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Per intanto un requiem per quota 100

Secondo quanto comunicato dall’INPS al 31 agosto scorso i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, e autonomi iscritti alla gestione separata che hanno avuto accesso alla pensione “quota 100” sono stati 341.128. Sulla base degli andamenti delle domande dei mesi precedenti si stima che alla fine dell’anno, data di scadenza del regime provvisorio di quota 100 (chi ha maturato i requisiti può comunque far domanda anche successivamente), i lavoratori usciti dal lavoro con questa modalità non dovrebbero superare le 400.000 unità.

Siamo quindi ben lontani dalla previsione di 973.000 pensionati con quota 100 nel triennio contenuta nella Relazione tecnica del DL 4/2019 con il quale fu varata la misura e con il milione e passa di pensionandi in attesa indicato da Salvini.

 

Pensioni quota 100

 

Dip. Privati

Dip. Pubblici

Autonomi

Totale

RGS DL 4/19  (1)

343,000

328,000

302,000

973,000

INPS 31/08/21 (2)

166,282

107,237

67,609

341,128

% (2)/(1)

           48,48 

           32,69 

           22,39 

           35,06 

 

 La tabella riporta nella prima riga le previsioni del numero dei pensionamenti nel triennio 2019/21 contenuta nella RT del DL 4/2019 e nella seconda riga i dati del comunicato INPS con i dati al 31 agosto 2021. Bassissima l’adesione tra gli autonomi della gestione separata e, rispetto alle previsioni, più bassa nel pubblico impiego rispetto al privato. Stante comunque il rapporto tra gli occupati dipendenti nel settore pubblico e privato e il numero dei pensionamenti totali nei due comparti resta che quota 100 ha avuto un’incidenza percentuale maggiore nel settore pubblico.

Quale la/le cause di questa limitata adesione a quota 100? Non è semplice individuarle specialmente in un periodo caratterizzato dalla pandemia. Comunque credo che un ruolo importante abbia giocato la penalizzazione insita nel meccanismo proprio di quota 100. L’anticipo del pensionamento rispetto all’età di vecchiaia (67 anni) e (sia pure inferiore) rispetto all’uscita anticipata comportava una penalizzazione della pensione derivante dai minori contributi e da un più basso coefficiente di trasformazione. I giornali e i siti internet erano pieni di tabelle e di fronte alla prospettiva di perdere vita natural durante 100/200 euro mensili di pensione o più, parecchi hanno probabilmente soprasseduto. 

Nell’indagine condotta dall’Inps sui pensionati con quota 100 nel biennio 2019/20 “emerge che la misura è stata utilizzata prevalentemente da uomini con redditi medio-alti” per i quali evidentemente la perdita pensionistica non costituiva un problema, ma per molti altri evidentemente si.

La ricerca INPS mette in rilievo come quota 100 sia stata utilizzata soprattutto da uomini. Il dato INPS del 31 agosto scorso indica come il 69,3% dei beneficiari della misura siano stati uomini e il 30,3% donne. Era del resto un dato atteso date il requisito contributivo richiesto, 38 anni di contributi, requisito particolarmente elevato e difficile da raggiungere per le donne.

In definitiva, i dati emersi a consuntivo quasi finale confermano quello che era possibile già dire al momento in cui la norma fu varata.

Quota 100 è una misura che ha favorito soprattutto gli uomini lavoratori dipendenti con reddito medio-alto e con carriere lavorative e contributive continue e regolari, come del resto hanno sempre fatto le pensioni di anzianità in primis quella con 35 anni di contribuzione.

L’INPS comunica che gli impegni di spesa 2019/21 sulle pensioni quota 100 liquidate fino al 31 agosto sono pari a 11,6 mld di euro. Il DL 4/2019 aveva stanziato per la sola quota 100 nel triennio indicato quasi 19 mld. Considerando anche le pensioni che saranno erogate fino alla fine dell’anno si avrà comunque un minore esborso di circa 6/7 mld. Va detto, tuttavia, che rispetto a quanto stanziato nel decreto, le leggi di bilancio successive hanno ridotto le doti di partenza spostando parte dei fondi su provvedimenti Covid.

 

Quali le prospettive. 

Nonostante le affermazioni di Salvini credo che la proroga di quota 100 non sia minimamente all’ordine del giorno. 

Il sindacato ha presentato una piattaforma, ribadita da un recente volantone CGIL-CIS-UIL, che prevede al primo punto la possibilità di andare in pensione a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età.

RGS, nel suo ultimo Rapporto sulla spesa previdenziale e sanitaria, aggiornato a luglio 2021, pubblica un piccolo Box nel quale evidenzia il forte peso negativo che avrebbe il mantenimento di quota 100 sul rapporto spesa pensionistica/Pil.

