La Cisl e l’Europa: dal Manifesto di Ventotene allo Statuto Confederale.
Il Manifesto di Ventotene, il cui titolo completo è ” Per un’Europa libera e unita. Progetto di un manifesto “, è scritto nell’agosto 1941, dal confino di Ventotene, con il contributo determinante di Altiero Spinelli, mentre Ernesto Rossi scrive la prima parte del terzo capitolo ed Eugenio Colorni offre un contributo rilevante di idee.
La prima versione dattiloscritta del Manifesto circola a Roma e a Milano già nel luglio 1941, grazie ad un testo scritto su cartine da sigarette da Ernesto a Rossi e trasferito sul continente da Ursula Hirschmann, Ada Rossi ( moglie di Ernesto ) e dalle sorelle di Spinelli Fiorella e Gigliola che avevano accesso all’isola.
Dieci anni dopo, nel corso del Primo Congresso della CISL, dopo la fondazione, che si svolge a Napoli dall’11 al 14 novembre 1951 viene approvato lo Statuto della Confederazione che all’articolo due definisce gli scopi programmatici fondamentali per realizzare i quali è nata la CISL. ” Assicurare un migliore impiego delle forze produttrici ed una ripartizione più equa dei frutti della produzione tra i diversi elementi che vi concorrono.”
A questo obiettivo strategico concorre, in forme determinanti, l’azione internazionale
Essa dovrà essere indirizzata a promuovere :
a) l’unificazione dei mercati,
b) l’unificazione politica degli Stati,
c) la liberalizzazione del commercio mondiale. ( articolo due dello Statuto Confederale ).
Questa opzione strategica esprimeva per la CISL la forma più efficace, in quel momento storico, di rappresentanza e di difesa degli interessi, delle attese, delle speranze del lavoro .
Pastore e Romani compresero a fondo l’importanza del Manifesto di Ventotene e la sua carica di innovazione, di lungimiranza e di realismo per uscire dalla maledizione della guerra, ormai giunta ad un potenziale di distruzione planetaria, per ricostruire la democrazia su basi più solide e durature, per realizzare un equilibrio sociale governato dalla solidarietà e dalla giustizia.
Spinelli, Rossi, Colorni innovarono profondamente l’analisi della genesi delle guerre e della via d’uscita definitiva dalla loro maledizione, prendendo atto del fallimento delle varie scuole di pensiero e delle correlative visioni politiche.
Dal pensiero liberale che riconduceva le guerre alla forma politica aristocratica o assolutista ed al modello di economia mercantilista e protezionista e perseguiva l’alternativa di forme di governo rappresentative ( ancorché non a suffragio universale ) e di economie aperte allo sviluppo del commercio internazionale che avrebbero rescisso le radici delle esplosioni belliche.
Al pensiero democratico che chiamava in causa gli ordinamenti politici autoritari come fattore strutturale delle guerre rivendicando, conseguentemente, l’instaurazione della sovranità popolare come garanzia di pace duratura ( i popoli non sarebbero mai scesi in guerra gli uni contro gli altri).
Al pensiero socialista che risolveva nell’antagonismo di classe la ragion d’essere dello Stato come strumento di dominio della borghesia ed incorporava nell’imperialismo l’uso degli Stati nella lotta per la ripartizione del mercato mondiale, indicando nella rivoluzione, nella dittatura proletaria e nella soppressione delle classi le condizioni per l’estinzione, in ultima istanza, dello Stato e per l’accesso al regno della libertà e della pace universale.
Gli autori del Manifesto rilevavano, in sede di diagnosi critica del fallimento delle citate strategie, che le tre scuole di pensiero, ancorché molto diverse e contrastanti, indicavano nei cambiamenti interni le leve delle discontinuità risolutive, lasciando intatta sia la sovranità statale assoluta ( potestas superiorem non recognoscens ), come condizione giuridica delle politiche nazionalistiche, sia l’ideologia della nazione che offriva ad essa i titoli della piena legittimazione . Gli Stati fascisti realizzarono la sintesi compiuta tra dogma della sovranità assoluta degli Stati e principio di nazionalità.
Ne conseguiva che le guerre moderne sono generate, incessantemente, dal dispositivo integrato sovranità degli Stati/nazionalismi al quale si associa una condizione permanente di anarchia internazionale.
L’uscita di sicurezza decisiva, indicata dal Manifesto di Ventotene, era rappresentata dal Federalismo, ovvero dalla dissoluzione della sovranità esclusiva degli Stati ( la potestas ) nella struttura sovranazionale della Federazione a Europea, attraverso una cessione di sovranità, e dalla costruzione di una cultura cosmopolita e solidale sulle macerie dei nazionalismi, tipica di una società di cittadini del mondo.
