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Per la digitalizzazione del Paese serve una discontinuità*

La Task Force guidata dal Dottor Vittorio Colao ha rilasciato al Presidente del Consiglio il rapporto finale con i risultati del lavoro svolto nelle scorse settimane. È un documento articolato che copre gran parte dei temi di interesse e suggerisce oltre 100 azioni per il rilancio del Paese. Alcuni temi sono stati deliberatamente non considerati in quanto sono o saranno discussi in altri lavori. 

Per quanto riguarda i temi legati alla digitalizzazione e innovazione del Paese, il documento contiene diversI spunti ed indicazioni. Queste note vogliono brevemente proporre alcune riflessioni su questa parte del rapporto. 

1. Cosa dice, cosa non dice 

Il rapporto Colao era particolarmente atteso ed è quindi naturale porsi innanzi tutto due domande: cosa dice e cosa invece non dice. Indubbiamente, il rapporto tocca molti temi di interesse e riprende discussioni e proposte già emerse più volte nel corso di questi anni. È quindi innanzi tutto un’utile sintesi di parti significative del dibattito che si è sviluppato sui temi della digitalizzazione e innovazione del Paese. 

Tuttavia, al di là di specifici temi che potrebbero essere approfonditi o esplicitati, il rapporto presenta alcune lacune: 

1. Il limite maggiore del rapporto è la sua frammentarietà. Molte sono le proposte che vengono fatte, ma appaiono più un collage di iniziative, piuttosto che un piano organico con un suo razionale e una visione del Paese. Non basta dire che il Paese deve essere “più resiliente, più competitivo, più sostenibile”. Quali sono le linee secondo le quali la società deve svilupparsi? Come realizzare un reale cambiamento e miglioramento del Paese? Quali sono gli obiettivi per la collettività? 

2.Dei problemi della digitalizzazione e dell’innovazione si discute da tempo e molte analisi sono state già proposte nel passato, spesso con indicazioni convergenti. È quindi utile e necessario avere una lettura dei problemi che hanno sin qui impedito al Paese di scaricare a terra discussioni, promesse e annunci che negli anni si sono succeduti. Se molte proposte non sono nuove e tanti nel passato le hanno già presentate, perché non è stato possibile realizzarle? Cosa ci ha frenato o bloccato? 

3.Se i temi non sono nuovi, quali sono i cambi di passo, le discontinuità che ha senso introdurre perché “questa volta sia diverso”, perché nei prossimi mesi e anni le cose si possano realmente fare? 

Nel seguito di queste note vorrei concretizzare queste osservazioni attraverso commenti e considerazioni a specifici passaggi del rapporto che toccano i temi legati a digitalizzazione e innovazione che risultano di maggior interesse per lo sviluppo del dibattito sul futuro del nostro Paese. 

2. Alcune chiavi di lettura 

Per valutare le proposte contenute nel rapporto, è innanzi tutto necessario definire un quadro complessivo di obiettivi al fine di verificare se e quanto le misure proposte siano funzionali e strumentali al raggiungimento di tali obiettivi. Alcuni di questi obiettivi sono ragionevolmente indipendenti dalle diverse posizioni politiche in campo. Altri potranno ovviamente dipendere dalle visioni che ciascuna parte politica legittimamente sostiene. Allo stesso tempo, anche le modalità secondo le quali realizzare azioni “bi-partisan” potrebbero dipendere dall’approccio di ciascuna parte politica. Di conseguenza, ogni valutazione necessariamente non può essere assolutamente neutra e in un qualche modo fa trasparire una visione che è anche politica. 

Con queste note di cautela, è comunque utile e necessario esplicitare quali potrebbero essere gli obiettivi e i punti di vista secondo i quali valutare il rapporto Colao. Li riassumerei attraverso 7 punti (mi limito a ciò che credo sia rilevante per i temi legati alla digitalizzazione e all’innovazione): 

• Un paese moderno deve mettere al centro della propria azione di governo la creazione sostenibile e continuativa di valore e di ricchezza per i propri cittadini, e non affidarsi prevalentemente a politiche redistributive. 