Nella Relazione di presentazione del XX Rapporto INPS dello scorso luglio, Tridico ha affermato che la proposta di consentire il pensionamento anticipato con 41 anni di contribuzione a prescindere

dall’età, costa 4,3 miliardi di euro nel 2022 e arriva a 9,2 miliardi a fine decennio, pari allo 0,4% del prodotto interno lordo. Difficilmente RGS stimerebbe un costo inferiore.

Da parte del governo per ora non ci sono risposte o indicazioni di merito rispetto a quali soluzioni prendere. Ci sono i primi risultati della Commissione sui lavori gravosi, che ha riformulato l’elenco delle categorie di mansioni gravose in base a criteri indicati come oggettivi (elenco che suscita tuttavia qualche interrogativo). Ma bisogna ora decidere cosa fare di questo elenco, a quali prestazioni fare accedere le categorie indicate, a partire dall’APE e valutarne i costi.

La seconda Commissione su cui i sindacati puntavano per avere “spazio di bilancio” nella trattativa, quella “Di studio sulla spesa previdenziale e assistenziale” non ha finora dato alcun risultato e sembra scomparsa.

Difficile, quindi, capire come il governo voglia affrontare il nodo pensioni. Una prima indicazione verrà forse dalla NADEF. 

Quello che appare chiaro è che Franco, da buon ministro del Tesoro ed ex Ragioniere generale dello stato, non affronta i vari temi che gli sono sottoposti, pensioni, fisco, ammortizzatori e quant’altro, separatamente, come fanno i suoi interlocutori compreso il ministro del Lavoro che pure per alcuni di essi dovrebbe avere un quadro d’insieme, ma li affronta tenendo conto delle compatibilità complessive del bilancio dello stato. 

Fissate le possibilità di spesa, e la Nadef dovrebbe dare una prima indicazione di massima, bisognerà operare delle scelte in base a priorità stabilite. L’importante sarà partecipare a determinare queste priorità e per farlo bisognerà averle.

Tornando alle pensioni le proposte in campo per sostituire quota 100 sono tante a partire da quelle del sindacato e da quelle avanzate dal presidente dell’Inps Tridico. Credo, tuttavia, sia abbastanza inutile soffermarsi sulle varie ipotesi con cui sostituire quota 100 e creare una forma di flessibilità in uscita dal mondo del lavoro, senza prima aver affrontato due nodi: quello delle risorse a disposizione e quello dell’eventuale penalizzazione della quota retributiva. Sono due elementi strettamente collegati tra di loro e senza i quali si ragiona sul nulla facendo di ogni proposta un esercizio puramente teorico.

 

La pensione di garanzia

La piattaforma sindacale non si limita a rivendicare una nuova forma di flessibilità in uscita in sostituzione di quota 100 ma, tra le altre cose, chiede l’introduzione di una pensione di garanzia per i più giovani e per chi svolge lavori poveri e discontinui.

Il punto è che il dibattito sul “sistema pensioni” verte solo quasi esclusivamente sulla flessibilità in uscita principalmente dei lavoratori con tanti anni di contribuzione e di lavoro. E’ ovviamente il corpus sindacale e non si può certo fare colpa al sindacato di tutelare chi rappresenta, ma così non si da la necessaria importanza a quanto successo nel mercato del lavoro e ai suoi riflessi in campo pensionistico. Il modello pensionistico costruito con la legge 335, che ancora modella il nostro sistema previdenziale, prende a riferimento il lavoratore dipendente con carriera regolare e continua. A questo assicura una buona pensione pubblica e da la possibilità di affiancarla con una pensione integrativa finanziata prevalentemente con il trasferimento del TFR e favorita fiscalmente con un sistema che premia le retribuzioni più alte.

Dal varo della 335 nel 1995 ad oggi il mercato del lavoro è profondamente mutato, ma il sistema pensionistico non si è minimamente adeguato a questo mutamento. Un lavoratore precario che ha difficoltà ad avere una decente pensione pubblica non è certamente in grado di accompagnarla con una pensione integrativa e nel sistema contributivo manca anche l’integrazione al minimo che nel sistema retributivo comunque sosteneva i lavoratori con carriere precarie. 

Certo si può dire che la soluzione sta nell’affrontare i problemi del mercato del lavoro, nell’eliminare la precarietà e i salari bassi e di questo vi è certamente bisogno. Ma vi sono stati anni di precarietà che impediscono a molte persone di avere profili pensionistici adeguati per aspirare ad una pensione decente. Nel programma dell’Ulivo per le elezioni del 2006 vi era l’ipotesi di una pensione di base (la studiammo con Olini, Treu e Santagata), ma poi l’idea fu accantonata e le risorse disponibili furono utilizzate per una diminuzione dell’Irap. L’idea fu poi ripresa nel 2010 da Treu e Cazzola con due diverse proposte di legge, simili tra loro, ma anche queste proposte non ebbero seguito.

Ora la pensione di garanzia è nella piattaforma sindacale ed è augurabile che il sindacato sia pronta a sostenerla con lo stesso impegno con cui sostiene la flessibilità in uscita dei lavoratori garantiti.

 

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