“La linea di divisione tra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò, ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale ‐ e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passini popolari nel vecchio stampo e risorgere le vecchie assurdità ‐ e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.” ( Manifesto di Ventotene )
Nella visione degli europeisti di Ventotene gli Stati Uniti d’Europa costituiscono, coerentemente, una tappa avanzata nel percorso di costruzione dell’unità e del Governo politico Globale.
” gli Stati Uniti d’Europa (…) non possono poggiare che sulla Costituzione repubblicana di tutti i
Paesi federati. E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici ed americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo.” ( Manifesto di Ventotene ) All’Europa unita in un’unica Federazione internazionale di Stati viene, così, affidato il compito storico grandioso di disinnescare il dispositivo politico e ideologico all’origine dell’inesausta produzione di guerre che ha tragicamente segnato la nostra modernità.
È significativo che lo Statuto Confederale della CISL non ponga limiti all’unificazione economica dei mercati ed al l’unificazione politica degli Stati, incorporando L’Unità Europea nella prospettiva universale dell’Unione economica e politica planetaria dei popoli.
Analoga visione teorica e prospettiva politica opera nella Dichiarazione di Robert Schumann, Ministro degli Esteri francese, del 9 maggio 1950, (preambolo alla costituzione della CECA, la Comunità economica del carbone e dell’acciaio nata il 18 aprile 1951) ispirata da Jean Monnet, dalla quale si fa iniziare il percorso di costruzione dell’unità europea.
“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.
Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche (…) L’Europa non è stata fatta e abbiamo avuto la guerra ;…) L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà si fatto.” ( Dichiarazione )
In riferimento al progetto di CECA Schumann sostiene che ” La solidarietà di produzione, in tal modo realizzata, farà si che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile ma materialmente impossibile” e che l’apertura agli altri Paesi europei che vorranno aderire creerà ” le fondamenta reali della loro unificazione economica.”
Ne consegue che ” La fusione della produzione di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione Europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state vittime.”
Spinelli ed i federalisti di Ventotene, da un lato, Schumann e Monnet, dall’altro, condividono l’analisi dei fattori generativi delle guerre e la costruzione di un’Europa federale come alternativa storica definitiva. Divergono nel metodo e nei tempi. Spinelli ritiene che la priorità assoluta risieda nella costruzione dell’unità politica europea; Schumann e Monnet sono convinti che un percorso realistico debba seguire una linea più graduale, capace di agganciare interessi economici comuni, creare ” solidarietà di fatto “, superare punti di non ritorno sino al naturale approdo all’unità politica federale.
Sarà il metodo Monnet‐Schumann a prevalere difronte alle difficoltà di avviare il percorso per gli Stati Uniti d’Europa ed al rischio di implosione del complessivo progetto europeo che si profilò con la bocciatura, da parte dell’Assemblea nazionale francese, del Progetto Europeo di Difesa Comune nel 1952.
Nella Conferenza di Messina (1955 ) i sei Paesi della CECA ( Francia, Germania Occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo ) formalizzarono questa impostazione.
Il Documento finale formulava, con chiarezza di intenti, gli obiettivi della ” fusione progressiva delle economie nazionali, creazione di un mercato comune (…) sviluppo di istituzioni comuni (…) armonizzazione progressiva delle rispettive politiche sociali (…)” al fine di “aumentare in maniera continua il livello di vita delle popolazioni.”
La CISL , che aveva condiviso le preoccupazioni per l’implosione del progetto europeo, aderì, senza indugio, alle risoluzioni della Conferenza di Messina come risulta dal Documento finale votato dal Comitato Esecutivo Nazionale, riunito a Milano il 28/29 settembre 1955, nel quale viene ribadito ” l’obiettivo fondamentale (…) della costruzione di un’Europa unita come presidio di pace nel mondo e di esistenza democratica e sviluppo dei popoli europei.”
All’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso trova, così, compimento teorico, concretezza programmatica ed inizio di costruzione storica un’ idea di Europa che possiamo ricondurre al primo abbozzo di Confederazione europea di Stati formulato da Immanuel Kant nella riflessione “Per la pace perpetua” (1795 ) ed al Progetto di riorganizzazione della società europea ( 1814 ) di Saint‐Simon e Augustin Thierry che mirava ad una architettura sovranazionale che, benché non avesse la configurazione compiuta di uno Stato Federale, andava ben oltre la Confederazione Kantiana.
La Cisl è parte integrante di questo grandioso processo storico al punto da incorporare l’unità economica e politica dell’Europa nei suoi valori, nei suoi principi identitari e nella sua missione.
L’intervento di Giulio Pastore alla Camera ( 26 luglio 1957 ), in occasione della ratifica dei Trattati di Roma ( 25 marzo 1957 ) istitutivi della Comunità Economica Europea e dell’Euratom, ne rappresenta l’argomentata conferma.
