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Proteggere i salari dal inflazione senza usare la clava

E’ tornata l’inflazione. Una novità assoluta per i sindacalisti più giovani. Un brutto ricordo per quelli di più lungo corso. E’ forse finita una lunga fase economica che grazie alla globalizzazione ha permesso di produrre acquistando semilavorati a prezzi decrescenti.

Il ritorno dell’inflazione è sì impetuoso ma è diverso da come lo conoscevamo. La prima preoccupazione è che la fiammata dei prezzi, basata su vertiginosi aumenti di energia e materie prime, non bruci posti di lavoro. Sindacato e lavoratori hanno interesse a difendere ora la competitività delle imprese. Il governo deve agire anzitutto in questa direzione.

Nel contempo i salari non devono soffrire queste nuove condizioni in misura passiva. Non possiamo intaccare il potere d’acquisto di chi lavora in una fase sociale critica. Viviamo una stagione nella quale i salari devono aumentare. Non solo perché lo suggerisce Larry Fink, ceo di Blackrock, a tutti gli imprenditori del globo, ma perché il cambiamento in atto del lavoro porta ad innalzare produttività, competenze, valore dello stesso. Anche il lavoro qualificato è merce preziosa e scarsa da remunerare meglio.

E’ quanto abbiamo voluto fare nel rinnovo contrattuale dei metalmeccanici che giusto 1 anno fa aveva stabilito aumenti superiori all’inflazione programmata, nel segno della riconoscimento della professionalità, prevedendo anche una clausola di salvaguardia in caso di inflazione superiore.

Non serve buttare tutto a mare. A chi dichiara già o ha in animo di disdettare il Patto della Fabbrica va ricordato che in assenza di regole il sindacato ha fatto sempre più fatica nel rinnovare i contratti, con risultati spesso incerti. Ricordiamoci soprattutto che in ambito industriale, dove il Patto è nato, tutti i rinnovi contrattuali sono stati effettuati in modo soddisfacente. E’ il mondo dei servizi e del terziario che sta più soffrendo una relativa stagnazione salariale.

Serve agire con più interventi in equilibrio tra loro, evitando una rincorsa prezzi-salari che non ci serve. Anzitutto partendo dal fatto che questa fiammata inflattiva è in corso da soli 3 mesi e che subirà inevitabili processi di aggiustamento.

Non vedo francamente un attacco in corso ai contratti nazionali, come qualcuno in casa sindacale paventa; la tenuta del potere d’acquisto si verifica sempre nel tempo e mai mese per mese.

Ma non bisogna stare fermi. Non esiste una sola soluzione. Pensare di regolare tutto nel braccio di ferro imprese – lavoro sugli aumenti salariali è perdente. Quello che serve è rinnovare i contratti dove ancora questo non è avvenuto.

Sarebbe saggio che le parti sociali confederali potessero confrontarsi nel verificare le criticità di questa fase. Ed anche nel valutare liberamente se in prospettiva confermare o sostituire l’indice Ipca adottato per adeguare il potere d’acquisto dei salari con un indice più realistico e sostenibile. Ricordandoci tuttavia che se oggi l’Ipca rischia di penalizzare il risultato salariale, non sempre è stato così in passato. 

Il governo ha diverse leve di intervento per sostenere i redditi, che vanno definite con le parti sociali. Anzitutto proseguendo nella riforma fiscale con un intervento di abbassamento del cuneo. Ma anche sostenendo ulteriormente la contrattazione salariale aziendale, che non va per nulla demonizzata, garantendo la detassazione dei premi di risultato annuali anche senza incrementalità dei parametri di misurazione, ardui da registrare in questo clima di incertezza. Ed ancora il governo potrebbe alzare nettamente la soglia di buoni spesa e buoni benzina (che non abbiamo mai amato come forma di welfare ma che oggi servono molto) detassata, i cosiddetti fringe benefit, da erogare nella contrattazione collettiva.

Parti sociali che dialogano, contrattano e guardano avanti e un governo che contiene l’inflazione e sostenga i salari con le misure qui indicate è quanto ora abbiamo bisogno.

 *Segretario generale Fim Cisl

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