeguamento dei trattamenti pensionistici obbligatori previsti come diritto irrinunciabile del lavoratore e gestiti da strutture pubbliche deve avere una garanzia di proporzionalità rispetto al lavoro svolto, come la retribuzione percepita durante l’attività lavorativa, garanzia che può ben essere intaccata in presenza di esigenze eccezionali, che tuttavia debbono uniformarsi a criteri di ragionevolezza esplicitamente indicati dal legislatore quanto meno in sede di conversione di un decreto legge.

In altre parole non si possono intaccare diritti costituzionalmente garantiti (anche a livello di diritto europeo) giustificandosi con formule di stile, quale “in considerazione della contingente situazione finanziaria” per vanificare  “le aspettative legittimamente nutrite dal  lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività”.

Senza voler azzardare in questa sede approfondite considerazioni giuridiche e di politica del diritto, la Corte Costituzionale rimane ferma sul principio della solidarietà intercategoriale strettamente connesso al principio espresso dall’art. 53 della Costituzione che impone a “Tutti” di “concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. E questo perentorio precetto è rivolto ai contribuenti – cittadini e non – ma anche alle strutture pubbliche deputate a garantirne il rispetto, senza che il legislatore possa colpire, preferibilmente se non esclusivamente, categorie di lavoratori dipendenti o pensionati sottoposti al prelievo “alla fonte”.

L’abbinamento di questi due “eventi” vuol segnalare l’ineluttabilità di un metodo che non può essere solo quello del ricorso ai “tecnici”, intendendo per tali soltanto gli economisti, così come si era rivelato deludente l’”onnipotenza” dei politici. 

Ma non avrebbe senso dividersi fra fautori dei tecnici e quelli dei politici, che invece debbono prendersi la responsabilità politica di sapersi avvalere dei primi, come avviene nelle aziende dove il manager chiede all’economista ma anche al giurista  o  alla statistico se “si può fare e come si può fare” e ne tiene conto, ne deve tener conto nella decisione da proporre al Legislatore. I tecnici del Governo Monti – a cominciare dalla Ministra del Lavoro e della Previdenza sociale – non sono stati all’altezza della situazione e non possono giustificarsi dicendo che tutti i ministri erano d’accordo, perché questo serve solo a trasferire la responsabilità sul Presidente del Consiglio e sull’intero Governo e a svilire ancor più il ruolo di garanzia dei tecnici.

Certo e per concludere lo strappo della legge Cameron – fatte le debite proporzioni – ricorda il provvedimento del Governo Renzi che consente l’erogazione del TFR maturato, scoraggiando il ricorso alla Previdenza complementare introdotta nel nostro sistema previdenziale per assicurare “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

La Previdenza sociale è un “sistema” e proprio gli inglesi nell’immediato dopoguerra lo hanno insegnato operando scelte di grande coraggio, cosicchè ogni manomissione comporta necessariamente una verifica sul piano dei diritti oltre che dei costi.

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