Il complesso momento storico, politico e sociale che stiamo vivendo,nel quale le contraddizioni del presente, l’incertezza per il futuro, le tensioni determinate dalla crisi di schemi, anche ideali, che parevano consolidati ma che hanno mostrato tutta la loro fragilità nel momento in cui non si è saputo più dare adeguata attenzione ai mutati bisogni delle persone e ai loro sogni interrogano profondamente il sindacato e quindi, spostandoci sul livello della previdenza e dell’assistenza, il nostro modello di welfare.
Come sindacato non possiamo rassegnarci all’idea che le conquiste, talvolta parziali e imperfette ma senza dubbio cruciali per lo sviluppo socio-economico del nostro paese, ottenute dagli anni sessanta in poi su questo terreno debbano considerarsi tramontate alla luce di un contesto macroeconomico e demografico radicalmente mutato rispetto al momento in cui sono nati e si sono consolidati i diritti e le prestazioni sociali.
Di fronte al cambiamento, la posizione non può essere quella di rinunciare a dare risposte e lasciare le persone sempre più sole, come vorrebbe un certo pensiero liberista, ma al contrario è indispensabile sforzarsi per dare sostegno a nuovi bisogni.
Il sindacato nasce per accompagnare ideali e sentimenti di giustizia e così dovrà fare anche oggi, pena dover accettare un ruolo residuale nell’attuale società che noi non vogliamo.
Oggi, purtroppo, viviamo in un mondo particolarmente concentrato sul contingente, spesso incapace di immaginare il futuro.Lastessa crisi ci ha ripiegato sul presente, pensiamo al nostro essere quotidianamenteimpegnati sul governo delle vertenze e sempre meno coinvolti per costruire orizzonti di libertà.
Il lavoro deve certamente rimanere al centro degli interessi del sindacato, financo diventarne “ossessione” a fronte della incombente rivoluzione digitale di cui abbiamo iniziato ad assaggiare l’impatto (si pensi al fenomeno della Gig economy ma anche a professioni che non rientrano ancora in nessuna classificazione) e che nel futuro sempre più vicino è pronto a stravolgere sempre più le nostre vite insieme alle nostre certezze e alla nostra capacità di intendere e interpretare i cambiamenti.
Per questo continueremo a insistere sull’idea che illavoro dovrà continuare a essere il cardine del meccanismo distributivo su cui si andrà a reggere ancora la nostra societàin un’epoca in cui questa parolaè sempre più inglesizzata, “job” o “work”quasi che si abbia il timore di chiamarla con il suo veronome tanto caro ai Padri costituenti e alla Cisl. Lavoroche per noi si associa socialmente e politicamente al termine “diritto”.
Lavoro per distribuire redditi, per alimentare le risorse necessarie a sostenere il sistema-Paeseattraverso il gettito tributario e contributivo, per distribuire protezione sociale e, quindi, welfare.
E’ proprio il welfare, inteso in senso lato come previdenza, assistenza e sanità, il terreno principe sul quale siamo chiamati a misurarci anche oggi come organizzazioni sindacali.
La lotta alla povertà, la previdenza per tutti, la conciliazione tra vita e lavoro, il diritto alla salute, alla cura e il sostegno alla non autosufficienza sono, infatti, alcuni dei temi discussi nell’ultimo Congresso della CISL.
Nel recente “Contratto del cambiamento” del nuovo Governo, tuttavia, vediamo che fatica a emergere un aspetto che interrogherà in modo cruciale il nostro modello di società, ancor prima che di welfare, nei prossimi decenni, vale a dire che una demografia negativa e una demografia eccessiva compensano uno dei più delicati affanni del paese, ossia lo squilibrio generazionale che ci restituisce un Italia con l’indice di vecchiaia del 165,3 (salito di 33,9 punti percentuali in 15 anni) mentre in ordine alla denatalità, nel 2017 si è toccato il massimo storico con sole 458mila nascite.
Tutto ciò ci obbliga a rivedere i servizi sociali nella direzione dei nuovi bisogni perché negli ultimi dieci anni la crisi economica ha ridotto in maniera significativa e diseguale i redditi, ampliando le disparità con il dilagare di povertà ed esclusione a danno delle famiglie. Per fronteggiare queste sfide bisogna investire su un nuovo modello di società da promuovere con proposte politiche incisive, che vogliano e sappiano investire sulla famiglia e sul ruolo che questa può esercitare in termini di coesione e volano di sviluppo.
