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Quando la propaganda pretende di diventare realta’

Il durissimo scontro politico tra governo e magistratura sulla questione dei migranti ha un rilievo di particolare importanza che può influire, in modo decisivo, sul futuro del governo e della legislatura, per cui è necessario comprenderne i diversi risvolti per un giudizio politico consapevole. 

Fin dalla sua nascita, il governo Meloni ha cercato in tutti i modi di cambiare la politica sull’immigrazione che, pur con diversa sensibilità, era stata di gran parte dei precedenti governi. Il nuovo governo persegue una politica basata sul respingimento dei migranti che arrivavano verso le nostre coste su barconi in condizioni precarie di sicurezza, e che spesso si trasformano in naufragi con decine di morti. 

Pur avendo il nostro sistema produttivo bisogno urgente di nuovi occupati, anche per effetto della crisi demografica, per il governo Meloni, la gestione regolata dei flussi risulta un aspetto secondario, mentre l’impegno principale è stato rivolto, in prima istanza, a cercare di fermare i migranti degli sbarchi, considerati irregolari e frutto del traffico degli scafisti e delle Ong, puntando a convogliarli verso altri porti stranieri. Successivamente, con il progetto Italia-Albania, ha deciso il loro trasferimento immediato in due centri appositamente costruiti in quel Paese, interamente gestiti dall’Italia, in attesa di rimpatriarli nei rispettivi Paesi di provenienza ritenuti sicuri. Dopo l’invio dei primi 16 migranti, poi ridotti a 12, in tali centri, la Pretura di Roma, sulla base del diritto europeo, ha dichiarato illegale tale trasferimento e ha disposto il loro ritorno in Italia. 

Nello stesso tempo, a Palermo è in corso il processo del vicepremier Salvini, accusato di sequestro di persona con l’ipotesi di sei anni di reclusione, per avere nel 2019, quando era Ministro dell’Interno nel governo Conte 1, rifiutato di far sbarcare 147 migranti raccolti dall’imbarcazione spagnola Open Arms, in condizioni di particolare difficoltà.  

In compresenza di questi due provvedimenti dei giudici nei confronti del governo italiano, e di un suo componente, si è scatenato un violento attacco alla magistratura che, egemonizzata dalla sinistra, avrebbe compiuto una illegittima aggressione politica al governo del Paese, incompatibile con il suo ruolo di corretta e puntusale applicazione delle leggi. 

Ciò che allarma e sconcerta maggiormente è che la premier e l’intero governo (con qualche timorosa precisazione di Tajani), il Presidente del Senato, i partiti di centrodestra e tutti i media dell’area, hanno attaccato pregiudizialmente la magistratura per una sentenza di applicazione del diritto europeo e per aver promosso un processo a un politico sempre in relazione ai diritti umani dei migranti. Un attacco durissimo e diretto alle “toghe rosse” con un linguaggio muscolare e propagandistico del tutto incurante del limite costituzionale circa la distinzione e il rispetto reciproco dei poteri istituzionali dello Stato democratico. 

Un assalto di tale virulenza e spregiudicatezza non si è mai verificato nella storia della Repubblica, al punto che, per darsene una ragione, nel dibattito pubblico sono emerse anche possibili motivazioni strumentali, come il tentativo di spostare l’attenzione pubblica dalla crisi della sanità alla vigilia di un possibile sciopero dei medici, o una ulteriore accentuazione della propaganda per aggravare la crisi politica, in vista di una provocata crisi di governo per arrivare alle elezioni e vincerle. 

Staremo a vedere quanto c’è di vero in tali supposizioni, ma intanto dobbiamo constatare che questa aggressione alla magistratura sottende una volontà di potere e di difesa, comunque dell’operato del governo, per cui ogni ostacolo che si presenta sul suo percorso va combattuto per renderlo ininfluente. Ciò vale in particolare per il modello Albania, che la Meloni considera identitario della sua politica.  e che cerca di promuovere a livello europeo come linea alternativa all’accoglienza governata. 

Mentre da un punto di vista squisitamente giuridico la questione è abbastanza chiara, in quanto i giudici si sono limitati ad applicare il diritto europeo costituzionalmente sovraordinato a quello nazionale e anche in futuro, nonostante le scaramucce strumentali, si dovrà tornare a questo livello. Ciononostante, il governo ritiene che di fronte a una legge nazionale di rango primario, quale risulterà il decreto approvato, i giudici non potranno ignorarla ma ricorrere ad un rango superiore, fermando ogni decisione. 

Non a caso il Viminale, in questi giorni, ha ricorso in Cassazione contro la sentenza sui migranti della procura di Roma. Credo tuttavia che una comprensione più completa e plausibile della scelta del decreto si raggiunga riflettendo sul piano politico. Con questa decisione, l’Italia ha aperto consapevolmente un conflitto con l’Unione Europea, una scelta coerente con la posizione antieuropea di Meloni e Salvini che si è manifestata in diverse occasioni durante la campagna elettorale delle elezioni europee e nel voto contrario a Von Der Leyen a presidente della Commissione europea. 

Va tenuto presente che in questo periodo nella Ue la destra è all’attacco cercando di sfruttare il momento di difficoltà connesso all’avvio della nuova Commissione per modificare gli equilibri nei rapporti di forza e cambiare la linea complessiva dell’Ue, aumentando il peso e il potere degli Stati nazionali. In particolare, proprio sulla questione dei migranti la destra del Ppe (Weber) si è alleata con i Conservatori di Meloni e con i Patrioti di Le Pen e Salvini, in modo difforme dall’alleanza tra popolari, socialisti e liberali che attualmente governa l’Ue. Questa alleanza è riuscita, nel Parlamento europeo, a respingere la relazione che accompagna il bilancio Ue. 

Ci troviamo, cioè, in un momento di particolare delicatezza e difficoltà della vita dell’Europa e il ruolo dell’Italia può diventare sempre più decisivo per cambiare il governo europeo. Pertanto, Meloni ha scelto consapevolmente di schierare l’Italia, da Paese fondatore dell’Ue a componente della destra europea dei Le Pen e Orban, che vogliono porre fine al progetto di Europa federale per trasformarla in una generica intesa tra Stati nazionali, cioè cambiare radicalmente il futuro dell’Italia nel contesto globale. 

Nello stesso tempo, Salvini ha passato ogni limite. Da imputato al processo di Palermo rovescia le carte e diventa accusatore dei magistrati che vede in balia della sinistra, Tanto che un giudice che ha espresso un giudizio in una chat “è da licenziare”, mentre, nei   confronti del giovane migrante ucciso a Verona, adotta un linguaggio che è stato delle BR, “non ci mancherà”. 

In conclusione, per effetto di queste scelte ideologiche e settarie del governo, ci troviamo con l’Italia spaccata in due senza apprezzabili possibilità di ricucitura e su posizioni antieuropee che conducono ad un inevitabile isolamento. Una situazione nella quale la destra cerca, con evidenti forzature, di cambiare la realtà politica e democratica del nostro Paese per avvicinarla agli obiettivi della sua propaganda. Una prospettiva da combattere con forte determinazione politica, attraverso la ricostruzione di una vera e solida unità del centrosinistra, fondata su una concreta alternativa politica. 

Poiché è in gioco il futuro della nostra democrazia, spetta in particolare al Pd, maggiore partito di opposizione, operare per costruirla perché questo è il ruolo che la realtà politica dell’Italia gli chiede. Un compito difficile ma questa è la sua vera vocazione, decisiva e discriminante per il suo ruolo storico.

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