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Quarant’anni di CUT hanno cambiato il Brasile (1983-2023)

Solo un anno fa la CUT è stata la protagonista della mobilitazione cha ha portato all’elezione di Lula e alla sconfitta del progetto reazionario di Bolsonaro.

E in questi quarant’anni, è cambiata anche la CUT.

Più sobria, ma sempre militante. Un’assemblea congressuale che ascolta e si ascolta.

Meno slogan, se non quelli per segnalare le parole d’ordine e le solidarietà di oggi e di sempre. Momenti di entusiasmo che competono con le sottolineature, attraverso applausi o sussurri degli oltre 2.000 delegati presenti.

Ho voluto partecipare al 14° Congresso della CUT (San Paolo 19-22 ottobre scorsi), nonostante gli elevatissimi costi dei viaggi in aereo. Ho fatto un po’ di conti e ho deciso di esserci perché ne avevo bisogno. Sto vivendo in Brasile, continuativamente ormai da 15 anni e questa Centrale, come la chiamano qui, è anche ormai la mia Centrale.

Volevo incontrare i miei vecchi amici e soprattutto, capire che cosa c’è di nuovo.

Molti dei quadri storici, erano presenti solo come invitati, visto che avevano assunto incarichi di governo o di alto livello nelle istituzioni federali o dei diversi Stati. Molti i quadri nuovi, almeno per me.

Tante situazioni nuove da annusare e da capire, quindi.L’esperienza è stata tutt’altro che deludente.

Mentre in congressi precedenti, avevo avuto la sensazione di un ricambio generazionale un po’ troppo affrettato e che lasciava supporre una certa impreparazione dei nuovi quadri, il 14° Congresso ha segnalato, anche solo visivamente, una scissione col passato.

Quadri maturi, con una età media, ad occhio, attorno ai 45/50 anni, molte donne, con ruoli attivi e di responsabilità, sostanzialmente senza più nessuna manifestazione rivendicativa, ma con la consapevolezza del proprio ruolo di dirigenti effettive di una grande organizzazione: la maggiore dell’America Latina e tra le più rappresentative del mondo intero, coi suoi 8 milioni di lavoratori alla base dei sindacati territoriali affiliati.

Ma questo, non deve far pensare a processi di burocratizzazione dei ruoli e di chi li ricopre. No, il Brasile continua a stupire per le sue peculiarità e per le sue freschezze.

Il clima che si respira in sala è quello della militanza, della solidarietà e dell’impegno. Un concentrato di sensazioni e sentimenti che riusciamo a vivere anche noi in Italia, in occasione dei grandi appuntamenti. Quelli che ci riportano all’origine e al significato dell’importante ruolo che noi, come CISL, abbiamo rappresentato e rappresentiamo per la società italiana (e non solo).

Ma vorrei andare con ordine per evitare di fare discorsi troppo generici e, alla fine, più utili per me, che li fisso come appunti, ma meno per chi legge che si aspetta, credo, di capire un po’ di più quello che succede – e che potrà succedere nei prossimi anni – nel gigante sudamericano…

Del “colpo d’occhio” ho già parlato, sulla partecipazione ai dibattiti ho fatto appena qualche accenno, ma va sottolineato che un Congresso per un paese come questo, comincia almeno un anno prima, con la discussione a livello locale delle tesi e con l’elaborazione delle proposte di modifica o integrazione. 

Quindi sapevo, ed è stato così, che per me sarebbe stato difficile cogliere tutti i riferimenti e le sfumature dei testi che venivano discussi, emendati e approvati…

Sapendolo, avevo pensato di fare una cosa semplice: rivolgere ai partecipanti, sia di nuova conoscenza, che vecchi conoscenti, una domanda: “Secondo te, qual è il ruolo del sindacato quando a governare c’è un partito amico?”

Confesso che speravo di prendere in castagna almeno alcuni dei miei intervistati “casuali”, ma non è stato così. Al porre la domanda, invece, mi è sembrato proprio di riprendere una riflessione che stava già turbinando nella testa dei miei interlocutori…

Le risposte sono arrivate senza esitazione e, anche se il campione era assolutamente casuale, mi è sembrato di raccogliere pezzi di un ragionamento comune in corso, l’espressione della complessità di un’esperienza in atto. La sfida quotidiana che ha di fronte chi vuol giocare, consapevolmente, un ruolo di protagonismo.