L’intervento di Pastore fu preceduto da una Risoluzione del Comitato Esecutivo della CISL nella quale si affermava che ” considerando l’integrazione economica una tappa fondamentale per la realizzazione dell’unificazione politica, il Comitato Esecutivo ne auspicava la pronta ratifica da parte del Parlamento italiano e dei Parlamenti degli altri Paesi, ritenendoli nel loro complesso atti a realizzare, ove non manchi un’adeguata volontà politica ed amministrativa, un rapido sviluppo del processo di integrazione economica capace di esaltare e di accelerare lo sviluppo economico del Paese.”
Nella visione lungimirante di Giulio Pastore, di Mario Romani, della CISL l’Europa rappresentava un necessario e vitale orizzonte economico, sociale, civile, politico, culturale.
Per molte, buone ragioni che il Discorso di Pastore alla Camera analizza in dettaglio e che, in questa sede, mi limiterò a riassumere.
La CISL nasce con una visione molto lucida dell’arretratezza dell’economia e della società italiana ereditata dal fascismo e con una consapevolezza, non meno rigorosa, della necessità di scommettere su un grande progetto di sviluppo industriale del Paese, condizione necessaria per il passaggio alla modernità delle relazioni sociali.
Il Programma di risparmio contrattuale, della metà degli anni cinquanta (che investiva, attraverso uno specifico Fondo Comune, quote volontarie del salario di produttività in azioni e/o obbligazioni delle imprese, operano come propulsione diretta offerta dal lavoro allo sviluppo) ed il Progetto di gestione congiunta fra le Parti sociali della crescita della produttività aziendale e della distribuzione negoziata degli incrementi, attraverso i Comitati misti di produttività formulato dal Consiglio Generale CISL di Ladispoli, nel febbraio 1953, esprimono, con coerenza innovativa, questa visione.
All’interno dello spazio immenso che separava la scommessa di lungo periodo della CISL dalle condizioni storiche dell’Italia all’inizio degli anni cinquanta del novecento, l’Europa e l’appartenenza ad una Comunità di Paesi ad elevato sviluppo economico, sociale, civile, culturale avrebbero ridotto progressivamente il differenziale, operando da fattore straordinario di accelerazione e di sviluppo degli Investimenti sia pubblici che privati, di modernizzazione dell’agricoltura, di innovazione della politica industriale, di industrializzazione del Mezzogiorno, della riforma dei sistemi di previdenza e di assistenza, della formazione e riqualificazione permanente dei lavoratori.
L’unione economica e, in prospettiva, politica dell’Europa costituiva uno straordinario vettore che,nell’analisi di Pastore, avrebbe chiuso un ciclo storico di arretratezza economica, di miseria sociale, di oppressione politica. Non si trattava di una visione mitologica né di tattica politica strumentale.
Nella polemica che oppose Pastore alla lettura liberista, ed alla conseguente contestazione, dei Trattati di Roma sostenuta dal PCI emergeva nitidamente la scelta della CISL a favore di un’economia mista ( oggi diremmo economia sociale di mercato ) con una duplice, rigorosa linea di demarcazione nei confronti ” di chi vorrebbe costringere la realtà nei vani schemi del liberismo e del dirigismo”.
L’Europa, storicamente reale, non immaginaria, nella quale l’economia mista rappresentava un riferimento consolidato poteva offrire all’Italia l’opportunità irripetibile di impostare su quel modello la propria scommessa di modernità. E quel modello, strutturalmente vocato alla sintesi tra vincoli competitivi e coesione sociale, in quel frangente storico, era il più favorevole per la piena realizzazione degli interessi economici, del benessere sociale, delle conquiste civili, dell’evoluzione culturale del lavoro.
Per queste ragioni Pastore sostenne che il Trattato di Roma “è un nuovo fondamentale punto di partenza nel continuo sviluppo dell’economia mista” che ” cerca di contemperare le insopprimibili esigenze delle libertà economiche e politiche con altrettante insopprimibili esigenze di consapevole e sistematico intervento orientativo ed integrativo della società organizzata, allo scopo di realizzare, per tutti e per ciascuno dei suoi membri, un sempre più elevato grado di benessere economico e civile.”
Emerge, limpidamente, nel pensiero originario della CISL la relazione organica tra economia sociale di mercato e democrazia partecipativa.
La corretta mediazione tra vincoli competitivi ed istanze sociali richiede, infatti, l’integrazione del principio di rappresentanza politica generale con il principio di rappresentanza degli interessi sociali organizzati così da realizzare ” un equilibrio tra poteri pubblici, movimento sindacale e partiti politici per una corretta distribuzione di compiti e di responsabilità in ordine alle esigenze connesse, sempre più manifestamente, del progresso economico e del progresso civile.” ( Mario Romani )
L’attuazione dei Trattati, secondo la richiesta della CISL, si sarebbe realizzata, al meglio, in coerenza con le attese, se anche ai Sindacati liberi e democratici dei sei Paesi membri fosse stato riconosciuto un ruolo non secondario nella costruzione della nuova Europa dell’economia e del lavoro.