Il valore è creato primariamente dalle imprese e dalla società civile, non dallo Stato. Lo Stato deve innovare il proprio modo di essere ed operare, investire in infrastrutture critiche materiali ed immateriali o in presenza di fallimenti del mercato, ma non è imprenditore o innovatore in quanto soggetto economico che opera nel mercato. Lo Stato e gli Enti Locali non devono sostituirsi alle imprese, quanto favorirne la nascita e la crescita, attivare politiche per l’attrazione degli investimenti e promuovere lo sviluppo delle imprese già presenti sul territorio. 
L’innovazione nel settore privato deve essere promossa e sostenuta a) con interventi di carattere normativo e giuridico (semplificazione e de-legificazione), b) promuovendo l’interazione tra imprese e mondo della ricerca, e c) abilitando e accelerando i processi innovativi delle imprese con strumenti e sostegni finanziari agili e veloci. 
La missione principale del settore pubblico non è fare “nuovi servizi digitali”. Troppe volte i “servizi” sono solo adempimenti richiesti ai cittadini e alle imprese a causa dei limiti e delle incapacità della PA, oppure strumenti di pagamento. La PA deve diventare invisibile, cancellando adempimenti, certificazioni e obblighi di natura meramente burocratica e rendendosi al contrario vicina e visibile a cittadini e imprese per rispondere a loro reali bisogni (sanità, scuola, lavoro …). 
Lo Stato, in prima persona e all’interno degli organismi internazionali a partire dall’Unione Europea, deve promuovere una regolazione moderna in grado da un lato di cogliere le sfide poste dalle nuove tecnologie (per esempio per ciò che concerne il rapporto tecnologia-lavoro e la gestione dei dati personali) e, dall’altro, di abilitare processi innovativi agili e diffusi. 
Le reti e le infrastrutture digitali sono uno strumento indispensabile per la crescita. È vitale che il Paese faccia un salto di qualità nella qualità e diffusione della banda ultra-larga fissa e mobile. 
Il pubblico deve stimolare il mercato rinnovando e qualificando la propria domanda (procurement strategico), ripensando nel contempo radicalmente i propri processi e modelli di acquisto così da superare l’attuale irrisolta contrapposizione tra bisogno di flessibilità e velocità da un lato e volontà di controllo dall’altro. 

3. Le infrastrutture di rete 

Il rapporto Colao recita testualmente: 

La connettività a banda ultra-larga in Italia è assai più limitata che in altri paesi, con grandi differenze tra le diverse aree geografiche in termini di penetrazione e qualità. È necessario un intervento sistematico per ridurre il divario digitale e rendere il Paese totalmente e universalmente connesso, permettendo così l’ampia diffusione tra aziende e privati delle tecnologie innovative (ad es. Sanità digitale e telemedicina, istruzione in e-learning, acquisti e-commerce, pagamenti contactless, etc.). Lo sviluppo ubiquo della rete in fibra ottica è la priorità assoluta, dal momento che genera attività economica nell’immediato e stimola la crescita futura. È fondamentale completare su tutto il territorio nazionale la posa di tale rete, complementare al pieno sviluppo della rete 5G che deve a sua volta essere realizzata rapidamente, in linea con i paesi più avanzati. 

Per concretizzare questo obiettivo, il rapporto propone l’azione 25: 

25. Piano Fibra Nazionale 

  • Sviluppare un piano per il completamento della copertura nazionale della rete in fibra
  • Estendere la logica di gara per lo sviluppo di un’unica rete in fibra ottica a tutte le aree senza impegni cogenti di copertura (c.d. B grigie, C/D senza impegni cogenti, etc.), sostenendone parzialmente i costi con finanziamenti governativi e imponendo al fornitore vincente condizioni cogenti di realizzazione nonché garanzia di accesso competitivo a pa condizioni tecnico/operative a tutti gli operatori. Sanzionare la mancata realizzazione de di impegno.

La questione chiave che deve essere affrontata e che non è discussa nel rapporto è “perché fino ad oggi tutto ciò non si è fatto e come possiamo imprimere una reale svolta?”. Piani per la cablatura del paese sono stati fatti sia a livello centrale che locale. Certamente, il modello aree bianche, nere e grigie ha dei limiti e va superato. Tuttavia, la questione di fondo da affrontare una volta per tutte è il rapporto mai risolto tra incumbent, altri operatori retail e OpenFiber, cioè l’operatore wholesale. Da questo punto di vista, una proposta che pragmaticamente affronti la questione potrebbe essere articolata in tre punti:

1. Creare una società della rete (wholesale) con una partecipazione azionaria di soggetti pubblici e privati proporzionale al valore degli asset conferiti e delle risorse economiche apportate, e con una governance regolata da una autorità indipedente. In questa società confluirebbero tutte le infrastrutture fisiche esistenti, a partire dalle reti di TIM e di OpenFiber. 

2. Definire meccanismi di compensazione e di incentivi per sostenere le aziende coinvolte nella transizione al nuovo assetto. In particolare, è necessario affrontare e risolvere le questioni legate ai covenant e al personale in esubero di TIM.