Per la CISL ciò significa costruire, insieme all’associazionismo, un Patto per la Natalità; sostenere l’occupazione femminile dopo la nascita dei figli favorendo la conciliazione vita-lavoro e la redistribuzione delle responsabilità familiari anche attraverso la predisposizione di un nuovo set di congedi e permessi rafforzato per madri e padri lavoratrici e lavoratori.
Insieme, quindi, sostenere la contrattazione collettiva che sperimenta innovazioni nel campo della conciliazione vita-lavoro e una rete di servizi all’infanzia territorialmente più diffusa (specialmente al Sud), di qualità e con costi accessibili da parte delle famiglie; e inoltre promuovere e realizzare politiche di contrasto alla povertà, ampliando la platea dei potenziali beneficiari del REI fino a coprire tutte le famiglie in povertà assoluta.
A fronte del progredire di una società sempre più individualizzata, mai come oggi il welfare assume il significato di “creare comunità”, stare insieme, partecipare e quindi abbandonare la mentalità del “penso solo a me stesso” verso la quale si viene sospinti. Contrastare questa tendenza è una battaglia culturale che deve continuare a concretizzarsi in un progetto politico.
Welfare per noi significa, infatti, garanzia di un progetto di vita e quindi consapevolezza che non si è da soli perché si viene accompagnati.
Mai come oggi ragionare di welfare, anche in ottica intergenerazionale, significa promuovere per il Paese un confronto che parli ancora di speranze e di progetti per il futuro: per i giovani, per le lavoratrici, per i lavoratori e per i pensionati. Questi temi non contraddicono, anzi, rafforzano la necessità di tenere aperto il dibattito sulla previdenza.
Il negoziato sulla questione previdenziale deve essere ripreso al più presto. Sappiamo bene che le pensioni sono uno dei principali temi su cui si è “giocato” l’ultimo risultato delle elezioni politiche, perché hanno a che fare con la percezione della sicurezza della vecchiaia, quando si è più fragili; con il sentimento di fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato e con l’attuazione dei diritti affermati nell’articolo 38 della Costituzione; con il principio di eguaglianza sostanziale tra cittadini e quindi, in sostanza, hanno a che fare con il modello democratico del nostro Paese.
L’ultimo Documento di Economia e Finanza ci dice che il bilancio dello Stato è di 586 mld/€. All’interno di questo la spesa per prestazioni sociali è risultata di 342,072 Mld/€ di euro con un’incidenza in rapporto al PIL pari al 19,9% e in particolare la spesa pensionistica si attesta su 264,033 Mld/€. Sono numeri imponenti, dove, con la pesante perimetrazione imposta dalle necessità di contenimento del deficit, il sindacato negli ultimi 2 anni ha lavorato per stemperare molte rigidità della legge Fornero sulle pensioni ottenendo nelle due ultime leggi di stabilità stanziamenti per 7,3 mld/€.
Questi sono stati utili per: il riconoscimento e poi l’estensione delle categorie dei lavori gravosi da 11 tipologie a 15; l’ampliamento dell’Ape sociale; la proroga dell’Ape volontario; il blocco nel 2019 dell’aumento dei requisiti pensionistici per la variazione dell’aspettativa di vita per chi svolge lavori gravosi e usuranti; la modifica dal 2021 del meccanismo di calcolo di tale variazione. Queste misure danno conto di un processo di progressiva correzione che deve proseguire anche nel futuro perché il sistema previdenziale italiano, soprattutto come configuratosi dal 2012 in poi, deve essere reso più equo. Oggi per noi è fondamentale: restituire ai lavoratori la possibilità di scegliere quando andare in pensione, aumentare la flessibilità delle scelte individuali dei lavoratori e delle lavoratrici, proseguire sulla strada del riconoscimento della differenza dei lavori a fini pensionistici, riparlare della perequazione delle pensioni in essere.
Inoltre, se come è stato più volte sottolineato, nuovi bisogni esigono nuove risposte, per i giovani che saranno i pensionati del futuro è indispensabile promuovere una pensione contributiva di garanzia che consolidi il pilastro pubblico valorizzando i periodi di discontinuità lavorativa e con basse retribuzioni insieme a quelli dedicati alle attività di cura, studio e formazione.
