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Poteva essere un 110 e lode, ed e’ stato soltanto business

Inizio con questa immagine perché ci permette di vedere chiaramente, con le aree in rosso, i luoghi con maggior presenza di popolazione e di attività edilizie conseguenti: una mappa quindi di geografia urbana che descrive le quantità di occupazione diretta di suolo in Europa da parte dell’uomo.

(Mappa della densità della popolazione e delle costruzioni in Europa. Dati del satellite Copernicus elaborati dal blogger Milos Popopic )

Se le aree in rosso sono quelle in cui si svolge la maggior parte delle attività antropiche (fatte salve quelle aeree e marine), di conseguenza sono anche quelle che ospitano le principali fonti d’inquinamento dell’aria e del suolo, dovuto non solo agli usi di residenze e città, ma anche ai sistemi costruttivi dell’edilizia e produttivi dell’agricoltura.

È noto come abitazioni (involucro e uso), attività produttive (involucro e uso) e città (come sintesi di attività complesse legate alla vita dell’uomo), negli attuali modi di produzione e gestione, contribuiscano a sottrarre qualità all’ambiente. È nella ricerca di un nostro benessere (che si è dimostrato miope) legato al modo di produrre e consumare energia, oggetti e risorse naturali, che abbiamo superato molti limiti delle tolleranze sistemiche ed ecosistemiche, creando sofferenze ambientali ed eccedenze di sostanze nocive. Alcune di queste sono smaltibili; altre devono giacere protette per molti secoli; altre, come la CO2, non sono smaltibili con i metodi e le tecnologie attuali. 

E’ in questa sottrazione di qualità ambientali che si sono sviluppate conseguenze negative per la salute e il benessere nostro e del pianeta, ed è per questa sottrazione di qualità che si impone una conversione culturale ed economica verso lo sviluppo sostenibile e la riqualificazione dell’ambiente naturale e antropico-urbano.

E’ evidente altresì come, per attuare la riqualificazione, sia necessario partire da ciò che produce maggior dequalificazione edai luoghi in cui questa dequalificazione si realizza: città, agricoltura e aree densamente antropizzate producono da sole il 70% dell’inquinamento.

In queste aree si pone subito e con forza il tema del contenimento delle tecnologie urbane e produttive ecologicamente insostenibili, con azioni di riqualificazione degli involucri e degli habitat. Con altrettanta forza si pone la necessità di teorie e programmi, di misure economiche e finanziarie, di iniziative del mondo del lavoro e imprenditoriale, che organizzino i progetti delle trasformazioni urbane e territoriali nella coscienza e conoscenza degli equilibri che andranno a determinare: un’azione di politica economica con programmi chiari che promuovano e gestiscano la transizione verso lo sviluppo sostenibile dettandone le regole.

Per mettere in cantiere progetti e azioni atte a produrre programmi, dobbiamo:

  • Contenere nell’immediato i processi più inquinanti fino a una loro messa a bando;
  • Riqualificare il patrimonio agricolo e urbano-residenziale esistente;
  • Strutturare statuti disciplinari e apparati normativi idonei a garantire la sostenibilità ecologica per i nuovi interventi e per quelli di riqualificazione.

E’ un processo che interessa tutte le aree in rosso, che deve essere sorretto da idonei strumenti finanziari, culturali e formativi e che sia capace di promuovere investimenti e organizzare lavoro.

Entrando nel merito e riferendomi al dibattito sui finanziamenti del 110%, non dico nulla di nuovo affermando che le opere di riqualificazione in ambito edilizio-urbano sono opere che riguardano in primis il complesso sistemico della società e della città e quindi anche i cittadini come entità singole facenti parte dell’insieme. 

Per la riqualificazione della città, e anche partendo dalle unità edilizie (singole o aggregate) c’è bisogno di fondi ma anche di Programmazione e Progettazione delle parti urbane su cui insistono i manufatti. Dobbiamo essere coscienti che queste parti sono componentidi sistemi complessi. Siamo nel mondo dell’urbano, della complessità della città e non nel mondo della ragioneria, del bilancino, della contabilità familiare; siamo nel mondo in cui le spese per le riqualificazioni devono tramutarsi in investimenti per la società a garanzia del corretto funzionamento dei sistemi territoriali, del nostro benessere e del benessere degli ecosistemi.

Entrando nel merito delle politiche di sostegno alla riqualificazione (principalmente edilizia) messe in atto nel nostro Paese, le reputo giuste dal punto di vista delle quantità finanziarie previste ma sbagliate nell’organizzazione, nella programmazione e nell’attuazione.

La prima critica, in particolare per il 110%, è che un processo di questa complessità non può essere lasciato alla gestione del mercato; per evitare le prevedibili speculazioni, bastava stabilire che sarebbero state finanziate solo le opere che avessero rispettato il preziario regionale così come normato alla promulgazione del provvedimento. Con la vastità del patrimonio edilizio da ristrutturare, il piatto si presentava talmente ricco che le imprese l’avrebbero accettato senza colpo ferire.

La seconda critica è che le singole ristrutturazioni-riqualificazioni dovevano essere governate come parti di progetti territoriali. Tutte le volte che riqualifichiamo un condominio, una consistenza edilizia, interessiamo anche l’ambiente urbano sul quale insiste, migliorandone la qualità. 

Andava assegnato un ruolo agli Enti Locali, ai Municipi ecc. per dare valore urbano e sociale all’intera operazione: per capire sia le parti sociali interessate e sia i ruoli individuali e sociali, sia le opere ad uso esclusivo dei singoli e sia quelle che contribuivano al miglioramento del bene, è appena uscito il Decreto sulle Comunità Energetiche a dimostrazione che la cultura sociale e istituzionale è pronta non solo ad accettare il dialogo, ma anche le politiche istituzionali d’indirizzo. Era facile chiudere il cerchio: in una politica di programmazione e di territorio come sistema si sarebbero potuti raggiungere anche tutti i vantaggi propri dell’economia di scala.

La terza critica è quella di non aver legato i finanziamenti a un piano economico generale capace di tramutare le varie voci di spesa in investimento. Conosco perfettamente le argomentazioni sulla non relazionabilità tra spese certe e ipotesi di entrata; ma chiunque abbia fatto cantiere sa che un preventivo, anche in edilizia, si fa contabilizzando i materiali, le giornate lavoro, i macchinari ecc. I preventivi sono fatti di numeri certi attraverso i quali si possono contabilizzare analiticamente o forfettariamente i rientri e i vantaggi generali, di impresa e di sistema, e che nascono quando trattiamo la voce spesa come voce investimento.

Quando facciamo della riqualificazione urbana un valore, la sua realizzazione diventa il primo passo concreto verso la realizzazione dello sviluppo sostenibile.

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