Pastore concluse il suo intervento alla Camera offrendo il contributo leale, responsabile, all’occorrenza critico della CISL e l’impegno conseguente affinché ” il primo passo consapevole compiuto sia non meno consapevolmente seguito dagli altri necessari per la completa realizzazione di quella integrazione economica e politica che rappresenta il grande obiettivo dei lavoratori democratici.”
Prende forma, già nei primi anni, quella visione della democrazia rappresentativa che raggiunge il suo compimento nella democrazia partecipativa, attraverso il coinvolgimento delle grandi rappresentanze della società civile, destinata a segnare, come una costante identitaria, la visione dell’economia, della società, della democrazia della CISL e a guidarne la traiettoria strategica sino ai nostri giorni.
L’Europa oggi: l’ambivalenza irrisolta
Il metodo Monnet‐Schumann ha prodotto grandi risultati, dalla creazione dell’Euro all’estensione della Comunità Europea a 28 Paesi. Siamo, tuttavia, molto lontani dall’esito previsto ed auspicato del processo di integrazione economica e monetaria sia da Monnet‐Schumann, sia da Spinelli, sia da Pastore, sia da Romani : l’approdo all’unità politica nella forma degli Stati Uniti d’Europa.
Al contrario, l’Europa negli anni recenti, lungi dall’accelerare verso l’unione politica ha rischiato di precipitare in dinamiche regressive potenzialmente distruttive della complessiva architettura costruita.
L’ambivalenza irrisolta, gravida di rischi devastanti, merita un’attenta riflessione.
I sintomi della paralisi regressiva che ha colpito il processo di costruzione europea sono emersi, nitidamente, nel corso della crisi.
L’Europa, infatti, è stata l’unica economia che oltre alla crisi finanziaria ed alla recessione 2008/2009 ha vissuto due crisi specifiche ed aggiuntive: la crisi dei debiti sovrani 2011/2012 e la connessa crisi bancaria, alle quali ha fatto seguito la recessione 2012/2013.
Dobbiamo chiederci perché l’Europa oltre al “genere prossimo” che l’ha accomunata alle altre grandi economie mondiali nella prima fase della crisi, possieda, in esclusiva, una “differenza specifica” che ha aggravato l’intensità della crisi e prolungato la sua durata nella seconda fase.
E interrogarci se la “differenza specifica” sia riconducibile alla morfologia ed alla struttura che hanno guidato il processo di costruzione dell’architettura europea negli ultimi 65 anni.
Ovvero: se la “differenza specifica” sia figlia di una tara costituzionale originaria.
Non può sfuggire ad una retrospezione storica, per quanto macroscopica, che il percorso di costruzione dell’unità politica europea è stato disseminato di ostacoli che lo hanno reso accidentato, discontinuo ed instabile.
In prima istanza la forma giuridica dei Trattati Costituzionali che tenta una sintesi impossibile tra la dimensione atemporale tipica dei valori, deiprincipi, delle regole, dell’organizzazione e divisione dei poteri, da un lato, e la dimensione contingente delle politiche economiche che vivono della transitorietà delle congiunture, dall’altro, confondendo i tempi lunghi della democrazia con i tempi brevi della politica.
Con l’effetto paradossale che il cambiamento delle politiche economiche, richiesto dai mutamenti delle congiunture, chiama in causa un Testo costituzionale che può essere variato soltanto con il doppio vincolo dell’unanimità dei Capi di Stato e di Governo, da un lato, e dei Paesi che devono ratificarne le modifiche, dall’altro.
A questa prima fattispecie di tara costituzionale si aggiunge la forma atipica di cessione dei poteri dalle sovranità nazionali alla sovranità europea.
I poteri nazionali vengono, infatti, limitati senza creare equivalenti poteri europei legittimati dal voto democratico. Il rapporto tra Stati nazionali ed Unione Europea si regge, conseguentemente, sullo squilibrio tra poteri nazionali legittimati ma sempre più limitati e poteri europei effettivi ma privi di legittimazione democratica.
Il risultato non è l’auspicato Governo politico dell’Europa unita ma il “Governo delle Regole” con un’alea di rigidità tecnocratico‐burocratica che genera la percezione diffusa di distacco ed indifferenza alle condizioni reali di vita del cittadino europeo.
L’architettura asimmetrica nella distribuzione dei poteri tra Stati nazionali ed Europa, già problematica nella gestione della disciplina dei bilanci pubblici, si estremizza durante le fasi di crisi dei debiti sovrani, laddove la cosidetta Troika ( Commissione Europea, BCE, FMI ) subordina i Programmi di aiuti all’espropriazione di ogni autonomia dei Governo nazionali in materia di politica economica.
La drammatica vicenda della crisi greca, sulla quale tornerò, ne è stata l’emblema.