Riporto, qui di seguito, solo alcune delle risposte ricevute. Quelle che mi hanno colpito di più, ricordando che la casualità che ha caratterizzato questa “indagine” non ci permette di generalizzare i risultati.

Una giovane delegata dei Bancari del Roraima mi risponde: “Il ruolo del Sindacato è quello di unificare le lotte che stiamo facendo nelle nostre categorie per affermare i diritti delle donne, dei giovani e contro le discriminazioni razziali…” Le chiedo: “ma come pensate di arrivare fino al governo?” E lei: “Eh, attraverso dei coordinamenti locali e nazionali…” “E il ruolo della Centrale?”, chiedo io, “Beh, lì c’è uno spazio che dobbiamo ancora conquistare…”

Un altro quadro, pernambucano, molto più maturo e “navigato”, una bella testa lucida, mi risponde immediatamente: “Il ruolo del Sindacato, con un governo amico è quello di sindicatear”. Questo è un neologismo che sta riprendendo vita in questi mesi. Esprime un misto tra negoziare/contrattare, dialogare e rappresentare. In sostanza: “deve fare il mestiere del sindacato. Indipendentemente da chi governa”.

Con un gruppetto di lavoratori dell’Energia di Campinas, nasce un bel confronto. Faccio la domanda. Il giovane leader del gruppo risponde con una visione ben articolata e, direi, un po’ precostituita. Non faceva una piega: piena autonomia del sindacato e negoziazione con chiunque stia al governo. Provoco un po’, dicendo: “Sì, ma per negoziare serve una piattaforma” e lui: “È quello che stiamo decidendo in questo congresso!”  Poi lascia che si esprimano i suoi colleghi più giovani. E qui arrivano due risposte spontanee che meritano assolutamente di essere riportate: 

Un ragazzo, poco più di trent’anni: “Io penso che dobbiamo seguire quello che Lula stesso ci ha detto un sacco di volte: “Me cobre!” (“Chiedete, chiedetemi di rispettare gli impegni, mettetemi alle strette”).

Una sua collega, forse ancora più giovane, entra con forza nel discorso: “Sì, perché se noi non siamo capaci di cobrar Lula e i suoi ministri, succederà che il Governo sarà messo alle strette dai padroni” … Interviene di nuovo il suo collega: “Penso che noi dobbiamo mettere il piede tra la porta e lo stipite, dobbiamo impedire che venga chiusa e che ci lascino fuori dalle decisioni che contano!”.

Mi fermo qui e confermo: quello che è stato preso di sorpresa sono stato io.

Finito il Congresso, ho preso l’aereo per ritornare a Vitória, con quella sensazione che provo sempre di più (man mano che invecchio?) di aver vissuto un momento di intensa espressione di coesione, di affettività, di condivisione. Quelle sensazioni che si provano dopo una manifestazione ben riuscita, dopo un evento che ti dice che stai tra gente che, anche se con storie diverse, si ritrova su valori comuni con la determinazione e l’impegno di portarli avanti…

Ma l’aereo del ritorno, mi fa rimettere i piedi per terra.

Tra le telefonate e le conversazioni che inevitabilmente si ascoltano,in attesa del decollo, un tema emergente sono le percentuali. Sì, c’è chi si irrita perché l’interlocutore ha capito 26%, mentre lui sta dicendo 27%. Altri parlano di aumenti, o di sconti del 4% e altri ancora lasciano intendere che, comunque, stanno parlando di affari…

Succede, questo, quando i prezzi dei biglietti aerei sono alle stelle e così si esclude dalla possibilità di viaggiare una fascia ampia di popolazione “normale”.

C’è una coppia di persone anziane, sedute nella mia stessa fila. Si tengono per mano. È un’immagine di grande tenerezza. Appena atterrati, lui accende il cellulare e si rivolge al suo interlocutore dicendo che ha tentato tutto il possibile ma “… lui è un cartesiano, è molto razionale e non lo ha smosso neppure la nostra proposta…” Mah!

Sì, bisogna proprio mettere il piede sulla porta!

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