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Politiche di integrazione dei migranti in 6 Paesi europei

L’accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo è una costante del dibattito pubblico e delle agende dei governi dell’Unione. Un fenomeno mediaticamente sovraesposto che ingenera reazioni allarmistiche, pericolose semplificazioni, sentimenti di intolleranza. Qui l’uso distorto e spesso disonesto o partigiano dei dati disponibili alimenta la radicalizzazione delle posizioni, facendo prevalere letture dai toni iperbolici e sguaiati (l’invasione), tematizzazioni ideologiche intransigenti (“noi” prima di “loro”), soluzioni politiche avventate se non ridicole (tutti a casa loro). 

In questo scenario di radicalizzazione del dibattito pubblico rimangono purtroppo sottotraccia le centinaia di esperienze che quotidianamente operano nell’accoglienza dei migranti e dei rifugiati, in Italia e in Europa. Eppure, la conoscenza e la diffusione di queste pratiche è utile a smorzare i toni e a offrire elementi di maggiore comprensione sia del fenomeno migratorio, sia degli strumenti politici, sociali, culturali e umani già sperimentati per affrontarlo. A questo scopo presentiamo i dati e le informazioni offerte dal rapporto Study on policies and good practices addressed to migrants and refugees’ social and labour integration, elaborato nell’ambito del progetto MigrEmpower. Itinerari e risorse per l’empowerment e l’integrazione dei migranti e dei rifugiati (http://migrempower.eu/it/). Il rapporto contiene: a) i dati statistici del fenomeno su scala europea e nazionale; b)le principali normative di settore; c)l’analisi di buone pratiche finalizzate all’inclusione e all’integrazione. Le informazioni comprendono 6 Paesi in cui operano gli 8 partners di progetto: Austria, Cipro, Francia, Italia, Germania e Spagna. Approfondiamo di seguito quanto emerge sul fronte delle buone pratiche, rinviando gli approfondimenti su dati e normative alla lettura del Rapporto integrale disponibile online su http://migrempower.eu/it/.

Il rapporto contempla 60 buone pratiche di accoglienza, 10 per ciascuno dei 6 Paesi coinvolti. La selezione è stata guidata da 7 dimensioni: rilevanzainnovativitàefficaciaefficienzaimpattosostenibilità e attenzione all’ approccio di genere. Nel rapporto è disponibile una descrizione di ogni dimensione, Paese per Paese, che restituisce la complessità delle buone pratiche selezionate. Qui ci limitiamo a uno sguardo complessivo sulle 60 esperienze, per avviare alcune prime riflessioni comparate. Assumiamo pertanto che la scelta operata dai ricercatori partner del progetto MigrEmpower sia l’esito di un lavoro di selezione “ragionata”, che declina le 7 dimensioni menzionate sopra nel contesto nazionale e locale di riferimento. Per sistematizzare l’analisi prendiamo in considerazione 5 variabili: la tipologia prevalente di intervento; il profilo dell’ente gestore; le forme di finanziamento prevalentemente usate per sostenere i progetti; i target prevalenti; il tipo attività svolte nei progetti.

Partiamo dalla tipologia di intervento. Prevalgono i progetti di inclusione sociale/integrazione come scopo prevalente. A queste esperienze si collegano attività di insegnamento della lingua, di housingcounsellingcoaching, fino alla promozione di reti sul territorio. Al secondo posto, le pratiche finalizzate all’inserimento lavorativo. In questo caso troviamo attività più decisamente rivolte al mercato del lavoro: dall’analisi delle competenze e delle conoscenze all’orientamento professionale. 

Guardando al profilo dei promotori, troviamo che quasi la metà delle esperienze selezionate sono promosse da organizzazioni no profit. Seguono associazioni e fondazioni, che sono comunque soggetti del mondo no-profit ma di categoria giuridica differente: nel primo caso può esserci maggiore informalità e l’uso di volontari più forte; nel secondo abbiamo invece organizzazioni più strutturate che infatti tendono ad autofinanziare i propri progetti. Una sola pratica è stata promossa da un’organizzazione di rappresentanza (Mentoring für Migrantinnen und Migranten, Austria). Le pratiche promosse dalle istituzioni pubbliche nazionali e locali sono solo 10 in tutto: questo conferma che l’accoglienza dei rifugiati avviene prevalentemente in regime cooperazione pubblico-privato, in cui il contatto con i beneficiari è affidato al mondo no profit. 