Dentro questa logica, anche il secondo pilastro deve essere rafforzato con iniziative che si devono concretizzare in varie direzioni: permettere a tutti di accedere ad un fondo pensione complementare, aumentare la consapevolezza e l’informazione sulle opportunità offerte dall’adesione ai fondi pensione, agevolare la tassazione, promuovere iniziative compensative per favorire l’investimento in previdenza complementare per le imprese con meno di 50 dipendenti, avviare un tavolo istituzionale con le Parti sociali per promuovere effettivamente gli investimenti in economia reale.
Prima di mettere mano alla previdenza, però occorrono dati certi che devono essere messi anche a disposizione delle parti sociali allo scopo di evitare pasticci come quello degli esodati non ancora completamente risolto. Un maggiore trasparenza sui dati della spesa previdenziale e assistenziale per noi è oramai un tema ineludibile e per questo motivo pensiamo che la recente attivazione della Commissione di studio prevista dall’ultima legge di bilancio che vede la presenza delle parti sociali sia importantissima.
Se sarà possibile, come speriamo, aprire un confronto anche con il nuovo Governo non dovremo assolutamente limitarci, quindi, al pilastro pubblico. L’adeguatezza delle prestazioni previdenziali resta un obiettivo che diventa via via più importante con il crescere dell’aspettativa di vita in uno scenario che vedrà le pensioni calcolate integralmente con il metodo di calcolo contributivo.
Con il mondo che cambia, allora, diventa sempre più importante rivedere il sistema dei regolatori economici e sociali e in tale situazione il “fai da te” previdenziale è una prospettiva pericolosa e non percorribile, da scongiurare con ogni mezzo per non correre il rischio di far aumentare il divario fra chi potrà permettersi in futuro un tenore di vita dignitoso e chi no. In questa situazione, le pensioni sono un tassello di uno scenario complesso e devono essere sempre più pensioni di primo pilastro e pensioni di secondo pilastro e in questo senso dovrà essere incentivata l’ancora troppo bassa adesione ai fondi che al momento si attesta ancora sotto il venti per cento dei lavoratori del Paese.
Nella complessità dello scenario constatiamo inoltre che il pensiero unico ha finito per intaccare anche Istituti del nostro welfare che, stretti tra vincoli di bilancio, tagli di risorse, scelte organizzative che rispondono sempre più a filosofie di impronta aziendalista senza, peraltro, mostrare un aumento di efficienza, rischiano di perdere la finalità sociale per la quale sono stati creati. In tal senso ci preoccuperebbe un Istituto Nazionale di Previdenza con una S di “sociale” traballante, un’INP sempre meno compagna di strada e sempre più controparte delle Organizzazioni dei lavoratori e delle imprese. Per questo continueremo a offrire il nostro contributo a sostegno di un modello sempre più partecipativo dell’Istituto attraverso il quale, oggi come nel passato, dovranno continuare a materializzarsi le regole dello Stato sociale.
In tal senso sarà importante il ruolo del sindacato per evitare da un lato l’evolvere di una concezione meramente tributaristica della contribuzione, mentre dall’altro si dovrà evitare eventuali ipotesi del pubblico di proporsi come gestore del segretariato sociale escludendo a priori un impegno nella previdenza di secondo pilastro in un’ottica più orientata al riequilibrio del degli assetti finanziari piuttosto che di vera funzione sociale.
Mai come oggi, noi rimaniamo fermamente convinti che vadano tenuti insieme sussidiarietà e solidarietà e nel futuro dovremo insistere in particolare sui lavoratori più giovani su un’idea di welfare duale con la conferma e il rafforzamento della previdenza pubblica, basata sulla solidarietà e lo sviluppo della previdenza complementare fondata sul principio di sussidiarietà. Questi due pilastri debbono consolidare maggiormente una condizione di equilibrio.
Per tutto questo, nella consapevolezza che dentro il bene comune del Paese ci stanno gli uomini e le donne del lavoro che non debbono subire il cambiamento ma ne dovranno essere protagonisti, il sindacato continuerà a sostenere un progetto che guardi ai giovani e al superamento della loro precarietà. Un’idea di Paese che deve tornare a crescere proponendo sviluppo produttivo, sostenibilità ambientale e valorizzazione dei servizi di cittadinanza come principi ispiratori. Un’idea di Paese che deve tradursi in nuovi investimenti per parificare il nord con il Sud e con le sue Isole. Un’idea di Paese che deve dare futuro alle famiglie e sostegno a un invecchiamento attivo degli anziani. Un’idea di Paese che non abbandona gli ultimi, sia che siano persone, territori, città regioni. Perché questo Paese rinasce veramente se rinascono tutti.
(*) Segretario Confederale CISL