3. Incrementare la domanda di banda larga con una azione sistemica rivolta a tutte le fasce della popolazione che preveda la migrazione delle trasmissioni da Digitale Terrestre e satellite a Internet (con ciò liberando anche frequenze che potrebbero essere utilizzate per altri scopi). Questa proposta, non nuova nella sua struttura generale, andrebbe certamente raffinata a precisata tenendo conto sia dei transitori che dei costi di migrazione per le famiglie. In ogni caso, al di là di questa specifica ipotesi, ciò di cui abbiamo bisogno è un piano che permetta di ottenere una discontinuità rispetto al passato ed evitare che quanto proposto al punto 25 rimanga ancora una volta solo una condivisibile intenzione.

 
4. Le amministrazioni pubbliche
Sulla tema della modernizzazione della macchina pubblica, il rapporto Colao indica alcuni problemi ed obiettivi reali e condivisibili (Sez. 4.4). Tuttavia nell’analisi proposta mancano alcuni passaggi chiave. In particolare, è vitale definite cosa si intenda per “semplificazione” e “trasformazione digitale”.
Da tempo immemore si parla dell’innovazione delle nostre amministrazioni pubbliche. L’obiettivo non è stato ancora raggiunto e il motivo non è semplicemente la resistenza al cambiamento delle burocrazie pubbliche. Esistono anche degli errori di impostazione che dobbiamo evidenziare e studiare al fine di evitare che si ripetano e che continuino a penalizzare i processi di innovazione della macchina pubblica.
La PA deve sparire e apparire solo quando serve. Il problema non è digitalizzare i procedimenti esistenti, quanto semplificarli e, quando possibile, evitare che il cittadino sia costretto a farsi carico dei problemi dell’amministrazione. I certificati e le dichiarazioni, in particolare, non “servono” al cittadino: servono alle amministrazioni e quindi sono adempimenti, non “servizi”. La digitalizzazione non deve servire a creare
sportelli digitali per richiedere certificati, quanto a far sì che le amministrazioni parlino tra loro e non chiedano nulla al cittadino. Dobbiamo parlare di una disappearing burocracy. 

Al contrario, le amministrazioni devono essere visibili quando il cittadino ha un bisogno suo, proprio, come nel caso di sanità, scuola, lavoro. Allora sì che le amministrazioni devono essere presenti per “servire” il cittadino e risolverne i problemi (non quelli delle amministrazioni), quelli che potremmo chiamare citizen-valued services

Per fare questo cambio radicale di paradigma è necessario rendersi conto che il principale problema delle nostre amministrazioni è la incapacità di comunicare tra loro in forma digitale. Come il piano triennale di Diego Piacentini ha evidenziato, è vitale investire nella integrazione dei backend, cioè nella creazione anche nel pubblico di standard di interoperabilità e di ecosistemi digitali. È solo in questo modo che servizi applicativi per l’utente finale (i frontend) acquistano contenuti e significato. 

Inoltre, è vitale che le innovazioni tecnologiche siano pensate, progettate e messe in campo allineando tecnologie, regole, norme, incentivi. Come decenni di esperienza nell’applicazione delle tecnologie digitali nel settore privato hanno dimostrato, non si innova semplicemente “montando” un computer o installando un nuovo software: è un complesso, articolato e multidisciplinare processo di change management. 

Per ottenere questi risultati, è vitale definire una nuova governance tra Stato, Regioni e Enti Centrali e Locali. Non è possibile digitalizzare il Paese senza una vera cooperazione organica e non di facciata tra le diverse istituzioni pubbliche. 

5. L’innovazione delle imprese 

Le imprese hanno bisogno di innovare, non solo ma in particolar modo dal punto di vista della digitalizzazione. Il rapporto su questi temi cita in particolare una azione: 

87. Agenda di cooperazione università-imprese. Rafforzare la cooperazione fra università e imprese per orientare ricerca e sviluppo verso grand challenges e favorire la crescita di un sistema nazionale dell’innovazione 

– Nel breve: disegnare progetti pilota per laboratori congiunti università- aziende (o ente di ricerca-azienda) con condivisione del personale e della strumentazione.

– Nel lungo: creare fondazione di diritto privato simile al Fraunhofer tedesco (Marconi Institute) con la funzione di potenziare l’ecosistema dell’innovazione, lo sviluppo e il trasferimento di tecnologie alle Aziende. 