Sulla doppia tara costituzionale si è innesta la teoria, grottesca se non fosse diventata l’architrave della politica economica europea, che riduce l’economia al debito pubblico e la crescita al suo abbattimento. Variante tra le più rozze del liberismo offertista, formalmente designata ” austerità espansiva “, ossimoro aporetico storicamente privo di supporti empirici, alla quale è associato il dogma secondo il quale la gestione dei debiti esclude ogni forma di solidarietà europea di bilancio.
L’interdizione della solidarietà europea di bilancio rappresenta la terza tara, costitutiva della costruzione europea.
Jean Paul Fitoussy, in un’opera importante ( “Il teorema del lampione” , Einaudi 2014), ha dimostrato che tra le crisi specifiche aggiuntive dell’Europa ( crisi dei debiti sovrani e crisi bancarie ) e le tare costituzionali, in breve richiamate, opera una relazione strutturale, ovvero che l’architettura costitutiva dell’Europa rappresenta la tara genetica dalla quale si è sviluppata la “differenza specifica ” delle crisi aggiuntive.
Non indugerò, pertanto, sulla ricostruzione storica dettagliata di questa relazione genetica, brillantemente realizzata nella ricerca citata.
Proverò, invece, a capovolgere la chiave di lettura in termini controfattuali chiedendomi : che cosa sarebbe accaduto se l’Europa avesse iniziato a correggere le tare costitutive a partire dalla solidarietà di bilancio?
La domanda (anche se uno storico rigoroso obietterebbe che la storia non si fa né si scrive con i se ) non appartiene al novero delle cattive astrazioni. Al contrario, per un soggetto politico che intende contribuire non a scrivere ma a fare la storia è, quantomai, legittima.
Esiste già, infatti, una forma embrionale di solidarietà finanziaria europea rappresentata dagli Stability Bond ovvero dai titoli emessi dall’European Financial Stability Facility ( il cosidetto Fondo Salvastati ), operativo dall’agosto 2010, finalizzati a prestiti condizionati ai Paesi europei in crisi finanziaria. Il Fondo è partecipato dai Paesi dell’Unione secondo le stesse quote di partecipazione degli stessi al capitale della BCE e dal 1 luglio 2013 è stato sostituito dall’European Stability Mechanism (ESM) con una dotazione di garanzie sottoscritte di capitale di 700 Mld €.
Trascurando gli Union Bond proposti, nel 1993, da Jacques Delors nel Libro Bianco ” Crescita, competitività, occupazione ” finalizzati al finanziamento di grandi infrastrutture e i Project Bond sostenuti da Manuel Barroso nel 2010 con i medesimi obiettivi ( e diverse modalità ), mette conto ricordare che negli anni della crisi più acuta dei debiti sovrani europei il dibattito sugli Eurobond è stato promosso, con autorevolezza e profondità da Jean Claude Junker ( allora Presidente dell’Eurogruppo ) e Giulio Tremonti ( allora Ministro dell’Economia italiano) nel dicembre 2010 e da Romano Prodi ed Alberto Quadrio Curzio nell’agosto 2011.
La CISL , non da oggi, ha sostenuto la completezza e l’efficacia del Progetto di EuroUnion Bond elaborato da Prodi e Quadrio Curzio per le garanzie ( riserve auree delle Banche Centrali ed asset industriali ) offerte al Fondo Finanziario Europeo titolare delle emissioni dei Bond; per la leva moderata e realistica ( 3 ); per il valore delle emissioni ( 3.000 Mld € ); per l’abbattimento delle esposizioni dei debiti sovrani verso i mercati finanziari; per la riduzione rilevante dell’onere di rifinanziamento dei debiti sovrani; per la destinazione di una quota elevata (700 Mld €) delle emissioni ad investimenti in imprese continentali dell’energia, dei trasporti, delle telecomunicazioni delle quali il Fondo Finanziario Europeo sarebbe diventato azionista.
Gli EuroUnion Bond rappresentano, certamente, una forma realistica ed efficace di solidarietà di bilancio.
Ecco, allora, la domanda controfattuale ben formulata : che direzione avrebbe seguito la storia della costruzione europea se la disciplina di bilancio fosse stata gestita con gli EuroUnion Bond? Certamente non sarebbe esplosa la crisi dei debiti sovrani del 2011/2012 con le ricadute sulla crisi bancaria ed i, conseguenti, effetti recessivi congiunti al drammatico fardello di sofferenza sociale, poiché l’acquisto di una quota rilevante di debiti sovrani da parte del Fondo Finanziario Europeo ed il drastico abbattimento del rapporto debito/PIL verso i mercati finanziari (per l’Italia intorno al 90%, per Germania e Francia sotto il 60%) l’avrebbe resa impossibile.
Certamente, nel 2012, non sarebbe nato Il Fiscal Compact, l’alternativa regressiva agli EuroUnion Bond, emblema tecnocratico‐burocratico del “Governo delle Regole” e dell’azzimato eufemismo dei “compiti a casa”.
