“Sotto controllo la spesa previdenziale, fin troppo generosa quella per assistenza”. La fotografia scattata dal Sesto Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, redatto dal Centro Studi di Itinerari Previdenziali, presentato mercoledì scorso a Roma in presenza di esponenti politici governativi e del Parlamento, evidenzia un Paese con un forte e generoso sistema di protezione sociale il quale, però come ha sottolineato il responsabile del centro studi, Alberto Brambilla “in questi ultimi anni, da un lato ha dato segnali di miglioramento, ma dall’altro ha perpetuato le anomalie tutte italiche dovute all’instabilità politica (5 governi in 8 anni), con un insufficiente senso dello Stato e del bene comune da parte degli attori politici che hanno prodotto una macchina pubblica inefficace e una spesa assistenziale fuori controllo, mentre il debito pubblico continua a lievitare.
“Ancor di più in un anno segnato da molte promesse, ma anche da interventi concreti in materia, non si può negare che pensioni e assistenza si confermino temi ad ampia sensibilità sociale per gli italiani. Ragione per la quale – precisa Alberto Brambilla – diventa essenziale confutare molti luoghi comuni diffusi anche nel dibattito politico in materia, a cominciare da quello che vuole la spesa per le pensioni fuori controllo. Al contrario, dal 2013 al 2017, al netto dell’assistenza, la spesa pensionistica ha fatto registrare un aumento medio pari allo 0,88%, evidente sintomo del fatto che le riforme varate in questo periodo, pur non esenti da criticità, hanno colto l’obiettivo fondamentale di stabilizzarla. A preoccupare sono piuttosto i numeri dell’assistenza che, peraltro, in assenza di un contributo di scopo, è totalmente a carico della fiscalità generale”.
Luci e ombre comunque sono emerse durante la presentazione dei dati
Nel 2017 è ancora diminuito il numero dei pensionati, che si sono attestati a 16.041.852, cioè il miglior risultato degli ultimi 25 anni; una tendenza virtuosa che è proseguita nel 2018, con un calo di circa 25 mila unità.
I lavoratori attivi a fine 2017 erano 23.022.959 cioè quasi lo stesso livello raggiunto nel 2008, con un tasso di occupazione pari al 58% (era 58,7% nel 2008); nel dicembre 2018 gli occupati hanno raggiunto il record di tutti i tempi, con 23.269.000 unità pari al 58,8% di tasso di occupazione totale e ben il 49% per le donne. Nonostante si tratti dei migliori risultati di tutti i tempi, siamo però ancora lontani dalla media dei Paesi UE a 15 (68% di occupazione totale, 63% per le donne). E, così il fondamentale (per la tenuta del sistema pensionistico) rapporto tra attivi e pensionati è di 1,435 attivi per pensionato: non siamo sulla luna, ma il dato è rassicurante ed è ulteriormente migliorato nel 2018.
I punti critici
Il numero delle prestazioni invece è aumentato a circa 23 milioni, con una riduzione delle prestazioni pensionistiche e un aumento di quelle assistenziali che ormai rappresentano il 50% delle prestazioni liquidate dall’INPS: un dato abnorme che cresce di anno in anno. Nel 2008 i trasferimenti a carico della fiscalità generale per finanziare l’assistenza valevano 73 miliardi; nel 2017 hanno raggiunto i 110,15 miliardi (+ 50% in soli 10 anni), cui si dovrebbero sommare i circa 10 miliardi spesi dagli enti locali per l’assistenza (stima RGS) e gli oltre 12 miliardi di euro spesi dagli enti locali e dalle istituzioni centrali per la funzione casa, per un totale di 130 miliardi e con un tasso annuo di aumento del 5,32% (contro, rispettivamente, i 151 miliardi e lo 0,88% delle pensioni).
Oltre la metà dei pensionati è totalmente o parzialmente assistita dallo Stato, un dato molto preoccupante come quello del finanziamento del sistema che rappresenta il secondo punto di debolezza del nostro welfare. Nel 2017 la spesa pubblica totale è stata di 839,5 miliardi di cui 453,5 miliardi (oltre il 54%) per il welfare (pensioni, sanità, assistenza). Per finanziare questa enorme spesa (tra le più elevate in Europa) occorrono tutti i contributi, tutte le imposte dirette e una parte delle indirette.
Ma chi le paga? La metà degli italiani dichiara reddito zero o inferiore a 7.500 euro lordi l’anno; il 45% di tutti i contribuenti (sono circa 40 milioni) versa solo il 2,8% dell’Irpef, mentre il 57% dell’Irpef è a carico del 12% dei contribuenti, tra i quali l’1,10%, massacrati dalle imposte e da tagli indiscriminati e mancate rivalutazioni sulle pensioni, versa il 18,86% dell’Irpef. Dati fiscali e assistenziali non credibili per un Paese come il nostro.
Testo Completo – Rapporto itinerari previdenziali