Anche in questo caso il proponimento è più che condivisibile, ma non tiene conto di una serie di problemi e nell’indicare le soluzioni appare alquanto sfuocato: 

  1. In questi anni lo Stato e le Regioni hanno avviato molti programmi di incentivazione, seguendo modelli e formati differenziati e spesso incoerenti. Per i processi di innovazione, avrebbe senso pensare al potenziamento degli incentivi automatici (come i crediti di imposta e altre forme previste dall’originario piano Industria 4.0).
  2. Nel recente passato sono stati creati una molteplicità di strumenti finanziari e di strutture pubbliche che dovrebbero sostenere lo sviluppo di startup innovative e il finanziamento strutturale delle imprese. Nel decreto Rilancio si parla di una nuova fondazione EneaTech che dovrebbe anch’essa occuparsi di innovazione e supporto alle nuove imprese. È necessario da un lato razionalizzare e semplificare tutti questi strumenti e, dall’altro, evitare sovrapposizioni e conflitti con quanto esiste già (vedi punto 4).
  3. Di fronte ai problemi di innovazione del paese, troppo spesso si sono create strutture autoreferenziali dotate di risorse, anche ingenti, spese per attività non direttamente guidate dai bisogni specifici di una impresa. Queste strutture sono alla continua ricerca di possibili clienti e applicazioni del proprio know-how. Se questo tipo di approccio (push) è ragionevole nel caso della ricerca di medio- lungo periodo, esso è alquanto sterile nel caso dell’innovazione che richiede impatto sul mercato e collegamento diretto con i bisogni delle imprese (pull). Chi opera in questo settore deve essere capace di acquisire contratti dal mercato, quanto meno per una parte significativa dei propri ricavi.
  4. Il rapporto parla della creazione di una rete di centri simili ai Fraunhofer tedeschi. L’obiettivo è certamente condivisibile e per perseguirlo si suggerisce di creare nuove fondazioni private. Tuttavia, in Italia esistono già i competence center industria 4.0 che peraltro non seguono il modello Fraunhofer, ma che comunque assorbono risorse non trascurabili. Allo stesso tempo esistono strutture simili al Fraunhofer (vedi FBK di Trento, Link a Torino o Cefriel a Milano) che non sono state coinvolte in un piano organico a livello nazionale, nonostante abbiano da sempre proprio quelle caratteristiche evocate dal rapporto Colao. Peraltro, il MISE ha anche creato un albo dei centri di trasferimento tecnologico industria 4.0 che appare in sovrapposizione con gli stessi competence center. È vitale mettere ordine e razionalizzare questo panorama alquanto confuso di enti e organismi piccoli e grandi, riducendone il numero, eliminando le strutture autoreferenziali, valorizzando le strutture che già esistono ed operano con successo sul mercato, focalizzando le risorse disponibile per ottenere il massimo e più rapido effetto sull’economia del Paese. 

6. Il procurement pubblico 

Lo Stato e le amministrazioni pubbliche sono un grande attore della domanda di servizi e quindi di innovazione. Se spendessero in modo strategico le ingenti risorse che già oggi finiscono sul mercato, potrebbero costituire un grande traino ai processi di innovazione e di crescita delle imprese e del territorio. Ma è necessario passare da una visione per cui si compra al massimo ribasso, anche servizi e prodotti innovativi, ad un reale procurement strategico (lo “stato acquirente”, come in USA). 

Per fare questo non basta una generica richiesta di riforma del codice degli appalti (peraltro indispensabile). È vitale pensare un nuovo rapporto tra giustizia (amministrativa, civile, penale), imprese e stazioni appaltanti per risolvere alla radice una contraddizione di fondo che blocca il Paese da anni: il non risolto rapporto tra flessibilità, promozione del rapporto pubblico-privato, velocità e responsabilizzazione da un lato e, dall’altro, un asfissiante orientamento al costo e meccanismi di controllo e vincoli sulle procedure di procurement che, nati per la lotta alla corruzione, sono diventati nei fatti un freno a molti processi innovativi. 

7. Conclusioni 

Il rapporto Colao contiene diverse idee e suggerimenti che in linea di massima sono condivisibili e singolarmente apprezzabili. Tuttavia, se vogliamo veramente effettuare un radicale cambio di velocità nei processi di innovazione e di crescita è necessario andare alla radice di alcuni problemi strutturali che da tempo rallentano o paralizzano imprese, pubbliche amministrazioni, il Paese nel suo complesso. Se non avremo il coraggio di affrontare questi nodi strutturali, il rischio è che tante buone ipotesi di lavoro rimangano tali. 

Indubbiamente, tutte queste misure hanno una radice e un risvolto politico che non puòessere ignorato o sottovalutato. Nel fare queste scelte specifiche dobbiamo decidere e capire quale visione abbiamo per il Paese, come lo si vuol collocare nel contesto internazionale, che tipo di sviluppo pensiamo di proporre e sostenere, quale rapporto avere tra politica, istituzioni e società civile. È solo da una estrema chiarezza su questi punti critici che possiamo trarre l’energia, la lucidità e la determinazione per affrontare le grandi e gravi sfide che abbiamo di fronte a noi.

 

 

*da ASTRID, 12/06/2020

**Insegna al Politecnico di Milano e dirige il CEFRIEL

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