Certamente la vicenda della crisi greca non sarebbe mai giunta alle estreme derive dell’emergenza umanitaria e del rischio reale di uscita dall’Unione e dall’Euro.
Ovvero: la storia europea avrebbe seguito un percorso radicalmente diverso.
Una breve riflessione aggiuntiva sulla drammatica vicenda della Grecia lo conferma.
Il FMI ha, pubblicamente, riconosciuto di aver sbagliato le previsioni sull’economia greca: aveva previsto che la cura draconiana imposta dalla Troika avrebbe determinato una caduta del PIL di tre punti percentuali; il PIL, al contrario, dal 2010 è crollato del 30%. Aveva previsto un tasso di disoccupazione del 13%, mentre a fine 2014 supera il 25% (disoccupazione giovanile al 59%). Aveva previsto la punta massima del rapporto debito/PIL al 154% nel 2013 per iniziare poi la discesa ma, a fine 2014, il rapporto ha raggiunto il 175% nonostante la ristrutturazione del debito nel 2012.
Dei 240 Mld € di prestiti ricevuti dalla Grecia solo 20 hanno sostenuto l’economia, le altre risorse sono state impiegate per pagare i rimborsi e gli interessi ai creditori e a ricapitalizzare le banche. Il FMI ha ammesso l’errore di aver ristrutturato il debito greco nel 2012,anziché nel 2010, e di aver consentito ” ai creditori privati, in buona parte società finanziarie del vecchio continente (banche tedesche e francesi ndr), di liberarsi dei crediti e girarli a istituzioni pubbliche” aggiungendo che il salvataggio ” è servito a tenere Atene nella moneta unica, a evitare il contagio e a congelare la situazione per consentire al resto dell’Europa di mettersi in salvo.”
Il FMI sorvola sull’emergenza umanitaria nella quale le politiche di “Austerità espansiva” hanno precipitato la Grecia, dalla povertà prossima al 40% della popolazione, alla distruzione della sanità pubblica ed al ritorno della tubercolosi, alla crescita elevatissima della sotto nutrizione infantile.
Ciò che, tuttavia, colpisce sino allo sgomento è l’assenza, dopo l’auto critica, del benché minimo cambiamento nell’impostazione politica, la messa la bando di ogni traccia di resipiscenza e di ravvedimento operoso e la riproposizione integrale, da parte della Troika e dell’Europa, del programma integrale di risanamento nelle trattative con la Grecia dopo la vittoria di Syriza nelle elezioni politiche del 25 gennaio scorso.
Con una pervicacia inquietante vengono rimossi gli effetti politici, ad altissimo rischio, ampiamente visibili negli esiti delle elezioni europee del maggio 2014 laddove in 23 Paesi dell’Unione su 28 si sono presentati 62 partiti euroscettici (favorevoli all’uscita dall’Unione e dall’Euro) ottenendo i media il 14,8% dei voti contro il 10,8% delle precedenti elezioni. I loro seggi sono cresciuti da 72 a 135. In Gran Bretagna, Francia e Danimarca sono stati i più votati.
In Inghilterra l’UKIP di Nigel Farage ( le elezioni politiche si terranno a maggio 2016 ); in Francia il
Front National di Marine Le Pen ( elezioni politiche nel 2017 ) ; in Olanda il Partito della libertà di Geert Wilders, primo nei sondaggi; in Danimarca, Finlandia, Svezia i partiti ed i movimenti in maggior crescita si ispirano al Partito della libertà olandese; in Germania si stanno rafforzando Altenative für Deutschland e Pegida.
Il denominatore comune a queste piattaforme politiche è rappresentato dalla forte connotazione identitaria nazionalista e dal recupero dell’integrale sovranità degli Stati nazionali, con varianti diffuse di culture xenofobe, razziste, anti Islam, fasciste e naziste.
Syriza di Alexis Tsipras, che ha vinto le elezioni politiche in Grecia dello scorso 25 gennaio con il 36,5% dei voti, e Podemos di Pablo Iglesias in Spagna, primo nei sondaggi con il 28,5% a gennaio ( le elezioni politiche si terranno a ottobre 2015 ), non sono partiti euroscettici ma euro critici, ovvero ostili alle politiche di austerità ed alle invasioni dell’autonomia politica nazionale da parte della Troika, ma favorevoli ad un’Europa democratica con un Parlamento ed un Governo nella pienezza dei loro poteri in quanto legittimati dal voto popolare.
Qualora la linea euro critica non trovasse un punto di convergenza e di equilibrio con la politica europea, anche Syriza e Podemos potrebbero assumere linee politiche euroscettiche e potenziare lo schieramento anti Euro ed anti Unione da posizioni di Governo l’una e, molto probabilmente, anche l’altro.
L’ Accordo del 23 febbraio u.s. configura una soluzione precaria della crisi greca che non mette
l’Europa al riparo dalle rotture politiche in Spagna ed in Francia e dal rischio di un’implosione dell’Europa per via politica.