I privati, anche for profit, partecipano invece ai progetti selezionati attraverso il sostegno finanziario. Guardando infatti alle forme di finanziamento, solo 6 esperienze si finanziano prevalentemente con le donazioni, che non sembrano bastare a sostenere i progetti,  visto che sono sempre accompagnate dall’autofinanziamento o dal finanziamento pubblico (12 casi). Solo 2 progetti sono prevalentemente finanziati vendendo i prodotti o i servizi sul mercato, entrambi in Italia: si tratta di Barikamà, cooperativa di migranti di Roma, e della Cooperativa “Siamo”, che produce bomboniere solidali. 

Il finanziamento pubblico è dunque la tipologia maggiormente rappresentativa delle buone pratiche selezionate (29 su 60). Questo aspetto va preso in seria considerazione:

–      la dipendenza dal finanziamento pubblico può essere un problema di sostenibilità degli interventi;

–      spesso si tratta di finanziamenti con scadenza temporale (collegati a fondi comunitari o a programmi nazionali non sistematici);

–      spesso di tratta di finanziamenti erogati in un quadro di “emergenza immigrazione” o “emergenza profughi”. Questo comporta che siano fondi vincolati a spese precise (insegnamento della lingua, pasti, prima accoglienza, housing), attività che non si traducono in integrazione ma anzi prolungano le condizioni di separazione dalla società locale.

Questo ragionamento vale in particolare per i progetti rivolti ai rifugiati e ai richiedenti asilo, che rappresentano poco meno di un terzo dei progetti analizzati (18 su 60). In effetti, guardando alla quarta variabile (il target prevalente), le buone pratiche riguardano prevalentemente progetti rivolti ai cittadini immigrati extra-UE (23). Ci sono progetti più specifici, rivolti alle vittime di tratta. Alcune pratiche interessanti sono invece rivolte ai “soggetti svantaggiati” in generale, senza distinzione di nazionalità. Come si legge nel report, questi progetti sono molto utili e da replicare, perché si basano sul principio di normalizzazionedell’accoglienza degli immigrati, i cui fabbisogni non vanno considerati come estemporanei o eccezionali, ma vanno resi sistematici e uniti a quelli espressi dalle fasce svantaggiate cosiddette autoctone dei Paesi di arrivo. Molto efficaci anche le pratiche rivolte ai formatori, come il progetto Us and Them(Cipro) e Young citizen initiatives for the benefit of street children EVS (Francia), in cui la formazione dei volontari avviene con esperienze di scambio nei Paesi di provenienza (in particolare, il Marocco).

 

 

 

Veniamo infine al tipo di attività svolte. Come si vede nel grafico sopra, orientamento, counselling and finding jobs sono le attività maggiormente diffuse (24), seguite dalla formazione professionale (18) e dall’insegnamento della lingua (15). Anche la formazione in gruppo (workshops, roundtables, simulazioni, urban gardens ecc.) è risultata abbastanza diffusa e ha stimolato pratiche anche innovative, come diremo di seguito nel riquadro riferito alla innovatività. I progetti che promuovono attività di voucher sono solo 2: Integration and Diversity – Municipal Authority of Vienna in Austriae INSIDE – INSerimento Integrazione nordsuD inclusionEin Italia.

Per concludere richiamando quanto detto in apertura, particolare attenzione va alle 13 esperienze che hanno tra le proprie attività prevalente anche forme di attivismo, attraverso:

–       eventi pubblici, come manifestazioni culturali e interculturali, convegni ed eventi politici, readings, eventi per il fundraising ecc. (4 casi);

–       sensibilizzazione attraverso brochures, pubblicazioni, ecc. (5 casi);

–       promozione politica verso le istituzioni nazionali e internazionali (4 casi).

Si tratta di esperienze molto importanti perché uniscono l’accoglienza alla missionpolitica e hanno una certa rilevanza rispetto al contesto in cui si svolgono. Scenari in cui è molto evidente l’intolleranza diffusa verso i migranti, con ondate xenofobe e fondamentalismi che possono minare alla base ogni processo di integrazione. Per questo – conclude il report – la consapevolezza della portata politica dell’accoglienza va maggiormente diffusa tra le organizzazioni che si occupando di immigrazione.

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