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Quel discorso alla Camera del Presidente Napolitano…

Ero in aula quando Giorgio Napolitano, appena rieletto Presidente della Repubblica per la seconda volta (il primo bis della storia repubblicana), pronunciò il duro discorso sui vizi e i limiti, ma anche le potenzialità della politica. Gli applausi delle Camere, riunite per la solenne occasione, furono scroscianti e reiterati, nonostante che le sferzate fossero indirizzate, in primis, proprio ai presenti. Furono applausi liberatori e, al tempo stesso, sinceri ed ipocriti.

Liberatori perché con la rielezione di Napolitano, a larghissima maggioranza, tamponavamo una crisi istituzionale drammatica causata da una impasse senza precedenti: la incapacità dei partiti di trovare una intesa sul nome del nuovo Presidente della Repubblica. Eravamo reduci da settimane concitate al culmine delle quali la vicenda dei 101 voti mancati a Prodi dimostrò a che punto era la notte… Gli applausi, però, furono anche sinceri perché il bisogno di cambiamento, di pulizia, di novità era così pressante nell’opinione pubblica ed era così avvertito in Parlamento, da non lasciare indifferenti. Quel discorso non fu solo di rimprovero. La prospettiva che Napolitano disegnò era chiara e attribuiva nuovamente alla politica il ruolo che le spetta. Le riforme, istituzionali ed economiche, erano la sola via di uscita e questo incoraggiò molti di noi a pensare che la svolta fosse possibile e che proprio da quella rielezione e da quella sferzata venisse il coraggio che era mancato precedentemente.

Ma furono anche applausi ipocriti perché tutti sapevamo che quel discorso, che era rivolto soprattutto a noi, implicava una rigenerazione politica di cui non si intravvedevano i presupposti. Eravamo senza governo; il neo eletto Parlamento non riuscì a formare le commissioni e l’attività dei primi mesi fu affidata ad una gestione straordinaria della

Commissione Bilancio e lo stesso Napolitano nominò una commissione di 10 saggi per definire un programma politico che i partiti non riuscivano a darsi. Il PD era giovane, ma l’amalgama non era riuscito; i 5 stelle erano sbucati dal nulla spiazzando tutte le logiche tradizionali. La destra era in crisi dopo la caduta di Berlusconi. Insomma, era sufficientemente chiaro che quel discorso, giusto e convincente, non avrebbe avuto l’esito sperato.

E, infatti, la legislatura che si aprì con questo evento straordinario fu travagliata. Nonostante la solida maggioranza di centro sx, e del PD in particolare, si alternarono ben tre governi. Letta bruciato dal fuoco amico, Renzi suicidatosi con un Referendum giusto nei contenuti, ma sbagliato nel messaggio e nella gestione; infine Gentiloni che, però, era già in vista della fine della Legislatura. L’onda lunga della instabilità è poi continuata per la Legislatura successiva, che, pur conclusasi anticipatamente, ha visto anch’essa tre governi (Conte 1, Conte 2, Draghi), addirittura con tre differenti maggioranze.

Ma la crisi istituzionale e politica che ha nella rielezione di Napolitano il suo snodo più originale, era nata ben prima. Se vogliamo trovare una data simbolo possiamo individuarla nella lettera che la BCE (firmata dal Presidente Trichet e da Draghi, che era il designato a succedergli) inviò al governo Italiano nell’estate del 2011. Di fronte ad una economia italiana fuori controllo, a rischio Grecia, quella lettera in sostanza chiedeva riforme, alcune giuste, altre esagerate… ; ma, anziché valutarla nel merito, attribuendo ad ogni richiesta il giusto valore e aprire un dialogo e un confronto con le autorità europee e la stessa BCE, la politica si divise aprioristicamente tra pro e contro, perdendo l’ultima occasione. Il governo Berlusconi-Tremonti si dimostrò incapace di governare la crisi valutaria, crollò ed arrivò Monti. E qui si inseriscono anche le critiche a Napolitano come sodale di un ipotetico complotto internazionale ai danni di Berlusconi. Sono evidentemente critiche senza fondamento. Che il Presidente della Repubblica lavori, per tempo, a diversi scenari di crisi è una garanzia per gli italiani; che l’aumento incontrollato dello spread dipendesse dalle errate e inefficaci politiche economiche del governo è del tutto evidente.

Le morti di Berlusconi e di Napolitano, a poca distanza tra loro, chiudono simbolicamente un’epoca che aveva già trovato il suo epilogo con l’ascesa della destra che ora ci governa.

Se ripenso oggi a quel discorso di 10 anni fa, al contesto politico ed economico nel quale è stato pronunciato; al prima e al dopo… ma, soprattutto, ai grandi problemi tutt’ora irrisolti: le disuguaglianze che crescono, il dualismo Nord Sud che permane, la difficoltà della crescita, i conti pubblici in crisi… ma anche le potenzialità di un paese strutturalmente e solidamente incardinato nello scenario europeo ed internazionale; ahimè, però, gestito da un governo troppo ideologico, di fatto tecnocratico e in affanno; ma contrastato da una opposizione divisa e debole… vedo l’urgenza di riprendere quel filo interrotto che quel discorso tracciava: “Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti – che si sono intrecciate con un’acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente malessere sociale – non si sono date soluzioni soddisfacenti: hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi”.

“L’insoddisfazione e la protesta verso la politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza) alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi si muovono”. “Il vostro applauso… non induca ad alcuna autoindulgenza, non dico solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme”.

C’è n’è abbastanza per riprendere il cammino e cercare nuove strade.

*da Riformismo&Solidarieta’

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