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Più sanzioni a chi corrompe nel settore privato

Il fenomeno corruttivo nel settore privato, per le sue non trascurabili dimensioni e per la natura delle sue implicazioni anche nel contesto economico-finanziario, non poteva sfuggire all’Unione Europea, resasi promotrice da tempo di una apposita iniziativa mirata ad imporre agli Stati membri una incisiva revisione degli ordinamenti interni.

L’attenzione è stata rivolta, in particolare, al novero delle specifiche fattispecie criminose (corruzione attiva e passiva, istigazione), all’allargamento dei soggetti coinvolti, alle modalità della manifestazione del fenomeno, all’incidenza delle pene, che devono essere segnatamente effettive, proporzionate e dissuasive.

Disciplina della corruzione tra privati

L’attuale quadro normativo parte dalla decisione 2003/7568/GAI del Consiglio dell’Unione Europea risalente al 22 luglio 2003, per arrivare, a seguito della legge delega n. 170 del 2016, art. 19(cosiddetta legge di delegazione europea) al D.lgs. di attuazione 15 marzo 2017 n. 38(G.U. 30 marzo 2017 n. 75), entrato in vigore il 14 aprile 2017. La prima regolamentazione risale alla riforma del diritto societario mediante il D.Lgs n. 61 del 2002(“Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità”), oggetto di successiva revisione con legge n. 190 del 2012.

L’intervento legislativo, questa volta di respiro internazionale, introduce incisive modifiche all’art. 2635 cod.civ., che con la citata legge aveva già ampliato il proprio ambito operativo, sotto la rubrica”corruzione tra privati”.

Trattasi di innovazioni, che, nel rispetto dei principi prima richiamati, toccano contenuti rilevanti ai fini della lotta alla “corruzione tra privati”, evidentemente sulla base degli accadimenti registrati nel tempo:

–      L’estensione della punibilità (reclusione da uno a tre anni) a coloro che esercitano, nell’ambito delle società o degli enti privati, funzioni direttive in generale, in aggiunta ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, oltre che agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori. Inoltre, l’azione delittuosa si configura, anche se praticata per interposta persona.

Non può sfuggire, poi, che il citato riferimento agli enti privati, con relativa modifica anche della rubrica del titolo XI del libro V del codice civile, intende evidentemente individuare la responsabilità anche in capo a soggetti non strettamente economici, quali potrebbero essere le fondazioni ovvero gli enti senza fini di lucro. 

Permane – è da notare – la responsabilità penale di chi è                              sottoposto alla direzione o alla vigilanza dei soggetti di cui sopra (sanzione: reclusione fino a un anno e sei mesi);

–      è considerata condotta corruttiva anche quella posta in essere mediante sollecitazione, eventualmente per interposta persona, alla dazione di denaro o altre utilità non dovuti  per sé o altri;

–      la corruzione si pone ora come reato di pericolo, risultando superata la condizione del nocumento alla società, ai fini della realizzazione della fattispecie criminosa;

–      viene confermata la punibilità di chi, con la novità dell’eventuale interposta persona, offre, promette o eroga denaro o altre utilità non dovuti ai soggetti attivi già richiamati delle società o degli enti privati;

–      attraverso l’introduzione dell’art. 2635 bis cod. civ., viene ipotizzato il reato di istigazione alla corruzione tra privati, sotto una duplice manifestazione:

  • l’offerta o la promessa di denaro o altra utilità non dovuti ai soggetti più volte nominati, quali parti di società o enti privati, perché compiano o omettono atti contrari agli obblighi del loro ufficio ovvero a quelli di fedeltà, con la specificità della mancata accettazione da parte dei destinatari.       
  • sollecitazione, anche per interposta persona, senza esito,  di promessa o dazione di denaro o altra utilità non dovuti da parte dei soggetti societari ovvero degli enti privati prima richiamati, per i fini illeciti di cui sopra.

In entrambe le fattispecie, il reato è perseguito con una sanzione penale ridotta di un terzo rispetto a quella riferita alla corruzione realizzata.

Il nuovo art. 2635 ter cod.civ. interviene ancora sulle pene accessorie, stabilendone l’applicazione in aggiunta a quelle penali; trattasi dell’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese di cui all’art. 32 bis del codice penale, sanzione da comminare in ogni caso a carico di chi sia stato già condannato per lo stesso reato; sono compresi anche gli esponenti societari resisi responsabili della sollecitazione, per sé o altri ,  di promesse o dazione di denaro o altre utilità non dovuti;

Infine, la novella legislativa non poteva non impattare anche con il D.Lgs. n. 231 del 2001 in materia di reati societari, supponendo che chi corrompe abbia agito in nome e nell’interesse dell’ente di appartenenza.

In particolare, le innovazioni, che interessano l’art. 25 ter del predetto decreto, con la sostituzione della lettera s-bis) prevedono a carico della società per il delitto di corruzione tra privati, nell’ipotesi di offerta, promessa o dazione di denaro o altre utilità, anche per interposta persona, la sanzione pecuniaria da   400 a 600 quote e, nel caso di istigazione di cui al primo comma dell’art 2635 bis del cod.civ., una analoga penalità da 200 a 400 quote (valore quota da euro 258 a euro 1549).

Di assoluto rilievo, poi, il richiamo all’applicazione delle sanzioni interdittive, stabilite dall’art 9, secondo comma, che vanno dall’interdizione all’esercizio dell’attività, alla sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni, al divieto di contrattare con la P.A., all’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi con eventuale revoca di quelli già concessi, fino al divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Le innovazioni legate al D.Lgs. n. 231/2001, ai fini dell’efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle società e degli altri enti, comportano un idoneo adeguamento dei modelli organizzativi e di gestione degli stessi.

Altro tema rilevante è costituito dall’incidenza delle condotte corruttive dei dirigenti e dei sottoposti sul rapporto di lavoro, con riferimento all’applicazione a loro carico delle sanzioni disciplinari. Sommariamente, non vi è dubbio che rientra nella facoltà datoriale il licenziamento, in caso di condanna penale; appare, invece, prudenziale il provvedimento di sospensione del rapporto, nella fase dell’accusa, stando anche ad un orientamento giurisprudenziale di legittimità.

Conclusivamente, al di là dell’allargamento delle ipotesi corruttive e dei soggetti perseguibili, l’efficacia della nuova disciplina adeguata ai parametri europei necessita di essere valutata, com’è opinione diffusa, anche in funzione dell’accompagnamento di idonee misure di prevenzione e monitoraggio, mediante un sistema di linee guida, mutuando eventualmente gli analoghi sforzi prodotti nel settore pubblico.                             

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