Ognuno può agevolmente comprendere, dalle brevi osservazioni formulate, che la questione greca con un debito di 314 Mld € su un debito complessivo dell’Eurozona pari a 9.200 MLD €, gestita con gli EuroUnion Bond, non sarebbe mai nata.
Mette conto sottolineare che per solidarietà di bilancio non intendiamo un dissimulato giubileo di remissione dei debiti ma, al contrario, una politica rigorosa di gestione solidale dei debiti di lungo periodo, in grado di garantirne l’abbattimento in condizioni di sostenibilità sociale e politica del disegno europeo.
È stata l’assenza di ogni forma di solidarietà di bilancio a consegnare la gestione del debito sovrano greco ai mercati finanziari globali e deregolati. I quali hanno ringraziato l’irresponsabilità della politica europea e scatenato il contagio sui debiti pubblici italiano e spagnolo, la seconda recessione, l’esplosione della sofferenza sociale, portando l’euro e l’Unione Europea al limite dell’implosione dalla quale è stata salvata dalla determinazione assoluta della BCE, dal ” Whatever it takes ” di Mario Draghi e dalla politica monetaria espansiva convenzionale e non convenzionale messa in campo dalla BCE.
Anche nel Quantitative Easing deliberato dal Board della BCE il 22 gennaio u.s., strumento di politica monetaria decisivo per ridurre i costi dei debiti sovrani, contrastare le tendenze deflative, impedire l’eventuale contagio greco, liberare risorse pubbliche e private per la ripresa, opera l’opposizione alla solidarietà di bilancio: il rischio di default di un debito sovrano viene infatti ripartito per l’80% sulla Banca centrale del Paese interessato e solo per il restante 20% in capo alla BCE.
Ai nostri occhi la legge di movimento sottostante allo scorcio di storia, in breve delineato, è
chiara: la direzione della storia dell’Unione Europea sta disegnando una deriva di eterogenesi dei fini.
Il Governo non solidale delle Regole e l’interferenza, sino alla perdita di autonomia, nelle politiche economiche dei Paesi sottoposti agli aiuti finanziari stanno determinando una profonda reazione nazionalistica unita alla volontà di una completa riconquista della sovranità nazionale degli Stati.
È questo il senso politico dei movimenti euro critici, euroscettici, anti euro, anti europa con tutte le varianti razziste, xenofobe, fasciste, naziste, anti Islam ad essi associate.
Si tratta di un rischio elevato di regressione storica al binomio sovranità esclusiva degli Stati/ nazionalismo dal quale, nel progetto di Spinelli, Monnet, Schumann, Pastore, Romani, L’Unità economica e politica dell’Europa avrebbe dovuto liberare il mondo, mettendolo al riparo dal dispositivo generativo delle guerre che in quel binomio attingeva il proprio codice genetico.
Per queste semplici ragioni la CISL è convinta che l’Europa stia attraversando un guado storico cruciale dal quale bisogna uscire con un colpo d’ala adeguato alla gravità del momento ovvero con una fase costituente a partire dalla riscrittura della costituzione economica.
Le coordinate sulle quali, a parer nostro, dovrebbe lavorare sono finalizzate al superamento delle tare genetiche, in estrema sintesi, analizzate:
– Superamento del Fiscal Compact;
‐ Adozione del modello di EuroUnion Bond per i dediti sovrani eccedenti il 60% del PIL;
‐ Creazione di un Ministero delle politiche macroeconomiche europeo.
Alla rifondazione della politica economica europea e della sua architettura istituzionale dovrebbe essere associato un Piano europeo straordinario di investimenti di 1000 Mld € in un triennio, in infrastrutture logiche e fisiche, con la possibilità di stornare dal calcolo del deficit i contributi nazionali.
Esso dovrebbe operare in forme coordinate e cumulative con una decisa azione di rilancio della domanda aggregata dei singoli Paesi alla quale la CISL sta contribuendo con un disegno di legge delega popolare di riforma fiscale, già depositato in Cassazione, sul quale raccoglierà un milione di firme e dal quale deriverebbe un beneficio netto pari a 1.000 euro annui per i redditi sino a 40.000€ a sostegno dei consumi.
La svolta nell’impostazione dell’Europa economica, attraverso il recupero del filo di Arianna originario dell’ispirazione solidale e cooperativa, e l’avanzamento nella creazione di Istituzioni economiche comuni, rappresenterebbe, nella nostra visione, la condizione necessaria per iniziare a superare le asimmetrie nella Governance europea costruendo, in tempi brevi prima delle elezioni politiche in Francia del 2017, un punto di non ritorno visibile nel percorso di costruzione dell’unità politica della Federazione Europea.
La fase di ambivalenza irrisolta che caratterizza il momento attuale della costruzione europea condiziona in profondità l’evoluzione dello scenario globale.
Gli attacchi terroristi di gennaio a Parigi; di febbraio a Copenaghen; la dissoluzione politica della Libia; la devastazione siriana; la costituzione di un sedicente Califfato, una centrale terroristica, su un territorio che si estende in Iraq ed in Siria sino ai confini della Turchia; il controllo di parte della Nigeria ad opera di un’organizzazione terroristica come Boko Aran, lo stesso conflitto russo‐ ucraino sono i principali indici di un disordine mondiale diffuso in grado, se non governato, di precipitare il mondo in una condizione di caos sistemico.
Si sta verificando, in negativo, la previsione dei Padri fondatori dell’Europa: senza quell’Europa unita in un’unica Federazione di Stati che avrebbe rappresentato una potente accelerazione nella prospettiva di una pacificazione mondiale e di un Governo planetario dei popoli, non c’è garanzia né di pace duratura, né di cooperazione, né di unità politica fra i popoli.
Continuando il nostro esercizio controfattuale: che direzione di marcia avrebbero seguito le “primavere rivoluzionarie arabe del 2010” se fosse esistita una Federazione Europea, la prima economia mondiale, con il peso di una propria autonoma politica estera e di una propria capacità, all’occorrenza, di intervento militare, capace di intervenire, responsabilmente, ad orientarne la positiva evoluzione?
Resto convinta che l’implosione di quelle primavere ed il rafforzamento dell’ISIS e del terrorismo islamista avrebbero trovato efficaci fattori di contrasto.
Care Amiche, Cari Amici, Gentili Ospiti
Quisque suum! Ognuno faccia il suo dovere, ognuno presidi il suo segmento di storia!
Mentre la CISL incalza la società civile organizzata, le rappresentanze politiche, il Governo per riprendere, con determinazione, l’ispirazione originaria del Progetto europeo, non dimentica l’impegno quotidiano che organizza attraverso l’ANOLF ( Associazione Nazionale Oltre le Frontiere ) l’Associazione di migranti più rappresentativa sul territorio nazionale.
Voglio, proprio in questa sede, ringraziare idealmente tutti i militanti, i sostenitori, i volontari qui rappresentati dal Presidente Mohamed Saady per il grande lavoro svolto in questi anni: accoglienza, aiuto, formazione, ricerca di casa e di lavoro, sostegno costante all’integrazione sociale dei migranti nel nostro Paese.
Li ringrazio, in particolare, per l’impegno di ascolto e di mediazione culturale tra religioni, valori, culture, tradizioni, consuetudini diverse.
In Italia vivono circa 5 milioni di stranieri, dei quali 2,702 milioni sono di religione cristiana; 1,651 milioni sono musulmani; 297.000 seguono tradizioni religiose orientali; 51.000 aderiscono a religioni tradizionali; 250.000 sono ebrei; il resto sono atei o agnostici.
L’ANOLF è in prima linea nella costruzione di quella dimensione che chiamiamo pluralismo positivo, intrinsecamente dialogico, impegnato nella promozione del confronto tra i diversi soggetti culturali e religiosi presenti nella società civile per favorire la loro partecipazione al discorso pubblico ed al dialogo tra soggetti intermedi ed istituzioni.
Risultati importanti sono stati realizzati all’interno della Consulta dell’Islam italiano ( istituita con DM il 10 settembre 2005 ), della quale è componente Mohamed Saady, con la redazione di una Carta dei valori e di una Dichiarazione di intenti che perseguono l’obiettivo di dar vita ad una Federazione islamica che si riconosca, pienamente, nella Costituzione italiana e che unisca i musulmani che vivono in Italia.
Continueremo il nostro impegno, convinti che, oggi più che mai, presidiare il nostro segmento di solidale convivenza multietnica, multiculturale, multireligiosa rivesta un grande significato e rilievo etico, sociale e politico.
Crediamo, in conclusione, che l’Unità economica e politica dell’Europa oggi si collochi all’incrocio di una doppia responsabilità storica: la responsabilità verso il Progetto dei nostri comuni Padri fondatori, troppo lungimirante e troppo grande per essere annichilito nelle miserie regressive dei nazionalismi e la responsabilità verso il mondo che non potrà essere pacificato né governato senza un’Europa politicamente unita.
La CISL è parte integrante, dall’origine, per il suo modo originale ed innovativo di intendere il ruolo della rappresentanza sociale, di questa visione grandiosa e dell’impegno politico che essa ha ispirato.
Per queste ragioni, per noi, oggi, gli Stati Uniti d’europa in una comunità cosmopolita e solidale di culture, fedi, popoli sono all’ordine del giorno
(*) Introduzione al seminario PER GLI STATI UNITI D’EUROPA: UN MODELLO DI CONVIVENZA SOLIDALE TRA CULTURE, FEDI, POPOLI, Firenze 27 febbraio 2015 – ANNA MARIA FURLAN E’ SEGRETARIO GENERALE DELLA CISL